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Immaginiamo una società senza religioni

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2013 04:13
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Qual è il modello di società che ci risulta essere per esperienza storica, per intuizione o per sensibilità interiore quello più propizio ad assicurarci quei beni e valori fondamentali per la vita collettiva quali pace, libertà, serenità, solidarietà, rispetto reciproco e possibile minimizzazione delle disuguaglianze e della sofferenza?
La storia umana è ricca di tentativi molto diversi: l’ideale anarchico, l’utopia comunista, la democrazia elettiva, il principe illuminato che ama il suo popolo, il despota onniregolatore di Orwell, il patriarcato super allargato e tanti altri. E tutti hanno dovuto fare i conti con le esigenze imposte dall’Io della specie umana.
Proprio sull’onnipresente fronte dell’Io hanno fatto breccia, in tempi lontani e società arcaiche, le istanze morali, le visioni sapienziali, la saggezza, la scoperta dell’interiorità associate alle varie e più dissimili religioni, nate tutte in epoche premoderne, e fatalmente operanti sulla base di un infantile o funzionale-strumentale timor dei o deorum. Il comportamento veniva richiesto o imposto con il mercimonio di premio e castigo: ciò che avrebbe dovuto essere il portato della “coscienza” che educa ad un’autonomia etica divenne invece una scelta utilitaristica, oportet cioè mi conviene, così non avrò punizioni dagli dèi ma solo premi. Erano religioni che non educavano, ma almeno si tolleravano: il mondo antico infatti non conosce, dalla Cina all’Europa, né guerre di religione né persecuzioni verso altre fedi. Poi vennero, ahimè, i monoteismi con i loro assolutismi totalizzanti, proselitismi, guerre, persecuzioni. E ce lo dicono sia la Storia sia la cronaca: guerra totale, sia tra le diverse religioni sia al loro stesso interno, come nell’Europa della Riforma ma anche in Irlanda (cattolici contro protestanti) o Iraq (sunniti contro sciiti). NonCredo sostiene, con la ragione e con il sentimento, il primato e l’autonomia dell’Etica, della Coscienza, della Libertà al posto della diffusa soggezione a dèi, scritture e cleri, come dire che ad un Abramo disposto a sgozzare il figlio perché ciò piace al suo dio, preferiamo di gran lunga un Socrate che potrebbe uscire dalla prigione e invece beve la cicuta per rispettare la legge. In questa chiave abbiamo finora interpretato la pars destruens, ovvero critica nei confronti delle religioni, ma da questo fascicolo vogliamo aggiungere anche quella construens e quindi propositiva, esponendo modelli di società immuni dalle influenze, interferenze, indottrinamenti e condizionamenti delle varie religioni, avendo in mente una società a fortissima autonomia morale e laica capace di formare cittadini responsabili e non fedeli acritici, ispirandoci ai messaggi di grandi illuminati quali Confucio e il Buddha, Gesù e Socrate, Locke e Montaigne, Kant e Weber.
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Confucianesimo
È questo il termine usato dagli occidentali per indicare una scuola di pensiero cinese, «scuola dei letterati», che si costituì intorno all'opera di Kong fuzi, latinizzato in Confucius: se questi non può essere considerato il fondatore come Buddha o il Cristo, tuttavia fu l'organizzatore e riordinato re di un vasto materiale, patrimonio dell'antica religione cinese, che in un particolare momento della travagliata vita cinese assunse il valore di diga al disfacimento morale e spirituale. Per questa religione si può dire, come per il taoismo e in genere per la cultura cinese, che molto stretto è il legame e il rapporto con la vita politico-sociale e quindi con il sostrato morale e intellettuale della antica civiltà.
Se pertanto inizialmente si può definire (e cosi è stato definito) il confucianesimo come un umanesimo etico, dal momento che l'interesse per l'umano è uno dei suoi punti di forza, dobbiamo poi concentrarci sulla sua indiscutibile dimensione religiosa.

La vita di Confucio
Confucio visse nel periodo detto delle Primavere e Autunni (770-454 a.C.), nacque nel 551 a.C. nell'odierna località di Zhufou, principato di Lu, morì nel 479 a.C.; anche se la sua vita è avvolta nella leggenda sembra che non abbia avuto una esistenza particolarmente brillante per incarichi o impegni: inizialmente fu al servizio della famiglia feudale di Qi, come sovrintendente dei granai e dei campi, a ventidue anni divenne insegnante, circondandosi di ragazzi di tutte le condizioni. Momento determinante di una esistenza fino ad allora grigia fu il viaggio che intraprese a Luoyi dove compi ricerche, e dove sembra sia avvenuto l'incontro con il fondatore del taoismo, Lao-zi.
Dal viaggio Confucio tornò con la fama di saggio stimato e rispettato, si impegnò con il suo insegnamento a riformare la società, sia in senso politico-sociale che in senso religioso, reinterpretando le antiche norme e le antiche dottrine affinché fossero di aiuto per il presente.
Caduto in disgrazia presso il principe Ding di Lu, di cui era nel frattempo diventato ministro, Confucio trascorse gli ultimi anni della sua vita peregrinando per tutta la Cina, insieme con i suoi discepoli, occupandosi altresì di poesia e musica. Si dedicò anche alla raccolta delle testimonianze e memorie dell'antichità, contribuendo direttamente o indirettamente alla costituzione dei Cinque Libri classici del confucianesimo.

Canone del confucianesimo
Gli scritti canonici sono nove.
Cinque sono i libri classici (jing): il Libro delle mutazioni o I­ching, il Libro della storia o Shu-ching, il Libro delle elegie o Shih-ching, il Libro dei riti, o Li-ching, gli Annali della Primavera e dell'Autunno. Se un tempo questi testi erano tutti attribuiti a Confucio, sia come autore che come editore, gli studiosi contemporanei ritengono che solo il nucleo di molti libri risalga a lui, e che ciascuna opera si è poi sviluppata nel corso di periodi molto lunghi e quindi variamente aumentata.
