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"Viaggiando nella Bibbia" Riassunto Generale

Ultimo Aggiornamento: 06/07/2014 10:41
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[SM=x2515800] [SM=x2515800] "Viaggiando nella Bibbia" Riassunto Generale [SM=x2515800] [SM=x2515800]




b.lettura


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CAP. I
[SM=g6198] [SM=g6198] paradiso: mito o realtà [SM=g6198] [SM=g6198]

1. Qualche difficoltà sul Paradiso

La scienza oggi dice che l'evoluzione è un'ipotesi molto probabile.
La Bibbia dice che l'uomo è stato creato direttamente da Dio (Gen. 2, 7) «Fece l'uomo col fango della terra». Chi dei due ha ragione?

Nel primo racconto della creazione (cf. Gen. 1, 26), l'uomo è creato per ultimo.
Nel secondo, invece, (cf. Gen. 2, 7) l'uomo è creato per, primo.
Come si spiega una simile contraddizione?

Molti miti e leggende dei tempi antichi parlano «dell'albero di vita» (Gen. 2,9), del serpente (Gen. 3, 1), di un'epoca paradisiaca all'inizio dei tempi.

Il linguaggio della Bibbia può essere interpretato in senso mitico e leggendario?

Nel Paradiso terrestre sgorga una fonte che alimenta quattro fiumi:
il Tigri, l'Eufrate, il Nilo, il Gange (Gen. 2, 10-14).
Dove trovare il luogo geografico di una simile sorgente?

Come è possibile che Dio faccia dipendere tutta la miseria umana dal peccato di una sola coppia?
Come è possibile che la donna sia stata formata dalla costola dell'uomo?
E la formazione dell'uomo dal fango della terra?

Domande del genere derivano dal fatto che forse incoscientemente attribuiamo al racconto del Paradiso un valore storicoinformativo. Cioè supponiamo che l'autore abbia scritto quelle pagine per farci sapere come andarono concretamente le cose, all'inizio della storia dell'umanità.

Lo schema mentale col quale leggiamo e giudichiamo il racconto del Paradiso non corrisponde all'intenzione dell'autore che ha scritto quelle notizie.

2. II punto di vista di chi ha scritto il racconto del Paradiso

L'autore vive centinaia di migliaia di anni dopo i fatti avvenuti, non gli importa nulla del passato in quanto tale;
ciò che gli interessa è la situazione che lui sta vivendo.
C'è qualcosa che non funziona.
Il futuro è in pericolo.
Bisogna correre ai ripari.
Il problema lo tormenta e lo spinge a scrivere.
Si tratta di un uomo profondamente realista.

Potremmo riassumere così l'intenzione dell'autore:
1/ Sente la situazione disastrosa del suo popolo e si propone di denunciare il male, apertamente.

2/ Non si ferma solo alla denuncia generica, ma tira le conseguenze delle responsabilità in gioco.
Vuole che il lettore arrivi ad individuare «l'origine» del disagio, del male che è causa di tutto il resto: «il peccato originale».

3 / Dal momento che la responsabilità è vaga e quasi incosciente, descrive i fatti in modo tale da coscientizzare i suoi fratelli circa una loro possibile colpa.

4/ Si 'propone di svegliarli ad un agire completo, che stronchi il male dalla radice, in modo da trasformare la situazione di malessere in una di benessere.
In altre parole, è ciò che la Bibbia chiama: «conversione».

5/ In fine, garantisce che la trasformazione è possibile, perché la forza che la realizza, che è la volontà di Dio, è più potente della forza che mantiene la situazione di malessere, in questo modo risveglia la volontà di lottare e di resistere al male, e genera speranza e coraggio.



3. Situazione concreta che l'autore si propone di denunciare

La capacità di percepire il male dipende, in gran parte, dal grado di cultura.
La mancanza di acqua, per esempio, è un male per noi, ma non altrettanto per un beduino del deserto.
L'autore denuncia il male d'accordo con la sua cultura, col suo tipo di coscienza e secondo la sua sensibilità.

Anzitutto egli denuncia una ambivalenza generale nella vita.

1/ L'amore umano, così bello in sé, è diventato strumento di dominazione (Gen. 3, 16). Perché?

2/ La generazione di nuovi figli, destinata ad aumentare la felicità tra gli uomini, avviene tra i dolori del parto (Gen. 3, 16) Perché?

3/ La vita stessa è ambivalente: voglio vivere, ma la morte sta in agguato (Gen.3, 19). Perché?

4/ La terra, destinata a produrre alimento per l'uomo, produce solo «triboli e spine» (Gen. 3, 18). Perché?

5/ Il lavoro, che dovrebbe essere mezzo di sussistenza, nasconde alcunché di incomprensibile:. molto sforzo e poco rendimento (Gen. 3, 19). Perché?

6/ Esiste inimicizia tra uomini ed animali. La vita non corre sicura. Il pericolo dei serpenti è reale.
Perché la vita combatte la vita? (Gen. 3, 15).

7/ Dio, creatore e amico degli uomini, di fatto, però, genera la paura (Gen. 3, 10\ Perché?

Inoltre, l'autore constata una violenza estrema: Caino uccide Abele, un uomo litiga con un altro uomo e si vendica fino a 77 volte (Gen. 4, 24).
Verifica che la vita di fede è - di fatto decrescente e si riduce ad un rito, ad una mescolanza di magia e superstizione, in cui il divino e l'umano si confondono (Gen. 6, 1-2).

