Benvenuti nel forum

Lo scopo di questo forum
è di dare a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione
su ogni argomento dello scibile umano
rimanendo nel rispetto di OGNI
membro che lo compone.
L'apologia della propria religione è consentita.
Ci aspettiamo da ogni utente che si iscriverà qui,
la propria presentazione nell'apposita sezione
e l'estensione del proprio cordiale saluto a tutti gli iscritti
i quali sono invitati ad accoglierlo altrettanto cordialmente





Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

"Viaggiando nella Bibbia" Riassunto Generale

Ultimo Aggiornamento: 06/07/2014 10:41
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 3.408
Post: 2.407
Registrato il: 31/05/2007
Registrato il: 03/08/2007
Sesso: Maschile
Utente Master
Amministratore
06/07/2014 10:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota





[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XII (seconda parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

il discorso della montagna:
consiglio, legge o ideale?






4. La vita di una persona spiega e dà senso alle parole che dice



In mezzo a tante opinioni contrastanti, non è facile definire quale fu il genuino pensiero di Gesù!

L'esegeta corre sempre il rischio di presentare le sue idee personali, come se fossero di Gesù.

Tuttavia è pur necessario fissare dei criteri che ci aiutino a vedere con chiarezza come orientare la nostra vita.

Perché quello che diremo non sia soltanto il nostro pensiero, ma corrisponda davvero a quello che il Vangelo ci dice di Gesù, credo che sia indispensabile situare il discorso della montagna dentro l’ambiente generale della vita di Gesù e vedere come Lui viveva e praticava ciò che insegnava e proponeva agli altri.

La vita di Gesù ci darà la chiave per aprire la porta che ci introduce dentro il discorso della montagna.

Per esempio:
Gesù disse che non ci si deve arrabbiare (Mt. 5, 22), ma Lui andò su tutte le furie e non una sola volta (Mt.3, 5).

Arrivò al punto di fare una frusta e cacciare i venditori dal tempio (Gv. 2, 5).

Gesù disse che non si possono insultare gli altri ma Lui stesso insultò e usò parole molto forti contro gli altri:
«Ipocriti» (Mt. 23, 27),
«Figli di assassini» (Mt. 23, 31),
«Sepolcri imbiancati» (Mt. 23, 27),
«Serpenti! Razza di vipere» (Mt. 23, 33).

Disse che bisogna dare la guancia destra a chi ti percuote sulla sinistra (Mt. 5, 39).

Ma Lui stesso, quando ricevette uno schiaffo, non offerse l'altra guancia.

Anzi, protestò energicamente e reagì con decisione:
«se ho parlato male, dimostramelo;
e se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv. 18, 23).

Disse che non dobbiamo preoccuparci col mangiare, col bere, col vestire, ma Lui aveva con sé i 12 apostoli che pensavano a tutto (Mt. 16, 7).

E anche un gruppo di «pie donne» che «gli davano assistenza con le loro sostanze» (Lc. 8, 3).

Disse che non si devono giudicare gli altri (Mt. 7, 1), ma Lui li giudicò quando disse al popolo:
«Fate tutto quello che i Farisei vi dicono, ma non imitate le loro opere, perché loro dicono, ma non fanno» (Mt. 23, 3).

Non si può ignorare questo modo di vivere di Gesù, quando vogliamo spiegare il vero senso delle sue parole.

Dalla vita ci vengono gli elementi per spiegare il vero senso delle parole.

Vita vissuta e parola pronunciata sono come la cassa di risonanza e le corde:
formano un tutto inscindibile, l'unità della chitarra che trasmette la musica e il messaggio del discorso della montagna che arriva fino a noi.

Inoltre, succede oggi al discorso della montagna, lo stesso fenomeno che si verificò con la persona di Gesù Cristo:
si danno molte opinioni, tra le più disparate, ma nessuna riesce ad esprimere tutta la realtà.

Tutti si sentono in dovere di dare pareri ma nessuno coglie nel segno: non è una legge, non è per una é1ite, non è per gettarci nella disperazione, non è solo una cornice, né soltanto una mentalità... Ma, allora, che è?