Accanto a questi vanno ricordati i quattro libri (shu): i Dialoghi in cui gli insegnamenti di Confucio sono presenti nella vivezza dell'insegnamento e nel dialogo con i suoi discepoli; il Libro di Mencio, raccolta di conversazioni, il Daxue o Grande insegnamento, breve trattato politico-filosofico, e Zhongyong o Il giusto mezzo, indicato nell'equilibrio interiore.

L’etica confuciana
Come si è detto Confucio si dedicò molto all'educazione dei giovani, e questo perché egli era convinto innanzi tutto che la riforma della collettività si sarebbe attuata solo attraverso la rigenerazione del singolo e della famiglia, ma soprattutto riteneva la virtù una ricchezza interiore che ognuno può acquisire, dal momento che la natura umana di per sé non è né buona né cattiva; da qui l'importanza di una giusta educazione.
Il fine dell'etica confuciana sarà quello di formare dei saggi, cioè dei nobili di spirito, e se non si raggiungerà tale scopo gli uomini si comporteranno come degli stolti: il centro di essa è il concetto di jen, concetto introdotto proprio da Confucio, che tuttavia rielabora altresì i concetti di li e di Ming, già presenti nella filosofia cinese.
Il termine li è complesso perché indica sia l'armonizzazione dell'uomo con la natura, sia l'osservanza di regole e riti religiosi, sia infine l'amore per il sereno vivere sociale.
Il li è la forza ordinatrice che guida l'uomo nei suoi doveri sia verso gli altri uomini (rispetto, cortesia, tatto, decoro, autocontrollo) sia verso gli esseri spirituali superiori, che secondo l’antica religione erano il T'ien (cielo), o dio supremo da cui il sovrano riceve il regno e i sudditi, sui quali governa tramite il Mandato dal Cielo (Ming o T'ien-ming). Per Confucio la vita individuale e la storia della nazione sono oggetto della particolare provvidenza del Cielo, ed ogni uomo è responsabile nei confronti di esso.
Ma il novum della dottrina confuciana è rappresentato dall'elaborazione della virtù detta jen, o giusta organizzazione delle relazioni umane: «Essa è infatti associata alla lealtà - lealtà nei confronti del proprio cuore e della propria coscienza - alla reciprocità - rispetto e stima per gli altri» (J. Ching, 1989).
Come si evince jen può indicare un complesso di virtù (bontà, benevolenza, mitezza) che potremmo sintetizzare come umanità, e se talvolta in Cina si definiva ciò come caratteristica del nobile nei confronti dell'inferiore, per Confucio è una virtù universale, la virtù che costituisce il saggio, l'essere umano perfetto, stadio raggiungibile da tutti, anche se egli divide gli uomini in tre categorie: i saggi o uomini perfetti, che costituiscono il modello da seguire avendo raggiunto il grado pili alto della perfezione (per esempio gli imperatori della Cina), i nobili, o uomini superiori, infine gli uomini comuni che costituiscono la maggioranza.
Un aspetto importante della religione confuciana è il suo sbocco nell' ordine politico o meglio il suo presentarsi anche come «religione civile»: la dottrina dello jen viene infatti estesa all'ambito politico e si parla di governo benevolo come quello costituito di persuasione morale e il cui capo è esempio di integrità morale e dedizione disinteressata.
Se il saggio confuciano è stato descritto come dotato del cuore del saggio e della sapienza del re, anche l'uomo viene sempre concepito in armonia con se stesso e con la società, e questa rispecchia a sua volta la perfezione spirituale ed etica. Come «religione civile» inoltre il confucianesimo acquisì, oltre al ruolo di culto di Stato, tutta una serie di grandi rituali, messi in atto dallo stesso imperatore per onorare il Cielo (culto importantissimo in Cina fino al XX secolo) e la Terra e i suoi antenati. Il culto degli antenati, in particolare, è un aspetto molto noto della religione cinese: un tempo prerogativa solo dei nobili, in seguito diventerà parte dell'ortodossia statale. Ancora oggi in molte case cinesi di Hong Kong o Taiwan si può trovare l'altare degli antenati, sul quale vengono deposte tavolette commemorative.
Altri rituali poi erano dedicati al sole, alla luna e agli spiriti terrestri, o a divinità minori, nonché a quei saggi e magistrati incorruttibili venerati come dèi della città. In seguito anche Confucio divenne oggetto di culto. Il confucianesimo verrà poi sviluppato dai seguaci di Confucio, tra cui vanno ricordati Mengzi (latinizzato in Mencius) e Hsun-tzu. Il primo, vissuto fra il 372 e il 289 a.C., perfezionò il pensiero di Confucio in senso piu ottimista, parlando di una innata bontà degli uomini e di un amore universale di Dio per tutti gli esseri.
Nel Libro di Mencio si trova una significativa evoluzione nel termine «cielo»: se da Confucio talvolta era considerato quale divinità personale, Mencio con frequenza afferma: «L'uomo porta il cielo nel proprio cuore, per cui se uno conosce il proprio cuore e la propria natura, conosce anche il cielo», accentuando quindi il valore del cielo come forza immanente, fonte e principio delle leggi e dei valori etici.
Hsun tzu (312-238 a.C.) al contrario ha una visione piu pessimista, ma, secondo lui, l'uomo, pur fondamentalmente cattivo, può tuttavia raggiungere la perfezione con una severa e giusta educazione morale. A suo parere infatti il male presente nella natura umana tende al proprio contrario e quindi l'opera educativa può essere molto importante.

Neoconfucianesimo
All'epoca della dinastia Song (960-1280 d.C.) si sviluppò il neoconfucianesimo iniziato da Zhou Dunyi. Il termine neoconfucianesimo comunque è improprio, o meglio è un termine occidentale: «I cinesi designano la posteriore evoluzione del confucianesimo come modo di pensare metafisico (Li-hsueh) ... è una nuova espressione del pensiero confuciano, fondata su un ristretto corpus di testi classici, reinterpretati come risposta alla sfida buddhista» (J. Ching, 1989).