Nota, infine, una totale disintegrazione dell'umanità:
non ci intendiamo più, tutti litigano gli uni con gli altri, tutti vogliono dominare.
L'uomo vive sulla difensiva (Torre di Babele, Gen. 11, 1-9).

Intorno a lui si verifica una situazione di caos completo.
La maggior parte non ne ha coscienza e contribuisce ad aumentarla sempre di più.
L'autore vuole che gli altri si accorgano del pericolo che corrono, andando di questo passo.
Egli è un autentico «non-conformista». Perché?

È convinto che non si può dare la colpa a Dio.
E neppure si può dire:
«Pazienza! Prendiamola come viene! È Dio che vuole così!»
Non gli passa neppure per la testa di cercare in Dio o nella religione il rimedio per una falsa pazienza che viene a patti con la situazione.
La sua fede gli dice:
«Dio non vuole tutto questo!».

Ne derivano due domande fondamentali:

1/ Come Dio vorrebbe, allora, che fosse il mondo?

2/ Se il mondo non è come Dio vuole, chi ne è il responsabile?
La sua fede in Dio ha fatto di Lui un uomo cosciente che non si adatta alla situazione.
Questa, anzi, lo spinge a resistervi, a cercare una soluzione e a stimolare gli altri perché raggiungano il suo stesso livello di coscienza:
«Se Dio non vuole che il mondo sia così com'è, io non posso contribuire perché continui così come sta! ».


SEGUE…





"Viaggiando" nella BIBBIA...

[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. I [SM=g6198] [SM=g6198] (seguito)

4. Dio come vorrebbe il mondo? Situazione ideale.

Neppure l'autore sa come dovrebbe essere il mondo.
Sa soltanto che Dio è buono, giusto, verace.
Per cui si immagina una situazione diametralmente opposta a quella che egli conosce.

Una situazione di radicale benessere:il Paradiso.
Nel Paradiso' descritto dal Gen. 2, 4-25:

l/la donna non è più dominata dal marito ma è la sua compagna, in tutto uguale all'uomo (Gen. 2, 22-24);

2/ la vita non finisce mai, perché c'è «l'albero della vita» (Gen. 2, 9);

3/ la terra produce alberi e frutti abbondanti e non è deserta (Gen.2, 8-9);

4/ il lavoro non opprime, anzi è leggero e rende molto, perché aver cura di un giardino alberato non richiede troppa fatica (Gen. 2, 15);

5/ la fertilità della terra è garantita da un'abbondanza d'acqua che nessun'altra parte del mondo possiede (Gen. 2, 10-14);

6/ gli animali, invece di essere nemici dell'uomo, gli obbediscono e lo servono (Gen. 2, 18-20);

Dio è amico degli uomini ed ha familiarità con loro perché passeggia, chiacchiera con Adamo (Gen. 3, 8); 8/ non esiste violenza, né abuso (in senso magico) delle cose divine e neppure dominio arbitrario sugli altri.

È la perfetta armonia:
armonia tra l'uomo e Dio, tra l'uomo e gli altri uomini, tra l'uomo e gli animali, tra l'uomo e la natura.
È l'ordine radicale; tutto l'opposto del caos che egli conosce e soffre nella vita quotidiana.

Non esiste più ambivalenza.
È ciò che Dio vuole.
Il Paradiso è - per così dire - il bozzetto del mondo.

Una tale pianta della costruzione del mondo Dio la consegnò all'uomo, suo impresario, affinché egli, con le proprie mani costruisse la sua felicità.

L'uomo possedeva la possibilità reale:
1/ di vivere sempre ed essere immortale;

2/ di essere felice senza mai soffrire;

3/ di vivere in armonia con Dio senza mai peccare.
Non solo ce l'aveva, ma ce l'ha, perché Dio non ha cambiato idea.
Dio vuole ancora quel Paradiso.
Tale Paradiso dovrebbe esistere.
Con la sua descrizione l'autore denuncia il mondo di cui ha esperienza.

E il lettore, illuminato dalla sua denuncia, si pone la domanda, che è il primo passo verso la 'conversione':
«Ma perché, allora, il mondo è tutto il contrario di quello che dovrebbe essere?
Chi è il responsabile?».

Posto il problema, la risposta sarà data dalla descrizione del «peccato originale».

5. Chi è il responsabile? Qual è l'origine del male che esiste nel mondo?

L'autore parla un linguaggio strano per le nostre orecchie, ma molto chiaro e realista per quell'epoca.
La proibizione:
«Non mangerai dell'albero del bene e del male» suona arbitraria per noi.
Ma per loro, l'immagine dell'albero rappresentava la sapienza che guida l'uomo nel corso della vita. (Prov. 3, 18).
La Sapienza determinava il bene e il male, cioè quello che portava o no alla pienezza della vita, presso Dio.

Dio stesso aveva dato all'uomo una simile capacità di conoscenza, per mezzo della legge.
Per cui l'uomo che volesse definire da solo ciò che lo avrebbe portato o no alla vita (bene e male), poteva trovare qualunque cosa, eccetto la vita. Avrebbe trovato la morte.

La proibizione di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male significa la denuncia di un'umanità che non si cura della legge di Dio e decide di essere lei stessa il criterio unico e assoluto del proprio comportamento morale;
la vita non è più per l'uomo né dono né impegno, è sua proprietà esclusiva, al di fuori di qualsiasi rapporto di valori.
Per l'autore, la legge di Dio è strumento di ordine e di progresso.
La osservanza porta alla conquista della Pace e alla costruzione del Paradiso.