La stessa cosa accadde anche a Gesù.

Tutti lo conoscevano, l'avevano sentito parlare e davano pareri su di Lui.

Alcuni erano perfino molto belli, ma erano come le bolle di sapone dai mille colori:
appena le tocchi, svaniscono.

Una volta Gesù riunì i suoi discepoli, per fare un'indagine sull'opinione del popolo a suo riguardo:
«Chi dicono che io sia?» (Mc. 8, 23).

Risultato spaventoso:
nessuno ci indovinava.

Chi diceva che era Giovanni Battista o Elia, chi pensava che fosse un profeta (Mc. 8, 28).

Mettendo insieme le opinioni, sparse lungo i vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento, si nota la grande varietà dei giudizi dati su Gesù e sul suo messaggio:
«uomo di Dio» (Gv. 3, 2),
«agitatore che sovverte il popolo» (Lc. 3, 2),
«il profeta Geremia» (Mt. 16, 14),
«il profeta promesso e atteso» (Gv. 6, 14),
«un pericolo permanente per il popolo» (cf. Gv. Il, 47-50),
«un distruttore delle sante tradizioni» (Mt. 26, 61),
«un uomo che non viene da Dio, perché non osserva il sabato» (Gv. 9, 16), «pazzia e scandalo» (1 Cor. 1, 18.23),
«mangione e beone, amico dei pubblicani e peccatori» (Mt.11, 19),
«il Messia o Cristo» (Mc. 8, 29).

In fondo in fondo, ciascuno giudica Gesù da quello che ne sa, da quello che è e che vuole.

Lo riducono alle dimensioni dei loro pensieri.

Cristo, là dentro, ci sta stretto.

Sta stretto negli schemi inventati da noi.

Prima o poi, li fa crollare tutti, con la forza del Nuovo, che è Lui.

Come si vede, accadde a Gesù quello che sta accadendo al discorso della montagna.

Ma perché nessuno ci indovina?

Forse un esempio popolare, preso dalla vita quotidiana, può aiutarci a capire il problema:

Cento anni fa, un povero contadino, un giorno, andò in città e per la prima volta vide un aereo:

«una grande carcassa di ferro lucente, con due grandi ali, che si alzava da solo da terra e volava».

Tornando al suo paesetto, dove nessuno ancora aveva visto, né aveva sentito parlare di aereo, cercò di spiegare che cosa era un aereo.

Quando ebbe finito di parlare, ognuno cercò di dire la sua, per spiegare quello che aveva capito:
«Vola?»
«Vola sì, ma non batte le ali»;

«Fa chiasso?»,
«Altro che!
Ma la voce non esce dal becco»!

«Ha il becco?»
«Sì, ma non lo apre».

«Mangia e beve?»
«Beve la benzina, ma non ha stomaco»

«Digerisce?»
«Sembra di sì, perché tutto il liquido sparisce nel suo ventre, ma non ha intestino»

«Vola da solo?»
«Vola, ma non è vivo» «Ma come è possibile una simile cosa, amico mio! ».

Nessuno riuscì a farsi un'idea esatta di quello che fosse un aereo.

Il poveretto cercò di paragonare l'aereo a tante cose, che i suoi amici conoscevano.

Ma l'aereo era una cosa così nuova, che non c'era verso di paragonarlo, costringendolo ad entrare nelle categorie familiari a quel popolo.

Solo vedendolo con i propri occhi e toccandolo con le proprie mani, avrebbero potuto capire e rendersi conto che cosa fosse quella carcassa meravigliosa, di cui il loro amico parlava con tanto stupore.

Successe così a Gesù e così succede anche oggi al discorso della montagna.

La persona, la vita, le parole di Gesù furono così nuove e differenti che non entravano nella testa del popolo di quel tempo e neppure del tempo nostro.

Cercarono e cerchiamo ancora di paragonarlo a cose e persone di nostra conoscenza:
Giovanni Battista,
profeta,
uomo di Dio,
legge,
causa di disperazione,
consiglio,
mentalità,
cornice.