Una caratteristica del neoconfucianesimo è la trasmissione orale: mentre in precedenza si era dato grande impulso al commento dei classici e alla pubblicazione di trattati, adesso si trascrivevano le conversazioni (yu-lu) con i maestri, considerati come saggi che davano insegnamenti ineffabili.
Il maggior pensatore del neoconfucianesimo è Zhu Xi (1130-1200), filosofo sistematico e padre dell'ortodossia confuciana, esemplare coordinatore di elementi taoisti, buddhisti, oltre che rinnovatore del confucianesimo.
Significativa è la sua dottrina del Grande Ultimo, che esprime non solo la visione cosmologica ma anche la sua ontologia: interrelazione di uomo e mondo, microcosmo e macrocosmo. Il Grande ultimo rappresenta una sorta di archetipo primordiale e totalità ultima, a cui l'essere umano come vertice dell'universo partecipa.
La natura umana originariamente buona si è venuta corrompendo, da qui la necessità dell'autoeducazione intesa come duplice sforzo: «Riverenza verso la propria natura intima e la sua capacità di bene, da una parte, e investigare la conoscenza ed estensione delle cose dall'altra». E in questo contesto Zhu Xi attribuisce importanza alla pratica della meditazione o dello starsene seduti tranquillamente, tendendo all'incremento della propria natura morale.
Altri pensatori più recenti sono Kang Yowei (1858-1927), vero e proprio interprete del confucianesimo religioso, e Liang Qichao (1873-1929), che invece ne evidenzia le caratteristiche di religione civile.
Il confucianesimo si è diffuso in Corea, dove divenne materia di esame per gli impiegati statali, e in Giappone, dove ha connotato il rapporto di sottomissione tra sovrano e suddito. I confuciani giapponesi sono quasi sempre dei samurai, guerrieri pronti a trovare una morte onorevole secondo il codice etico detto Bushido o Via dei guerrieri.
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Buddha, (Kapilavastu, Nepal, 565 ca - Kusinagara 486 ca a.C.), maestro religioso indiano, fondatore del buddhismo. Il suo vero nome era Siddharta Gautama (o Gaitama), della famiglia dei Sakaya. Una meditazione sui mali della vita, la vecchiaia, la malattia e la morte, lo indusse, a circa trent'anni, a cercare la via della salvezza facendosi monaco itinerante. Raggiunta dopo lunga ricerca l'illuminazione (Buddha significa lo “Svegliato” o “l'Illuminato”), decise di rendere anche gli altri partecipi della sapienza che aveva acquisito, e per il resto della sua vita percorse la pianura mediorientale del Gange come monaco mendicante per annunciare la verità. I testi canonici più antichi mostrano il Buddha con caratteristiche puramente umane: ciò che lo distingueva dagli altri era la conoscenza salvifica (che egli aveva ottenuto con le proprie forze) e soprattutto la facoltà di annunciare il suo messaggio. Dopo la sua morte si affermò ben presto tra i fedeli la tendenza a rendere la figura del Buddha e le sue reliquie oggetto di culto, e gli fu attribuita una biografia ricca di aspetti straordinari. La scuola buddhista dei mahãsanghika sviluppò la concezione della perfetta trascendenza del Buddha, considerato un essere divino dimorante in una sfera di beatitudine ultraterrena: il Buddha storico è la semplice manifestazione assunta temporaneamente dal Buddha trascendente per la salvezza delle creature di questo mondo. Già nei testi canonici era presente la concezione secondo cui il Buddha avrebbe avuto dei predecessori. In seguito subentrò anche la nozione di un Buddha futuro, il Maitreya. Questa molteplicità dei Buddha è di particolare importanza nel mahãyãna (il cosiddetto buddhismo settentrionale), per cui lo stato di Buddha o buddhità è divenuto uno scopo di salvezza proposto a tutti: negli innumerevoli mondi che costituiscono l'universo vi è spazio per l'esistenza contemporanea di infiniti Buddha. Gli insegnamenti del Buddha, trasmessi oralmente per secoli, ci sono pervenuti principalmente attraverso la tradizione singalese e birmana: essi vennero trascritti solo verso il sec. I a.C. I Discorsi del Buddha comprendono materiali diversi: prediche, dialoghi, massime, testi poetici. In genere prendono occasione da domande rivolte al Buddha sui più vari argomenti, alle quali il maestro risponde esponendo la propria dottrina. In polemica con la religione antica, il brahmanesimo, di cui rifiuta il formalismo e il ritualismo, Buddha pone direttamente al centro della propria esperienza religiosa il tema del destino dell'uomo e della liberazione dal dolore; questa può essere raggiunta solo attraverso la rinuncia al mondo e la pratica ascetica. In opposizione a forme di ascetismo caratterizzate da eccessi autopunitivi, Buddha proclama la "via media": l'atteggiamento esistenziale che conduce alla salvezza è caratterizzato dal rifiuto sia dei piaceri e del godimento sia dei dolori e delle macerazioni; la liberazione dal male è raggiunta per mezzo del completo annientamento di ogni desiderio.