La radice del disordine stava nel fatto che i suoi contemporanei cominciavano ad abbandonare la legge, che sarebbe come dire la
«dichiarazione dei diritti e dei doveri degli uomini».

Il frutto proibito significa l'abuso della libertà contro Dio e perciò contro lo stesso uomo.

Per quale ragione gli uomini abbandonavano quel progetto di vita?
Il serpente li attraeva.
Il serpente simbolizza la religione cananea:
religione piacevole, con il culto rituale del sesso, libera da qualsiasi impegno etico, esigente soltanto rispetto al rito.
Costituiva la grande tentazione che lusingava il popolo a rifugiarsi in un rito facile, lontano dalle dure esigenze della legge.
Era questa, concretamente, al tempo dell'autore, la radice del peccato del popolo.

Con una simile precisazione l'autore spinge i suoi contemporanei ad una seria revisione di vita.
Il loro mondo potrebbe essere differente se non andassero dietro al 'serpente'.
L'autore non pensa tanto a quello che è successo in passato, quanto a ciò che accade intorno a lui e, forse in lui stesso.
È una confessione pubblica di colpa.

Adamo e Eva potrebbero chiamarsi: «Un Uomo e una Donna», per dire:
tutti noi.
Essi sono lo specchio critico della realtà che aiuta a scoprire in noi l'errore localizzato in Adamo ed Eva.

È proprio inutile chiedersi:
«perché dobbiamo soffrire noi per causa di un Uomo e di una' Donna?».
Non si tratta di scaricare la colpa sugli altri, ma di arrivare a riconoscere:
«Sono io che faccio questo! lo sono corresponsabile del male che esiste».

L'Autore non è nostalgico:
«Anticamente, tutto era così buono! ».

Egli vuole che tutti si scuotano, si sentano responsabili e aggrediscano il male alla radice, dentro di loro.
Vincere è sempre possibile, perché Dio lo vuole.
La descrizione dell' «origine del male» non si conclude con la catastrofe del «peccato originale».
La deviazione iniziale è appena il primo passo della disgrazia.

1/ Slegato da Dio, abusando della propria libertà contro Dio stesso, l'uomo si slega anche dal fratello: Caino uccide Abele; Caino rappresenta chiunque maltratta e uccide il fratello.

2/ La violenza si moltiplica spaventosamente fino a settantasette volte (Gen. 4, 24).

3/ Separatosi da Dio e dal fratello, l'uomo si mette sulla difensiva e cerca salvezza nella fuga, usando il rito e la magia (Gen. 6, 1-2).

4/ Finalmente, continuando di questo passo, l'umanità si impenna e si disintegra perché la convivenza e l'agire insieme diventano impossibili. (Torre di Babele).

Nonostante tutto, però, l'autore spera e predice la vittoria dell'uomo sul male, che viene dal serpente.


SEGUE..



[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. I [SM=g6198] [SM=g6198] (seguito)





6. Soluzione proposta dall'autore

Responsabile di tutto è l'uomo. Per questo non gli è permessa la ribellione contro il male (qualunque esso sia) bensì la lotta per sconfiggerlo.
Ha la missione e la capacità di farlo, perché Dio lo vuole. Il Paradiso esiste e continua a esistere come possibilità reale, dal momento che Dio non l'ha distrutto.
Ha solo messo un angelo sulla sua porta, perché l'uomo non se ne impadronisca senza averne il diritto (Gen. 3, 24)., Il futuro resta aperto.

L'autore afferma che Dio non ha abbandonato l'uomo, perché:
«Dio fece loro un vestito» (Gen. 3,21), protesse Caino (Gen. 4, 15), salvò Noè dal diluvio, causato dal male dell'uomo (Gen. 6, 9-9.17). Infine, quando la disintegrazione dell'umanità rese impossibile l'agire insieme, chiamò Abramo per raggiungere in lui tutti gli altri (Gen. 12, 1-2).

Comincia allora la cosiddetta «Storia della Salvezza».
Il gruppo di uomini che cominciò con Abramo è - per così dire ~ il «partito di Dio» nel mondo, per cui è possibile credere di eliminare il male con la forza di Dio, portare a termine la trasformazione e costruire il paradiso, la pace totale.

Questo gruppo nasce da una radice autentica:
vive con Dio (Gen. 17 , 1-2), la fa finita con la discordia e forma un popolo, il «popolo di Dio» (Es. 6, 7); condanna ogni forma di magia e di ritualismo (Es. 20, 1-7), non vuole dominare e non si difende per dominare, ma serve (Es. 19, 6) sul significato di regno, di sacerdote e di nazione consacrata).
I lettori cui si rivolge l'autore fanno parte di questo 'popolo'.
Egli vuole che sappiano che significa appartenere al «popolo di Dio».
Devono formare un gruppo attivo in mezzo al mondo, un gruppo che ha preso coscienza della situazione, che conosce il senso della vita e lo porta avanti, resistendo e trasformando.
Tiene viva la speranza, garantita dalla volontà di Dio che vuole il bene.

Con la venuta di Gesù Cristo il progetto di Dio ha preso corpo e il Paradiso è diventato realtà, nella Sua risurrezione. Per questo Paolo dice che Gesù è un «Nuovo Adamo» (Rom. 5, 12-19) e Giovanni
nell'Apocalisse descrive il futuro che ci attende con immagini prese dal Paradiso Terrestre (Apoc. 21, 4; 22, 2-3).