Ma, tutti i nostri concetti messi insieme non sono capaci di arrivare alla radice, là dove Gesù pensa e agisce.

Non c'è verso di capire chi è Cristo e che senso abbia il discorso della montagna, usando solo le idee, che nascono da noi.

Sputiamo sentenze e non cogliamo nel segno.

Perché, prima di Gesù, Dio mai si è fatto così piccolo, così vicino?

Così umano, così nascosto dentro la vita?

Era così nuovo, che soltanto vedendo e toccando da vicino Gesù in persona, convivendo con Lui, poteva darsi che la mente del popolo si aprisse per capire chi fosse Lui e che senso avesse il discorso della montagna.

Qui sta la chiave per capire il discorso della montagna.

Dove mai ci porterà il «nuovo», incarnato nella vita di Gesù?



SEGUE..






[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XII (terza parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

il discorso della montagna:
consiglio, legge o ideale?






5. Il nuovo che si rivela nella vita e nella parola di Gesù



Esaminiamo tre aspetti, per avere un'idea dell'ambiente in cui situare
il discorso della montagna.

1/L'arrivo di Gesù: la forza dell'amore che trasforma.

Con la venuta di Gesù tra gli uomini le cose sono cambiate.

È' accaduto qualcosa di assolutamente nuovo.
Gesù arriva come il padrone:
caccia l'usurpatore (Lc. 11, 22),
spazza la casa (Lc. 11, 25),
pulisce l'aia (Mt. 3, 12).

La famiglia umana ritrova la pace e il benessere;
i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi odono (Mt. 11, 5),
la gioia, la felicità ritornano a brillare sul viso dei poveri (Lc. 6, 20.21),

gli emarginati, prostitute, peccatori, pubblicani, sono riammessi nel consorzio umano (Mc. 2, 16; Lc. 7, 36-50),
le malattie sono curate (Mt. 8, 16-17; Mc. 6, 56),
la natura non è più una minaccia (Mt. 8, 23-27) e serve l'uomo (Lc. 7, 1-17; Mc. 5, 41-43),

i peccati vengono accusati (Mt. 23, 13-31; Gv. 16, 8-9) e sono perdonati (Mc. 2, 5; Lc. 7, 48),
i deboli sono accolti, senza essere condannati (Gv.8, 1-11),
la giustizia è proclamata (Mt. 5, 10-20; 6, 33),
la sincerità è Proclamata (Mt. 6, 1-6; Mc. 7, 17-23),
la verità è annunciata (Gv. 8, 46),

le barriere cadono, gli uomini si uniscono, un soffio di amore rinfresca la vita (Gv. 13, 34-35; Mt. 11, 28-30) e fa risuscitare le ossa spolpate (cf. Ez. 37, 1-14).

Come la terra secca, nel deserto, rinasce sotto la pioggia, così l'umanità si rinnova, sotto l'azione benefica di Gesù Cristo.

Qualcosa è cambiato fin dalla radice:
il mondo è liberato dal peccato e dall'errore (Gv. 1, 29), che vengono sradicati, perché la colpa è confessata (cf. Mc. 1, 5) e perdonata.

Si spezza la forza del male e agonizza, ferita a morte, perché il demonio è espulso, (Lc. 11, 20; Gv. 12, 31; Atti l0, 38 ecc.)
gli uomini sono liberati da ogni forma di oppressione (Lc. 4, 18), rinascono al bene, la cui vittoria già si fa sentire (Gv. 16, 33).

La venuta di Gesù fu davvero una festa per tutto il popolo (Lc. 2, 10), la trasformazione incominciò con la sua venuta;
era il semaforo verde, aspettato da secoli.

Segno che il Regno di Dio era venuto (Lc. 11,20;
17, 21; Mc. 1, 15).

2/ L'arrivo di Gesù: luce che confonde e provoca:

col bene e l'amore appaiono anche il male e l'odio.

Gesù arriva e divide gli uomini (Gv. 7,43; l0, 19).

Tutti si sentono raggiunti da Lui e prendono posizione.