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John Locke
vita e opere

John Locke, filosofo e pensatore politico inglese (Wrington 1632-Oates 1704). Figlio di un medio proprietario terriero, seguì gli studi universitari a Oxford, ma l'ambiente non gli riuscì congeniale; vi conobbe tuttavia alcune figure significative, tra cui il rettore Owen, un puritano abbastanza tollerante, che ebbe una qualche influenza sul suo pensiero politico. Del 1664 è il saggio Essay on the Law of Nature. Nel 1666 accaddero due eventi decisivi per la sua vita: iniziò lo studio della medicina, che gli avrebbe consentito di restare all'università senza prendere gli ordini religiosi, e conobbe Anthony Ashley Cooper, il futuro conte di Shaftesbury, che lo accolse in casa, dapprima come medico, poi come tutore del figlio, in seguito come consigliere su ogni questione pubblica e privata, e lo introdusse nel mondo dell'alta politica londinese, nominandolo successivamente segretario alle presentazioni e segretario per il commercio e le piantagioni (1673); ma soprattutto fu il braccio destro di Shaftesbury, incaricato di molte questioni politiche tra le più complesse. Alla caduta di Shaftesbury (1675), Locke partì per la Francia, dove rimase fino al 1679. Dopo la scoperta della congiura del duca di Monmouth, che Shaftesbury appoggiava come erede al trono contro il cattolico duca di York (poi re Giacomo II), Locke fu accusato di essere a parte della congiura e dovette rifugiarsi in Olanda (1683); vi rimase fino alla rivoluzione (1688). Durante il regno dello statolder d'Olanda, Locke fu sempre consigliere autorevole e ascoltato del partito whig; ma a partire dal 1691 visse quasi sempre in campagna, a Oates, a causa della precaria salute. Partecipò tuttavia ai dibattiti di politica economica, contribuì, anche finanziariamente, alla fondazione della Banca d'Inghilterra, tenendo vivi i contatti con i principali imprenditori dell'epoca. Negli ultimi anni, abbandonata la politica, si occupò quasi esclusivamente di religione commentando tre lettere di San Paolo (Paraphrases and Notes on the Epistoles of St. Paul). Oltre all'attività politica Locke svolse anche un'attività di medico, non limitandosi alla raccolta di notizie e documentazione sui progressi di quella scienza in Europa, ma esercitando con impegno la professione. Questi due dati sono essenziali per comprendere l'atteggiamento specifico che Locke ebbe costantemente nei confronti della filosofia e della cultura in generale: alla cultura della tradizione, e in particolare alla filosofia, Locke muove il rimprovero di aver perso ogni contatto con le attività pratiche dell'uomo e anzi di intralciare il loro libero svolgimento: l'aristotelismo della scuola non comprende né spiega i concreti procedimenti delle scienze, anzi li ostacola con concetti privi di applicabilità; la cultura politica si rifiuta di prendere in considerazione il modo in cui le comunità umane effettivamente si costituiscono e si governano; la teologia, poi, ha reso irriconoscibili le semplici norme etiche dei Vangeli e le non meno semplici verità metafisiche su cui esse si fondano. Su queste premesse, l'attività filosofica di Locke si propose sempre di liberare la pratica, nei suoi vari aspetti etici, religiosi, politici, scientifici, dagli impedimenti cui essa era vincolata da una metafisica astratta, e di ricondurre ogni attività umana ai semplici principi teorici da cui effettivamente muove. Tradizionalmente, Locke è considerato il padre dell'empirismo; ma il concetto di esperienza che egli teorizza è tutto incluso nel più ampio concetto di ragione, quale fonte e contenuto di ogni attività conoscitiva fondata sul nostro concreto rapporto con la realtà sensibile in cui ci muoviamo; essa è la legge stessa della natura, che la vera conoscenza al tempo stesso segue e riproduce. La principale opera filosofica di Locke, An Essay Concerning Humane Understanding (1690; Saggio sull'intelletto umano), a cui fece seguito nel 1697 Of the Conduct of the Understanding (Del modo di condursi dell'intelletto umano), è il tentativo di ricostruire l'intero processo della conoscenza vera, a partire dai suoi costituenti più semplici, le idee di sensazione. Infatti, chi sostiene l'esistenza d'idee innate, indipendenti da ogni esperienza e a essa precedenti, si scontra con il dato obiettivo della varietà di principi etici e conoscitivi, che sono di fatto ammessi da comunità umane legate a contesti d'esperienza diversi; d'altra parte, a spiegare le nostre idee, anche le più elaborate, non occorrono concetti metafisici, ma è sufficiente l'analisi, che mostra come esse si formino, secondo semplici leggi, a partire da idee semplici. La stabilità delle leggi naturali secondo cui si costituisce la nostra conoscenza viene dunque a sostituire la stabilità dei principi ontologici cui la metafisica tradizionale sottoponeva la realtà. Nella sua analisi Locke tende a mostrare innanzitutto la possibilità di una diversa comprensione dei concetti e dei processi fondamentali della conoscenza, attraverso cui essa ritrovi la sua caratteristica di attività disponibile a tutti gli uomini dotati di ragione, e non solo ai depositari di una scienza particolare, la metafisica. Nel conoscere l'uomo attivo non usa il complicato armamentario della scuola, ma compie un'attività naturale, che muove da ciò che, per definizione, è immediatamente e universalmente disponibile: la sensazione. Nell'Essay on the Reasonableness of Christianity (1695; Saggio sulla ragionevolezza del cristianesimo), Locke fa vedere come anche la religione, sebbene rivelata, possegga gli stessi caratteri d'intrinsecità rispetto all'esperienza comune e alle sue regole di convivenza, facendo decadere buona parte della teologia senza negarne la verità, essendo sufficiente affermare l'identità del cristianesimo con un piccolo numero di verità teologiche ed etiche, perfettamente conformi a natura e a ragione. Nei Two Treatises of Government (1690; Due trattati sul governo), Locke, con compiti analoghi a quelli che si era proposto nella gnoseologia, ha respinto le teorie che, come quella della monarchia di diritto divino, mascheravano, nel pensiero e nei fatti, la vera natura dei rapporti politico-sociali per mostrare come la società politica derivi in modo naturale dall'esigenza di risolvere i conflitti che altrettanto naturalmente sono sorti dallo sviluppo delle condizioni materiali di esistenza degli uomini nei loro rapporti con la natura. Il lavoro, che è il modo in cui l'uomo determina in maniera vincente il proprio rapporto con la natura, origina la proprietà; e dall'esigenza di garantire la proprietà nasce la comunità politica organizzata, che è essenzialmente un sistema di garanzie contro le prevaricazioni di tutti contro tutti, compresi i corpi o le persone a cui venga delegata una quota direttamente maggiore di potere. Nei suoi scritti sulla tolleranza, dall'Essay Concerning Toleration del 1667 