7. Risposte alle difficoltà fatte in principio

Mito o realtà?

È realtà perché si tratta del destino dell'umanità. L'armonia descritta è una possibilità reale garantita dalla potenza di Dio, che si manifestò nella risurrezione di Gesù Cristo.

È mito in quanto l'autore si è servito del linguaggio e delle figure mitiche del suo tempo per esprimere e trasmettere questa realtà.

È storico o soltanto immaginario?

Non possiamo pensare che il Paradiso sia esistito davvero, così com'è descritto nel Gen. 2, 4-25.
È esistita ed esiste tuttora la possibilità reale per l'uomo di realizzare la perfetta armonia e pace, quando si lascia guidare dalla luce e dalla forza di Dio.

È inutile dire:
«perché Dio non ha dato una seconda possibilità ad Adamo ed Eva?».
La sta dando tutti i giorni a noi, fino ad oggi. Il problema non è di Dio e neppure di Adamo ed Eva, è nostro. Il Paradiso esisterà e diventerà storico' se noi lo vorremo e lavoreremo per costruirlo. L'unica spedizione che arriverà a scoprire il Paradiso è quella che cammina sempre verso il futuro.

Sull'evoluzione la Bibbia non fa parola, né a favore, né contro. Tratta solo il problema umano.
Ci dà la visione di Dio sulla vita. Non c'è né contraddizione né concordanza tra Gen. 1, 26 (l'uomo creato per ultimo) e Gen. 2, 7 (l'uomo creato per primo).
Sono due racconti differenti.
Ciascuno ha il suo obbiettivo proprio.
Quanto all'unica fonte che alimenta i quattro più grandi fiumi di quel tempo (Gen. 2, 10-14) si tratta di una figura letteraria per idealizzare la fertilità della terra.

L'uomo fatto col fango è un'immagine per dire che l'uomo nella mano di Dio è come un vaso di terra nella mano del vasaio: dipende totalmente da lui e, per se stesso, è molto fragile (Ger. 18-6).
La formazione della donna dalla costola dell'uomo è la rappresentazione drammatica e concreta del detto popolare:
«osso degli ossi miei» (Gen. 2,23) che spiega al tempo stesso l'origine divina della misteriosa attrazione dei sessi.
L'uomo non ne abusi.

Il serpente è il diavolo in concreto: ne parla il libro della Sap. 2, 24. La deviazione originale dell'uomo significa l'abuso della libertà o la disobbedienza alla legge di Dio espressa nei 10 comandamenti. Questi, a loro volta, esprimono ciò che ogni uomo sente essere il suo diritto e il suo dovere, quando vive con autenticità.

Come successe e quale fu la forma concreta del primo peccato?
Nessuno lo sa, né la Bibbia lo dice. La Bibbia dice solo che al tempo in cui l'autore scriveva la radice del male risiedeva concretamente nella deviazione verso la religione falsa dei Cananei.

Tocca a noi, oggi, esaminare la nostra realtà, così come l'autore ha fatto per quella del suo tempo, per scoprire qual sia, oggi, la forma concreta del «peccato originale» e qual sia, oggi, il 'serpente' che ci spinge ad essere infedeli a Dio e all'uomo.

Se l'autore vivesse oggi, descriverebbe le cose in un altro modo:
avrebbe esaminato attentamente la nostra situazione, avrebbe cercato l'origine del male, forse avrebbe descritto il mondo ideale così: un popolo sviluppato, tutti hanno un salario più che sufficiente, tutti sanno leggere e scrivere, la settimana lavorativa è di 40 ore, la casa è in proprio e c'è la partecipazione al lucro; lo scopo non sarebbe il guadagno ma il benessere individuale e sociale dell'uomo; non ci sarebbe né sfruttamento né violenza, né dominazione straniera; strade larghe, senza incroci; nessun incidente stradale né eccesso di vèlocità; sicurezza garantita per tutti, di modo che non ci sarebbe bisogno né di polizia né di esercito; niente baracche né miseria, nessun conflitto di generazioni, né difficoltà nell'educazione, ecc.
in una parola, la perfetta armonia, completamente l'opposto 'di quello che viviamo nel mondo.
Un Paradiso simile dovrebbe diventare realtà. È possibile costruire un simile futuro?

Ci ripetiamo allora la stessa domanda, molto più difficile di tutte quelle che ci siamo fatte all'inizio:
«Perché il mondo non è così?
Che cos'è che gli impedisce di marciare verso il futuro?
Chi ne è responsabile?
Dove sta la causa?
Che cosa fare per trasformare il mondo, dal momento che non è come dovrebbe essere?».
La Bibbia, cioè l'autore del racconto del Paradiso vuole portarci a formulare domande del genere, molto più serie e impegnative di tutte le domande della storia.

8. Conclusione

La descrizione del Paradiso terrestre è una confessione pubblica, un manifesto di resistenza, un grido di speranza, un invito alla trasformazione del mondo.

L'autore non dà «le prove» dell'esistenza di un «peccato originale». Verifica soltanto e cerca di determinare quale forma prese la deviazione al tempo suo.
Non gli importa di elaborare una teoria del come entrò il male nel mondo, ma cerca una strategia per cacciarlo dal mondo.

La dottrina del peccato originale è stata spiegata ulteriormente, a partire da Paolo (Rom. 5, 12-19; I Cor. 15, 21-22). Il peccato attacca l'uomo alla radice, ma non annulla la sua capacità di fare il bene. Nella misura in cui il peccato personale cresce, facciamo esperienze del 'peccato' originale: «mordiamo la mela», facendo crescere in tutti coloro che vengono dopo di noi i mali di cui l'umanità è 'colpevole'.