Nessuno rimane neutrale (Lc. 11, 23).

Il suo arrivo è come un giudizio (Gv. 3, 19-21):

quelli che affrontano la vita, senza preconcetti e senza interessi egoistici, quelli che amano la verità, si dichiarano dalla parte di Gesù e riconoscono in Lui la voce di Dio (Gv. 8, 32; 18, 37; Mt. 11,25).

Ma coloro, cui manca l'amore alla verità, resistono alla voce di Cristo (Gv. 8,43. 44), la imbavagliano (cf. Gv. 11, 57), la marginalizzano (cf. Gv. 9, 22) e, alla fine, la soffocano nel sangue di un assassinio, ratificato ufficialmente dalla legge (Gv. 19, 7).

Davanti a Dio, gli uomini si definiscono.

Gesù non fa niente che provochi resistenza:
è solo una presenza umile e decisa di amore e di verità (Gv. 8, 39-40), e ne fa brillare la luce in tutti i nascondigli, in cui gli uomini si rifugiano.

Ne rivela, pertanto, tutte le debolezze e i difetti e, soprattutto, denuncia la mancanza di autenticità e di sincerità (Gv. 8,45-47; 3, 19-21; 12,46-50).

Risveglia negli uomini la voce della coscienza addormentata sotto il cumulo delle leggi e dei precetti umani.

Chi ha paura della sua coscienza reagisce e cerca di soffocare la voce di Cristo.

Chi è sincero, accetta il giudizio di Cristo e vi aderisce. (Gv. 3,21;
6, 68).

Le acque si rischiarano, perché si fa più nitida la separazione tra buoni e cattivi.

Il giudizio è in corso (Lc. 22, 51; Mt.l0, 35).

Nonostante la forza della resistenza, Gesù non è raggiunto né vinto dagli attacchi dei suoi avversari, che lo trascinano a morte, proprio perché Lui è libero (cf. Gv. lO, 18).

3/ L'arrivo di Gesù: esigenza di un cambiamento radicale di vita.

Gesù provoca una reazione, perché non chiede permesso per agire e per parlare, ma parla e agisce con una libertà spaventosa.

Si presenta proprio come il padrone della situazione.

Colloca delle esigenze che nessun uomo, prima di Lui, neppure si sognò di porre agli altri.

Fa di se stesso la norma, il criterio, il fine di tutto l'agire umano.

Solo Lui possiede la chiave della vita, che apre la porta della felicità.

E non solo ce l'ha, ma dice che la chiave è Lui.

Basta esaminare le sue affermazioni:
«Io sono la porta» (Gv. lO, 9),
non esiste un'altra porta di entrata per la salvezza.

«Io sono la luce del mondo» (Gv. 8, 12), fuori di Lui tutto è tenebra.

«Io sono la verità» (Gv. 14, 6), tutto il resto è menzogna. (Prov. 8, 44).

«Io sono la vita» (Gv. 14, 6), non c'è altra via per sfuggire alla morte (Gv. 11, 25-26).

«Io sono il cammino» (Gv. 14, 6), senza di Lui l'uomo si perde (Lc. 11, 23).

«Io sono il pane della vita» (Gv. 6, 35), senza di Lui abbiamo fame (Gv. 6, 35).

Lui è la fonte dell'acqua (Gv. 7, 37.38), senza di Lui l'uomo non riesce a spegnere la sua sete (Gv. 4, 13-14).

Per amore di Lui gli uomini devono essere pronti a rinnegare tutto
(Lc. 14, 33), altrimenti non possono essere suoi discepoli.

Per amore suo, bisogna essere pronto a perdere la vita (Mc. 8, .35), altrimenti non si può avere la vita.

Chi va dietro a Lui, deve portare la croce tutti i giorni (Lc. 9, 23).

Lui si mette al di sopra dei genitori e dei fratelli e non permette che si preferisca la famiglia a Lui (Lc. 14, 16).

Dice che solo Lui sa qualcosa su Dio (Mt. 11, 27) e che nessuno va a Dio se non attraverso di Lui (Gv. 14, 6).