alle quattro lettere del 1685, 1690, 1692 e 1704 (incompiuta), Locke sostiene che le opinioni religiose devono essere libere, a condizione che esse non danneggino la società politica. Questo perché nessun uomo è leso nella sua persona o nei suoi averi dalle opinioni degli altri; e d'altra parte, nella varietà di opinioni esistente, chi può erigersi a giudice di quale sia la verità? A questo modo Locke è stato il primo teorico del principio della tollerabilità delle opinioni, sia per il potere sia per la proprietà su cui esso si fonda: ciascuno è libero di proporre le sue regole del gioco, purché non pretenda di imporle, finché esse si collochino nell'ambito delle regole effettive. Il pensiero di Locke ebbe una larghissima influenza anche nel campo pedagogico. A esso riconduce non solo l'opera Some Thoughts Concerning Education (1693; Alcuni pensieri sull'educazione), scritta con intenti esclusivamente pedagogici, ma tutti gli scritti politici o religiosi e lo stesso Saggio sull'intelletto umano. Le preoccupazioni pedagogiche di Locke sono quasi esclusivamente rivolte al nobile inglese, che metteva l'attività del commercio e dell'industria sullo stesso piano dell'arte di governo. A questo scopo occorre - dice Locke - un'educazione che metta in grado l'individuo di amministrare con abilità, fermezza e giustizia gli affari privati e pubblici, che sviluppi la formazione umanistica, ma non si limiti a essa e comprenda anche gli esercizi per conservare il corpo forte e vigoroso e per renderlo capace di obbedire agli ordini della mente; questa, da parte sua, dovrà prepararsi a saper discernere tra le molte azioni dell'uomo quelle conformi alla dignità ed eccellenza della sua natura ragionevole, all'amore riverente per Dio e alla sincerità e benevolenza nei riguardi degli uomini; alla saggezza come capacità di dirigere i propri affari, alla civiltà, alla cultura, abituandosi a trovare la concatenazione e l'ordine tra le varie idee; a mantenersi sereni tra le molte opinioni, dando il proprio assenso solo a quelle che ci convincono con prove irrefutabili. La cultura infine deve essere una guida, che conduce l'intelletto alla libertà, in quanto capacità di scegliere quelle cognizioni che sono di vero giovamento allo spirito e che nel materiale portano all'acquisto di vantaggi.
[Modificato da lovelove84 21/03/2012 09:04]
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Michel Eyquem signore di Montaigne - vita e opere

Biografia
Michel de Montaigne, moralista francese (castello di Montaigne, Périgord, 1533 - 1592). Nel castello paterno ricevette un'educazione libera e originale, secondo i metodi pedagogici del Rinascimento italiano che il padre, soldato di Francesco I, aveva avuto modo di apprezzare. Dal 1539 al 1546 proseguì gli studi, inutili e pedanteschi a suo dire, al collegio di Duyenne, a Bordeaux e quindi alla facoltà di diritto di Tolosa. Nel 1554 entrò come consigliere alla Cour des aides di Périguex e nel1557 divenne membro del Parlamento di Bordeaux, dove conobbe Étienne de La Boétie (morto prematuramente nel 1563: M. si farà editore postumo della sua opera). Alla morte del padre, nel 1568, Montaigne divenne proprietario del castello e decise di abbandonare la carica di consigliere (1570) per vivere nelle proprie terre. Difficile spiegare, se non con il desiderio di assoluta indipendenza che egli nutriva, tale rinuncia per un gentiluomo che era già stato al seguito della corte in due occasioni, nel 1558 e nel 1562, e che era stato insignito del titolo di gentiluomo di camera del re. Il suo isolamento non fu tuttavia totale, poiché ricorsero più volte alle sue doti di prudenza e moderazione per difficili negoziati durante il periodo torbido delle guerre di religione. Nel ritiro fervido di studi (lesse Seneca, Catone, Plutarco, gli scettici) cominciò a raccogliere le sue riflessioni per la prima edizione degli Essais (Saggi), uscita in 2 vol. a Bordeaux nel 1580; saggi intrapresi, egli assicura, per studiare se stesso e farsi conoscere da amici e familiari. Il suo pensiero in questa fase oscilla tra stoicismo e scetticismo, tra l'affermazione del dominio della volontà e della ragione sulle passioni e le inquietudini che accompagnano il rifiuto del dogmatismo, alla luce dei fatti dell'esperienza, sintetizzato nel motto Que sais-je?, tratto da Sesto Empirico. Espose lungamente le sue idee sullo scetticismo nell'Apologie de Raymond de Sebond (Libro II, 12), che doveva introdurre la traduzione fatta qualche anno prima della Theologia naturalis del catalano Ramón Sabunde del sec. XV. Dopo la pubblicazione dei Saggi intraprese un lungo viaggio attraverso l'Europa per curarsi del "male della pietra". Attraverso la Baviera e la Svizzera giunse in Italia e soggiornò soprattutto a Roma. Le sue impressioni sono raccolte nel Journal de voyage, redatto in italiano e in francese (e scritto in parte da un segretario), rimasto inedito per due secoli e conosciuto solo nel 1774. Ai Bagni di Lucca ricevette la notizia della sua elezione a sindaco di Bordeaux, carica che tenne saggiamente, destreggiandosi abilmente tra Enrico di Navarra ed Enrico III, tra la Lega Cattolica e i protestanti, dal 1581 al 1585. In quell'anno la peste lo costrinse ad abbandonare il castello, dove fece ritorno all'inizio del 1586. Riprese la stesura dei Saggi, ampliando con nuove osservazioni i primi due libri e aggiungendone un terzo, nel quale assume lo studio di se stesso come esempio dell'"essere universale". Nel 1588 uscì la nuova edizione e negli ultimi anni Michel de Montaigne attese alla riedizione dell'opera, che la morte gli impedì di realizzare e che avvenne nel 1595 per merito dei suoi esecutori testamentari, Pierre de Brach e Marie de Gournay, la fille d'alliance incontrata durante l'ultimo viaggio a Parigi. Attraverso le varie fasi dell'opera emergono alcune costanti della figura di Montaigne: quella dell'umanista immerso nei libri e insieme quella dell'honnête homme, sensibile ai piaceri, moderato, tollerante, modello ante litteram dell'uomo ideale del sec. XVII. Per la loro stessa concezione, i Saggi non forniscono una trattazione sistematica del pensiero di Montaigne, ma procedono per temi, seguendo stimoli occasionali. In essi Montaigne ricerca l'uomo, ma sa trovare solo l'individuo, la cui vita è preda di continui mutamenti. Di qui l'impossibilità di raggiungere conoscenze certe, di poter assumere un criterio sicuro di giudizio; la sua ricerca rimane quindi ancorata a un atteggiamento scettico. Per la vita pratica Montaigne raccomanda lo spirito di tolleranza, il rispetto delle leggi e un certo distacco dalle cose mondane; nel problema pedagogico egli s'ispira ai principi liberali e naturalistici del Rinascimento. La duratura attrazione esercitata attraverso i secoli da Montaigne va cercata nella sua apertura di spirito, nella profondità dei problemi posti e infine, in epoca moderna, nella piena assunzione della sua lezione d'individualismo.