Il Battesimo dà all'uomo la capacità di misurarsi col male. Lo impegna col gruppo che crede nel progetto di Dio e che cerca di realizzarlo nella storia, sperandone aiuto da Dio, per mezzo di Gesù Cristo.




SEGUE...



[SM=g1916242] "Viaggiando" nella BIBBIA...






[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. II [SM=g6198] [SM=g6198]

Abramo: un uomo in cerca di assoluto.


1. Difficoltà sorte circa la figura di Abramo

Di Abramo si parla nel Gen. 12-25.
La sua vita non era facile ma lui godeva il vantaggio di avere Dio vicino a sé. Dio interviene, parla con lui ed orienta la sua vita.

E oggi?
Dove sta questo Dio?
Dio è cambiato, o noi siamo diventati più cattivi?
Se la storia di Abramo serve appena come esempio su cui riflettere per tirare qualche conclusione sulla mia vita, oggi, francamente preferisco pensare a Giovanni XXIII, a Luther King o a Gandhi. Uomini che hanno vissuto più da vicino la nostra vita di oggi.

Abramo ha vissuto una situazione del tutto differente.
Insomma, Cristo è già venuto, Abramo ha preparato la sua venuta.
A che serve esaminare ciò che è vecchio, dal momento che il nuovo sta sotto i nostri occhi?

Quando la casa è pronta, le impalcature si tirano via.
Continuare a discutere per sapere come era la vita di Abramo potrebbe essere una buona scusa:
«mi interesso di religione, quindi sono a posto e compio il mio dovere». Di fatto, però, non fa quello che dovrebbe per aiutare il mondo a diventare migliore.

Problemi del genere sono seri e mettono in dubbio la figura di Abramo rispetto a noi, oggi. Stando così le cose, come possono aiutarci testi antichi a risolvere i nostri problemi e a scoprire Dio nella nostra realtà?
Vale anche in questo caso quello che abbiamo già detto rispetto al Paradiso:
la nostra maniera di interpretare la figura di Abramo non corrisponde allo scopo dell'autore.



2. Il punto di vista della Bibbia rispetto alla figura di Abramo

Un esempio: celebriamo la presa di Roma commemorando il grido di Garibaldi: «O Roma, o morte».
Ci sono tante maniere di commemorare questo fatto:
1/i libri di storia adottati nelle scuole;
2/ il monumento di Garibaldi sul Gianicolo;
3/ la festa del XX Settembre;
4/ il proclama di Pio IX che nel 1870 si rinchiuse in Vaticano.
Maniere differenti di commemorare lo stesso fatto.
E se le analizziamo tutte attentamente, nessuna delle quattro è capace di darci una versione esatta del fatto in sé.

La storia è molto complessa; le interpretazioni sono spesso contraddittorie.
I libri di storia danno una versione del fatto in sé, e neppure la più oggettiva.

Il monumento di porta Pia, a Roma, ostenta l'importanza dell'avvenimento, così come lo sentirono coloro che l'hanno costruito.
La celebrazione del XX Settembre rivela un modo di interpretare il fatto; il proclama del Papa prigioniero ne rivela un altro.
Con la presa di Roma, ebbe inizio un processo, ancora in germe nel 1870, oggi molto importante per tutti noi;
la fine del potere temporale dei Papi.

I ricordi e le commemorazioni non si preoccupano del fatto in sé, quanto del significato che esso riveste per la vita.
Figuriamoci come sarebbe un monumento costruito a pezzi e bocconi: 1870.... 1970: Crispi - Mussolini - Saragat.
Ne risulterebbe un monumento sconnesso ed eterogeneo.
Ogni statista vi scolpirebbe un tratto corrispondente alla sua ideologia sulla libertà e sulla indipendenza.

I racconti della Bibbia rispetto ad Abramo compongono un monumento del genere.
Abramo visse verso l'anno 1800-1700 prima di Cristo.
In quel tempo lontano cominciò a nascere qualcosa, di per sé insignificante, ma molto amato dal popolo.

I discendenti di Abramo celebravano il fatto in sé, dandogli però il significato che assumeva per la loro vita.

In epoche successive (sec. X, sec. IX, sec. VI) si elaborarono nuove descrizioni corrispondenti alla mentalità del tempo;
finché, nel V sec., qualcuno stese la redazione definitiva, che è quella della nostra Bibbia.

È una mescolanza delle quattro descrizioni precedenti. Lo ha scoperto la ricerca scientifica degli ultimi 50 anni.
I racconti di Abramo somigliano a un monumento sconnesso ed eterogeneo.
Per cui è molto difficile sapere esattamente come andarono le cose, tanto più che la Bibbia non si preoccupa di dircelo.

L'interesse della Bibbia consiste nel presentare al popolo del suo tempo la figura di Abramo in modo tale che i contemporanei possano impararvi come scoprire la presenza di Dio e come camminare con lui nella vita. Camminare è indispensabile.

Ma tutto questo non è falsificare la storia?
Di un Tizio posso fare una fotografia o una radiografia.
Una è completamente differente dall'altra.
I libri di storia fanno la fotografia dei fatti.
La Bibbia li vede ai raggi X.

In tutt'e due i casi, i risultati sono reali, ma molto differenti. Inoltre, è quasi impossibile percepire tutta l'importanza e il senso di un fatto, nel momento in cui si svolge.
Ci riusciamo soltanto guardandolo da lontano.