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Max Weber - vita, opere

Max Weber nasce ad Erfurt il 21 aprile 1864, figlio di una importante famiglia tedesca di religione protestante; il padre fu magistrato e parlamentare. Sin da piccolo mostra interesse per la storia, i classici antichi e la filosofia; stimolato dalle intense frequentazioni intellettuali che riempiono la casa paterna, legge Omero, Virgilio, Livio, Cicerone, Machiavelli, Goethe, Spinoza, Schopenhauer, Kant. Tuttavia, i suoi insegnanti lamentano la sua mancanza di rispetto per la disciplina. Già a quattordici anni Max Weber scrive due saggi storici: Sullo sviluppo della storia tedesca, con particolare riferimento alla posizione dell'Impero e del Papato e Sull'età dell'Impero romano da Costantino alle migrazioni dei popoli. Il giovane Weber appare timido e riservato e risente della forte autorità paterna. Molte delle tensioni interiori che caratterizzarono la sua esistenza dipesero in parte dalla intricata rete delle sue relazioni familiari, oltre che dal desiderio di fuggire dalla vuota atmosfera politica della Germania guglielmina in cui viveva e lavorava.
Studiò prima alle Università di Heidelberg, di Berlino e di Gottinga e, dopo il servizio militare a Strasburgo (dove frequentò lo zio, lo storico Baumgarten), si laureò all'Università di Berlino nel 1889 con lo storico Mommsen, con una tesi di storia economica sulla storia delle società commerciali nel medioevo. In seguito aderì al Verein für Sozialpolitik, che mirava all'ambiziosa elaborazione una nuova teoria sociologica in grado di unire la teoria dello sviluppo sociale, la teoria della conoscenza scientifica e la pratica politica. Due anni dopo Max Weber portò a termine un importante studio di storia agraria romana con cui si abilitò all'insegnamento universitario. Nel 1893 sposò Marianne Schnitger, con la quale ebbe un intenso legame morale e intellettuale, e ottenne la cattedra di economia politica all'università di Friburgo dove l'anno dopo tenne la prolusione Lo Stato nazionale e la politica economica, con cui manifestò apertamente la sua fiducia nella Realpolitik imperialistica. Nel 1896 passò alla cattedra di economia politica all'Università di Heidelberg, ma, colpito da una grave malattia nervosa, è costretto a dare le dimissioni nel 1903.
Viaggia allora in Italia, Corsica e Svizzera per sedare il suo stato di ansietà. A partire dal 1903 entra nella direzione della prestigiosa rivista "Archivio di scienza sociale e politica sociale", ove pubblica L'"oggettività" conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904). In questi anni appare L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5).
Sempre nel 1904 si reca negli USA per circa tre mesi su invito del collega Hugo Münsterberg, per assistere a un Congresso di scienze sociali a St. Luis e riceve una vivida impressione della società americana. L'origine di molte sue concezioni, elaborate più tardi, riguardo il ruolo delle sette protestanti nell'affermarsi del capitalismo, la burocrazia e il presidenzialismo americano, può essere rintracciata in questo periodo di permanenza in USA. La sua partecipazione alla vita politica si va facendo sempre più intensa: si interessa direttamente alla rivoluzione russa del 1905.
Nel 1907, grazie ad un'eredità, può dedicarsi completamente ai suoi studi. Collabora alla fondazione dell'Associazione tedesca di sociologia, in un congresso della quale, nel 1910, prende netta posizione contro l'ideologia razzista. Ne uscirà nel 1912, a causa di divergenze sulla questione della neutralità assiologica (avalutatività). Assume però la direzione del Grundriss der Sozialökonomik (1909), un'opera enciclopedica cui da un decisivo contributo con il trattato di sociologia generale Economia e società (1922, postumo). Intanto continua a occuparsi di sociologia della religione con il saggio metodologico Alcune categorie della sociologia comprendente (1913).
Negli anni precedenti alla Prima Guerra Mondiale la casa di Weber a Heidelberg diventa il centro di frequenti visite intellettuali: vi transitano i sociologi Tröltsch, Simmel, Michels, Sombart, Paul Honigsheim, Kurt Löwenstein, i filosofi Emil Lask, Wilhelm Windelband, Heinrich Rickert, il critico letterario e storico Friedrich Gundolf e lo psichiatra-filosofo Karl Jaspers, oltre che i giovani Ernst Bloch e Georg Lukacs. Dal 1916 al 1917 Weber svolge diverse missioni ufficiose a Bruxelles, Vienna e Budapest; cerca di convincere i dirigenti tedeschi a evitare l'estensione del conflitto, ma nello stesso tempo afferma la vocazione della Germania alla politica mondiale.
Dopo la proclamazione della Repubblica di Weimar, aderisce al nuovo partito democratico (di centro-sinistra borghese, aconfessionale), presentandosi candidato all'Assemblea nazionale nella circoscrizione di Francoforte, senza tuttavia essere eletto. Weber non partecipò mai, in posizione dirigente, alla vita politica del suo paese.
Negli anni della repubblica di Weimar, egli era passato da convinzioni parlamentaristiche a convinzioni repubblicano-presidenzialistiche e ad una concezione cesarista della direzione politica, considerata come la miglior forma di governo in una società di massa, l'unica in grado di garantire la democrazia.
Dopo la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale si recò a Parigi come membro della commissione per la riparazione dei danni di guerra, collaborando alla redazione del Libro bianco tedesco, per controbattere le accuse mosse alla Germania come sola responsabile della guerra. Nel 1918 tiene all'Università di Monaco le conferenze La scienza come professione e La politica come professione, nonché le lezioni sul Significato della "avalutatività" nelle scienze sociologiche ed economiche. Il problema che affronta è la definizione di un'equazione funzionale fra, da un lato, lo Stato come protagonista di una politica di potenza, e, dall'altro, l'opportunità di dare agli ordinamenti democratici un'ampiezza più o meno estesa.
Le sue ultime battaglie politiche si indirizzano contro l'antisemitismo. Nel 1920 abbandona il partito democratico, di cui disapprovava le concessioni fatte al programma di socializzazione dei socialdemocratici. L'ultima notte di maggio di quell'anno si ammala di febbre spagnola e, dopo due settimane di vigorosa resistenza, muore il 14 giugno, a Monaco.

Weber è tradizionalmente riconosciuto come uno dei padri della sociologia; in realtà, ha sviluppato studi rilevanti anche per altre discipline, quali la storia, l'economia e la scienza politica. Come si evince dalla sua biografia fu una personalità assai complessa; rappresentò, forse nel modo più completo, la figura dell'intellettuale-filosofo continuamente alla ricerca, rigoroso e al contempo attento all'evolversi del mondo che lo circonda. La sua opera è percorsa da un senso di inquietudine, dalla percezione di una crisi strutturale della società europea e numerosi critici hanno colto nelle sue teorie sociologiche e storiche il riflesso della filosofia di Nietzsche.
E' possibile delineare il percorso di ricerca di Weber attorno ad alcuni ambiti fondamentali e interconnessi:
- La questione dell'epistemologia e del metodo delle scienze sociali;
- L'analisi della civiltà occidentale moderna;
- La definizione dei concetti chiave della sociologia.

Weber cerca di chiarire di che cosa la sociologia debba occuparsi. In tal senso egli si preoccupa preliminarmente, reagendo alla tradizione del positivismo, di distinguere scienze sociali e scienze naturali. Weber, infatti, sulla scia dello storicismo di Dilthey, nega la possibilità di analizzare i fenomeni sociali e politici utilizzando le stesse categorie concettuali che le scienze naturali utilizzano per i fenomeni fisici, come pretendevano i positivisti.
Egli intende le scienze sociali come scienze comprendenti, ossia scienze che hanno per oggetto l'agire sociale in quanto comportamento dotato di significato. Per Weber allora la sociologia è la scienza che cerca di comprendere i fenomeni dell'agire umano, scoprendone le "cause". Essa, tuttavia, si differenzia nel suo approccio dalla scienze naturali; data la complessità e articolatezza dei fenomeni sociali, molto maggiore di quelli fisici e naturali, la sociologia può ricostruire non tanto le cause dei fenomeni, quanto l'insieme delle condizioni o delle influenze che possono determinarli. Le conclusioni cui tali indagine conduce vanno, tuttavia, sempre valutate e ricontrollate continuamente, tenendo presente che lo scienziato sociale è in qualche modo sempre coinvolto in quel che studia e che, quindi, le sue conclusioni possono essere influenzate dalla sua condizione o dalla sua esperienza storica particolare.
A tal proposito Weber introduce così il concetto di idealtipo. Gli idealtipi sono delle costruzioni di pensiero di cui lo scienziato sociale si serve per generalizzare i fenomeni analizzati, sono astrazioni attraverso cui è possibile condurre l'infinità varietà della realtà a insiemi di categorie più maneggevoli. Esempi di tipi ideali utilizzati da Weber sono concetti come burocrazia, potere carismatico, capitalismo occidentale moderno. In particolare l'agire sociale secondo Weber può essere studiato suddividendolo in quattro tipi ideali: 1) agire razionale rispetto allo scopo (es. agire di un ingegnere), 2) agire razionale rispetto al valore (es. agire determinato dalla religione), 3) agire affettivo (es. comportamento amoroso), 4) agire tradizionale (es. agire determinato da particolari abitudini).
Una considerazione importante che si ritrova nell'idea che Weber ha del modo di studiare dello scienziato sociale si lega poi al concetto di avalutatività. Weber ritiene infatti che nella sua attività di studio e ricerca lo scienziato sociale non debba inserire i propri giudizi di valore rispetto ai fenomeni che analizza.
Gli studi di Weber hanno grande rilevanza anche per la comprensione della società capitalistica moderna. Le sue riflessioni, frutto di attente ricerche di storia economica e giuridica, permettono infatti di definire le caratteristiche essenziali, le origini e il destino di tale società. Egli considera il capitalismo come un sistema economico al cui interno i soggetti agiscono in modo pacifico utilizzando lo scambio; in particolare il capitalismo occidentale moderno si caratterizza per 1) l'organizzazione razionale del lavoro formalmente libero, cioè l'utilizzo di lavoratori salariati, giuridicamente liberi, per lo svolgimento dell'attività dell'impresa; 2) lo sviluppo di mercati aperti; 3) la separazione tra famiglia e impresa; 4) lo sviluppo di un diritto formalmente istituito. L'origine del capitalismo occidentale è individuata da Weber in forme specifiche della cultura europea nei secoli iniziali dell'età moderna, ossia in forme religiose. Questa idea è da lui sviluppata nel saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo. Weber individua un nesso tra la religione protestante e le basi di senso del capitalismo. Il protestantesimo, infatti, presenta una serie di caratteri ritenuti favorevoli allo spirito capitalista, quali l'enfasi sull'individuo di fronte alla fede e l'idea della professione come vocazione espressa dal termine tedesco Beruf. Ma soprattutto l'imperscrutabilità del giudizio divino, in conseguenza del quale per i protestanti diventa centrale la dimensione del lavoro e della professionalità metodica: il successo nell'attività lavorativa infatti può interpretarsi come un segno della benevolenza divina. In tal senso Weber parla appunto di ascesi intramondana: poiché il protestante aderisce al mondo nel compimento del proprio Beruf, ma nello stesso tempo è asceta del mondo poiché rinuncia a ogni godimento e fugge ogni tentazione. Ma, come Weber nota, questa è proprio la tensione culturale tipica del capitalista che si dedica nel modo più sistematico e razionale possibile alla propria professione economica, rinunciando nel contempo al desiderio di utilizzare i guadagni per goderne.