Quando imbocchiamo una curva molto larga non ce ne accorgiamo neppure.
Ma chi guarda la strada da lontano è in grado di distinguere nitidamente l'inizio della curva.

Quando Abramo entrò nella «curva» che modificò il corso della sua vita, lui stesso, forse, non se ne rese conto.
Ma guardando il fatto a grande distanza, il popolo dice:
«la nostra vita con Dio cominciò lì, con Abramo».

La Bibbia racconta il fatto non già come lo visse Abramo, ma come lo vide il popolo a distanza di anni, attraverso il prisma dei problemi avvicendatisi nelle epoche successive della sua storia.

3. Com'era la vita di Abramo?

Da tutto quanto è stato detto, nasce una curiosità:
ma insomma, com'era la vita di Abramo?
Come avvenne quell'ingresso storico di Dio nella vita degli uomini?
Quale fu il fatto concreto in cui riconobbero l'inizio dell'azione di Dio?

Saperlo, ci aiuterà a vedere la nostra vita ai raggi X e a scoprire, là dentro, i segni della venuta e della presenza di Dio.
Abramo visse nei secoli XIX - XVII prima di Cristo.
Uscì dalla terra di Ur dei Caldei (oggi Irak, sul golfo persico), risalì l'Assiria (oggi Siria) fino alla città di Haran.
Di là, scese nella Palestina, entrò in Egitto, ritornò nella Palestina, dove morì nella città di Hebron.

Fece tutto per ordine di Dio, stava in contatto con lui.
Basta leggere la Bibbia (Gen. 12-25).
A questo punto bisogna notare' due elementi che illuminano il fatto dal punto di vista storico.

1/ In quel tempo esisteva un movimento emigratorio che, dalla regione del Golfo persico, attraversava la Siria e scendeva giù, lungo la Palestina, fino all'Egitto.
Abramo era uno dei tanti.
Non si distingueva dagli altri.

2/ Tutte le tribù che lasciavano le proprie terre in cerca di terre migliori, avevano i loro dèi. Erano gli «dèi della famiglia». Qualunque cosa facessero, era per ordine degli dei.

Conclusione:
ma allora Abramo era come tutti gli altri?
Non aveva niente di differente che lo distinguesse, neppure la sua fede?
Era uno dei tanti che si perdevano nella massa anonima?
Cosi sembra, guardando i fatti dall'esterno.

Che volevano significare quei popoli antichi quando parlavano di «Dio»? Che tipo di Dio era il loro?
il Dio della Bibbia o un altro, del tutto differente?

La religione comune a tutti i popoli che vivevano nel deserto, nacque, in parte, nella maniera seguente.
Succede sempre che la vita è il risultato di un'armonia fra la natura e l'universo:
piogge di primavera, greggi che svernano a valle, avvicendarsi delle stagioni, inondazioni che irrigano i campi, il sole che sorge ogni mattina, il giorno, la notte, i mesi e gli anni che si succedono.
Finché durerà tale armonia, la vita sarà al sicuro, perché la terra avrà di che germinare e l'uomo di che vivere.

Ma sappiamo che la vita è costantemente minacciata da forze imprevedibili:
terremoti, bufere, malattie, inondazioni disastrose ecc.
Ci sentiamo impotenti ad intervenire nelle forze dell'armonia e del disordine.
Sono più grandi di noi e non riusciamo neppure a spiegarle.
Si pensa che siano forze ultraterrene o divine. Per poter continuare a vivere, l'uomo deve farsele amiche.

Perciò comincia ad adorarle e così nasce la religione.

E, così, ogni popolo o gruppo umano si crea il suo dio protettore (patrono).

In quel lontano tempo, per vivere bene, in modo degno di un uomo, per garantirsi e preservarsi la vita, bisognava adorare gli dèi.
Guai a chi non lo avesse fatto!
Avrebbe messo e repentaglio la vita sua e quella degli altri, perché il Dio poteva irritarsi e non curarsi più di mantenere in equilibrio le forze della natura.

«Dèi» del genere non erano affatto Dio.
Erano espressione dei desideri e della paura degli uomini, della loro volontà di vivere.

Il culto dato agli dèi esprimeva la volontà dell'uomo di vivere con sicurezza.

In questo senso Abramo, al tempo suo, fu un uomo sincero, cercava di vivere bene, adorando quel Dio che aveva ereditato da suo padre.

Al giorno d'oggi la scienza ha demolito l'antica teoria dell'armonia e del disordine dell'universo.
Non provengono da forze divine. Per esempio:
il sole non sorge perché Dio lo spinge.
Le scoperte scientifiche hanno cambiato tutto.

Non è cambiata soltanto la volontà eterna dell'uomo di vivere una vita sicura, di riuscire ad essere fedele, di poter conservare la vita, di fare liberamente quello che gli dice la sua coscienza.

Al tempo di Abramo gli uomini riuscivano a farlo adorando le divinità e esercitando culti di magia.
Anche oggi c'è tanta gente che fa lo stesso, cercando di dare senso e valore alla vita.

Abramo cercava l'ideale della vita, il valore assoluto, cioè il valore più alto che, per se stesso, dà valore a tutto il resto.
Anche oggi c'è tanta gente che cerca il valore della vita e il valore assoluto, con una religiosità simile a quella di Abramo.
Alcuni lo fanno senza pensare alla religiosità, né a Dio né alla divinità, come per esempio nel lavoro per la famiglia, nello sforzo di costruire un mondo più giusto, più umano, più fraterno, nella professione di medico, di avvocato ecc.