L'opera di Weber, come detto, ha rilevanza anche per i concetti chiave che egli elabora per la sociologia. E' possibile rinvenire tali concetti in particolare nel suo testo postumo Economia e società. Tra di essi si segnalano:
-La distinzione, presente già in Tönnies, tra comunità, intesa come comune appartenenza soggettivamente sentita, e società intesa come convergenza di interessi;
-Il concetto di lotta come elemento tipico della società umana, che distingue la sociologia weberiana da quella di Durkheim, in cui si enfatizzava invece l'elemento dell'ordine. Tale elemento avvicina Weber a Marx, anche se in Weber (coerentemente con la sua visione avalutativa delle scienze sociali) il concetto di lotta è assunto in modo puramente analitico e slegato da connotazioni politiche;
-La distinzione tra potere e potenza: la potenza costringe gli individui a seguire la volontà di chi la impone; il potere invece induce gli individui a obbedire ad un comando perché i soggetti ritengono legittimo il potere da cui il comando emana. Il potere si lega, quindi, a una dimensione istituzionale, assente nella potenza. Weber distingue inoltre tre forme di legittimazione del potere: quella tradizionale, determinata dall'influenza di situazioni passate, quella carismatica determinata dalle qualità personali di un individuo particolare, quella razional-legale, determinata dagli ordinamenti istituzionali;
-Il concetto di burocrazia, che costituisce la forma più tipica del potere razional-legale: parlando di burocrazia Weber intende in generale ogni forma di organizzazione razionale del lavoro; essa è considerata un elemento tipico delle società moderne ampie e complesse, pur avendo coni d'ombra legati alla spersonalizzazione che comporta e allo scarso valore innovatore dipendente dalle sue procedure standardizzate;
-Il concetto di ceto, individuato come l'insieme di individui che condividono un certo status riconosciuto socialmente, senza che questo status coincida necessariamente con la posizione economica;
-Il concetto di processo di razionalizzazione della modernità e il disincanto del mondo che vi è connesso. Questo tema attraversa diverse opere di Weber, da Sociologia delle religioni, a Economia e società e La scienza come professione. Tale processo consiste secondo Weber nel crescente predominio delle logiche di efficienza e produttività e nella fiducia nel fatto che le cose possano essere dominate dalla ragione. Lo sviluppo di questa fiducia comporta un disincanto del mondo, poiché gli uomini gradualmente espellono dal loro atteggiamento ogni riferimento a spiegazioni e comportamenti magici, metafisici e religiosi. Di qui la scissione tra razionalità e valori, tra cultura e natura, tipica del mondo moderno. Di qui il problema del senso della modernità che Weber pone.
Nella teoria weberiana si ritrovano molti elementi che consentono di rappresentare adeguatamente i problemi che nascono dal rapporto determinato-indeterminato (ossia la relazione tra contesti istituzionali e coscienze soggettive) che caratterizza la situazione sociale: infatti la determinatezza dell'ordinamento legittimo e tradizionale non viene vista univocamente come funzionale e fondante per la prevedibilità sociale, ma anche come fonte potenziale di alienazione e distruttività di dimensioni centrali della vita umana.
L'analisi weberiana si sviluppa come indagine di tipo storico sulle strutture e sulle evoluzioni dei processi di mediazione simbolica, nel loro rapporto con situazioni ambientali e eventi storici. Resta, tuttavia, irrisolto in Weber il problema sociologico classico dell'antinomia tra libertà individuale e forme oggettivanti di determinazione sociale, e secondo alcuni critici, si spiega così il motivo per cui Weber tenda, come abbiamo visto, a valutare (sopravvalutare?) il processo di razionalizzazione come destino irreversibile del mondo occidentale.
Al di là di queste considerazioni critiche, comunque, le teorie di Weber per la varietà di aspetti e di idee da cui sono caratterizzate hanno una grande centralità per il pensiero, non solo sociologico, contemporaneo. Numerose scuole teoriche ne sono state influenzate o comunque si sono confrontate con lui, dal marxismo a una certa parte della sociologia fenomenologica, da Habermas alle più recenti interpretazioni dell'individualismo metodologico, dalla sociologia centroeuropea a quella nordamericana. Né si possono trascurare le implicazioni che le sue ricerche hanno avuto nei campi della storiografia, soprattutto economica e sociale, e della scienza politica che gli restano debitori di intuizioni importanti. Lo stesso dibattito filosofico sulla modernità e la sua inquietante ambivalenza lo ha posto tra i suoi referenti più sottili e autorevoli. Qualunque studioso o studente si avventuri alla ricerca della conoscenza degli aspetti storici, sociali, morali, economici, politici, epistemologici del mondo che lo circonda non può fuggire Weber, il suo insegnamento e la sua instancabile attività, che sta vividamente a ricordare, come egli scrisse, che "se gli uomini non tentassero continuamente l'impossibile, il possibile non verrebbe mai raggiunto".
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Non mi sembra possibile.......


Non mi sembra sia possibile immaginare una societa` senza religioni. E` come immaginare l`universo come veramente e` !
Per me e` assolutamente inconcepibile una societa` senza religioni. Le religioni sono sempre esistite,tu ne hai dato un piccolo esempio,dico piccolo perche` di religioni se ne parla di centinaia.
Puo` essere, che chi crede,vede e prova il conforto e convinzione di un essere sopranaturale che tutto puo`. In questa convinzione e fede unita a prove tangibili ci sono pure io.
Infondo,questo senso di vita ha uno scopo...... immaginare una societa` priva di religioni,e` immaginare l`inizio della fine
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