Tutti pensiamo di realizzare la nostra vita umana e di cogliere nel segno.

In fondo, la preoccupazione di tutti è la stessa, benché le forme concrete di viverla siano molto diverse.
In quel tempo tutti vivevano il senso verticale della 'divinità'!
Oggi molti preferiscono il senso orizzontale dell"umanità' (lavorare per gli altri dare il mio contributo per il bene di tutti).



SEGUE..





[SM=g1916242] "Viaggiando" nella BIBBIA...

[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. II [SM=g6198] [SM=g6198] (seguito)



4. Dio come entrò nella vita di Abramo e come entra nella nostra?


La Bibbia, narrando come Dio entrò nella vita di Abramo, lancia un raggio X molto potente sulla nostra esistenza e ci rivela per quale breccia Dio entra nella vita dell'uomo facendosi incontrare da lui nel momento esatto in cui l'uomo si sforza di essere uomo, cioè quando lotta per realizzare l'ideale che si è proposto.

È questa la porta per cui Dio entrò nella vita di Abramo.
È un'entrata quasi impercettibile, all'inizio.

Sconosciuto, Dio entra nell'autobus dell'umanità, compra il biglietto, si mette a parlare con i passeggeri, si siede accanto ad Abramo, e quando questo si decide a dargli confidenza, Dio è già al volante.

Dio non entra presentandosi con un biglietto da visita:
«Io sono il Creatore, Signore di tutte le cose! Tu mi devi ubbidienza».

Dio entra alla chetichella, come un amico, per la porta di servizio, sempre aperta, prendendo posto nella vita dell'uomo e lasciando che l'uomo scopra da sé chi Lui sia.

Infatti quelle divinità erano proiezioni dell'uomo, espressioni delle sue più profonde aspirazioni.
In tutte queste maniere concrete di vivere la vita umana, si scoprono, poco a poco, i lineamenti del volto di 'qualcuno'.
Abramo e il suo popolo sentono una «Presenza attiva» (al di là delle apparenze con cui essa non si identifica) che si impone per l'evidenza.

Non si tratta più di quella divinità che, in fondo in fondo, dipendeva dall'uomo, ma di qualcuno da cui l'uomo dipende, capace di trasformare lentamente tutta la sua vita.

Incomincia, qui, quella curva larga e definitiva di cui il popolo percepirà pienamente il valore solo molto tempo dopo.
Nell'antica maniera di adorare le forze impersonali della divinità si vanno delineando, poco a poco, i tratti del volto del vero Dio.
Come il fiore che rompe il boccio, facendone cadere le prime foglie.

Il grande messaggio che ne deriva è la risposta sicura alla domanda:
«dove è Dio?»
«Dove lo posso incontrare?»
Dio si fa incontrare ed entra nella vita, là dove l’uomo cerca di essere sincero con se stesso e con gli altri, là dove scopre e vive l'assoluto.

Là dobbiamo cercare, tutt’oggi, i tratti del volto di ‘qualcuno’ in cui crediamo.
Non dobbiamo cercarli anzitutto nel culto.
Il nostro culto ha senso soltanto se esprime ciò che viviamo, giorno per giorno.

Abramo accettò questa presenza e si lasciò trasformare.
Guardando dal di fuori, niente sembra cambiato ma, di dentro, comincia a brillare una luce che lanciò i suoi raggi all'intorno, fino agli ultimi confini dell'universo e portò gli uomini a scoprire che questo ‘qualcuno' è Dio, creatore del cielo e della terra.

Per questo la figura di Abramo era così importante ed aveva tanto valore per quelli che vennero dopo di lui.

Ma se tutto passò così inosservato, come si spiega allora il dialogo costante fra Dio ed Abramo che la Bibbia racconta?
Dialogo vuol dire comunicazione fra due persone.
Ci sono mille maniere di dialogare.

Quando il marito parte per un viaggio, le mille e una cosa che porta con sé, gli ricordano la moglie.
È un dialogo, è una 'presenza' della sposa nella sua vita.
Presenza che lui solo sa, ama, e scopre continuamente, perché vive insieme a lei l'amicizia e l'amore.
Chi ama una persona, in ogni cosa la rivede e la sente presente.

I dialoghi formulati con parole umane rendono concreto ciò che il popolo ha scoperto di Dio, perché vive in amicizia con lui.
Quando una persona accoglie la presenza di Dio nella sua vita e crede in Lui, si stabilisce un dialogo tutto particolare, incomprensibile per chi ne sta al di fuori, ma perfettamente comprensibile per chi vive la 'presenza'.

Leggendo la storia di Abramo, ci incontriamo con un uomo come noi, che cerca di cogliere nel segno della vita e, in questo sforzo, arriva a incontrarsi col vero Dio.
Dio non stava né più vicino né più lontano da Abramo di quanto non lo sia oggi da noi.

Perché, dunque, oggi, non ci incontriamo con Dio?
Forse perché la nostra vista non è buona.
Siamo così preoccupati con una determinata immagine di Dio, che finiamo col pensare che 'quello' non è Dio!

Il nostro apparecchio ricevente non entra in sintonia con la frequenza di onda degli appelli di Dio.
Quel Dio che si rivelò ad Abramo ed è il nostro Dio, è il «Dio degli uomini>>, che non teme di restare nascosto.

Non si accorge della farfalla chi va a caccia di aquile.
Non vede il fiore chi cerca alberi.
Dio è veramente presente e si rivela, per esempio, nell'abnegazione della mamma per la sua famiglia, nel lavoro dell'operaio per mantenere i figli, nella lotta dei giovani per, un mondo più umano, nella gioia sincera d'incontrare un amico, nella comprensione che ci viene dall'altro e ci consola.
Qui sta il volto di Dio, e lo scopriamo poco a poco, un tratto alla volta.


5. Alcune conclusioni importanti

L'entrata di Dio nella vita degli uomini è silenziosa.
Egli si rivela via via e s'impone non nel chiasso ma nel silenzio e nella calma, a chi ha occhi per vedere.
Quando l'uomo arriva ad interessarsi della sua presenza, Dio già stava lì da tanto tempo.

Perché allora la Bibbia ci dice che Dio entrò nella vita di Abramo in modo brusco e quasi violento? (Gen. 12, 1-4).
Solo da lontano si vede meglio dove comincia la 'curva', dove comincia la trasformazione.

Anche se entra inosservato, Dio esige una 'conversione' totale, una vera rottura, una trasformazione della vita.
Dio si presenta come il futuro di Abramo:
«lo sarò il tuo Dio» (gen. 17, 7).
In altre parole:
«Affida a me tutto quel mondo di cose che vai mendicando agli dèi. lo sono il tuo Dio! te lo giuro!».

Così, l'entrata di Dio mette l'uomo di fronte ad una scelta radicale:
o scegliere questo Dio o ritornare alle divinità del passato.

Il Dio che entra è esigente:
« Voglio essere 'lo' il tuo Dio!» Non permette, quindi, che Abramo vada dietro ad altri dèi (monoteismo).
Se Abramo accetta di seguirlo, deve tenere il passo che lui vuole (aspetto etico della religione rivelata) e il suo futuro sarà garantito dalla fedeltà e dalla potenza di questo Dio (speranza nel futuro-messianismo).

Il difficile sta nell'accettare le condizioni che Dio gli pone e camminare nella fede:
Abramo è il prototipo dell'uomo che cammina nella fede, cioè che ha accettato le esigenze di Dio nella sua vita.

Deve uscire dalla sua terra per avere una terra, ma quando muore possiede solo un lotto dove seppellire le sue ossa.

Deve abbandonare la famiglia e il popolo per diventare padre di un popolo ma, al momento della sua morte, ha solo un figlio.

Quando Dio gli parlò e gli promise una numerosa posterità, Abramo non aveva figli e neppure poteva averne.
Era duro credere nella parola, perché non dava garanzie.
Nacque Isacco, e Dio gli ordinò di sacrificarlo.

Era lo stesso che uccidere l'unica speranza di essere il padre di un popolo.

Eppure Abramo fu pronto a distruggere l'unica garanzia e ad appoggiarsi unicamente sulla parola di Dio (Gen. 22, 1-18; Ebr. 2, 18).

Dio, a volte, è contraddizione.
Promette numerosa discendenza e ordina di uccidere il figlio.

Promette una terra e vuole che abbandoni la terra e, durante tutta la vita, Abramo non ebbe nessuna terra.

Eppure, per la sua fede, per la sua fiducia in Dio, Abramo fu così amico di Dio da diventare il suo confidente (Gen. 18, 17-19).

Un simile Abramo non corrisponde alla storia concreta della vita di Abramo, ma all'ideale di fede, proprio del tempo dell'autore.
Così avrebbero dovuto vivere i suoi contemporanei per essere degni di far parte del popolo, nato con Abramo.


6. Risposte alle difficoltà sorte in principio

La prima domanda o difficoltà ha già trovato la sua risposta nell'esposizione precedente.
La storia di Abramo risponde esattamente alla domanda:
«dove sei Dio?».

La storia non serve solo per trarne conclusioni sulla nostra vita di oggi (anche per questo).
Suo scopo è invitare il lettore ad essere lui stesso un Abramo nella sua vita:
uno che cerca di fare il punto sulla vita, che è sincero con se stesso e con gli altri, per scoprire, così, la presenza di Dio nella sua vita.

Cristo è già venuto.
È vero.
Ma per molti è come se non fosse venuto.
Forse, anche per noi.

Nessuno riesce a vivere perfettamente integrato con Cristo.
L'importante è che anche oggi lo uomo arrivi a scoprire come deve camminare per incontrare la sua piena realizzazione in Cristo.

La storia di Abramo ci dice proprio questo:
il primo passo della marcia verso Cristo è la sincerità della vita, l'amore della verità, la ricerca sincera dell'assoluto.

«Chi ama la verità, ascolta la mia voce». (Gv. 18, 37; 3, 17-21; 8, 44-45). Chi si mette su questa strada, scoprirà il volto di Dio nella vita.

Analizzare la vita di Abramo soltanto per sapere come visse e fermarsi lì, non rispecchia l'intenzione della Bibbia.

La risposta alle difficoltà di ordine storico ha suscitato nuove domande e nuove difficoltà, ancora più gravi e compromettenti delle prime:
«Cerco Dio dove lui si fa incontrare, o preferisco cercarlo là dove molto difficilmente si incontra?
Cerco Dio dentro o fuori della vita?
Se gli altri non sanno niente di Dio, la colpa non sarà proprio di noi cristiani, perché la nostra vita non rivela il volto di Dio?».



SEGUE..




[Modificato da mlp-plp 06/07/2014 10:41]
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