Il maggior peccato consiste nel non credere alla sua parola (Gv. 16, 9).

Nel porre questa esigenza, non dà spiegazioni, né si giustifica.

Quando gli chiedono soddisfazione, non ,risponde (Mc. 8, 11-12).

Parla con autorità (Mc. 1, 27), ma non è autoritario, perché è sempre «mite ed umile di cuore» (Mt. 11, 29).




SEGUE..




[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XII (quarta parte parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

il discorso della montagna:
consiglio, legge o ideale?








6. Il discorso della montagna nella vita di Gesù


Chi volesse spiegare il discorso della montagna, senza fare i conti con quanto abbiamo costatato nella vita di Gesù, non riuscirebbe a capirci nulla.

Con Gesù è veramente apparsa una cosa nuova, che i giudei, con tutto il loro Antico Testamento, non riuscirono a capire.

Gesù definisce il nuovo col dire che è il Regno di Dio:
«è suonata l'ora!

il Regno di Dio è arrivato!

cambiate vita!

credete alla buona notizia!» (Mc. 1, 15).

La buona notizia, il vangelo, non consiste solo in parole, non consiste solo nel discorso della montagna, per quanto meraviglioso esso sia.

La buona notizia è, anzitutto, la persona di Gesù.

Lui è il Regno di Dio, ossia in Lui, Dio è re.

In Lui si esprime ciò che succede agli uomini quando decidono di aprirsi a Dio, lasciando che Dio sia Dio nella loro vita.

Cambia tutto e si trasforma in meglio, fin dalle radici.
Così fece Gesù.

Con la sua vita ci ha dimostrato che l'uomo può essere davvero uomo, pienamente umano, solo quando permette a Dio di essere Dio nella sua vita, quando si apre al Regno di Dio, perché solo allora l'uomo arriva ad essere pienamente quello che deve essere secondo il progetto del suo creatore.

Solo Dio conosce l'uomo, fino in fondo, e solo Lui riesce a far funzionare l'uomo, al cento per cento.

Ci è riuscito attraverso Gesù Cristo.

Per questo, Gesù è Buona Notizia per tutti gli uomini, perché corrisponde esattamente a tutto quanto gli uomini possano desiderare.


Chi vede e ascolta il messaggio sente nascere in sé un desiderio spontaneo:
come vorrei farne parte anch'io!
come devo vivere, che devo fare per parteciparvi?

La risposta è data dal discorso della montagna, in cui Matteo ha messo insieme tutto quello che Gesù disse di concreto, sull'esperienza e sul comportamento di quelli che si decidono a lasciare che Dio sia Dio nella loro vita e entrano, decisamente, a far parte del Regno di Dio.

Il discorso della montagna è l'espressione di quel bisogno di cambiamento radicale, che la presenza di Gesù annuncia.

Il discorso della montagna mostra fino a che punto l'uomo può arrivare, quando l'energia dell' Amore incomincia a trasformare effettivamente la sua vita.

Il discorso della montagna è espressione di quella luce che abbaglia e provoca, perché mette gli uomini a confronto con la loro coscienza e mostra loro la causa dei loro mali.

Perciò suscita le più contrastanti opinioni.

Il discorso della montagna manifesta il nuovo, che è entrato nella vita degli 'uomini, quando si aprono a Dio.

Espressione concreta della conversione che si opera in coloro che aderiscono a Gesù Cristo.

Nessuno riesce, con le sue sole forze, a osservare il discorso della montagna, come nessuno riesce, con le sue sole forze, a mettersi in contatto con Dio.

A che serve, allora, proporsi una cosa impossibile, che non sta in me osservare?

un paragone servirà a chiarire.

La nostra vita è come un'automobile, che decidiamo di comprare, e su cui sta scritto:

massima velocità 200 all'ora.
Il padrone si siede al volante e cerca di fare i suoi 200 all'ora, ma non ci riesce, neppure sul rettilineo, né in discesa, neppure se spinge a tutta forza l'acceleratore.

Non gli è possibile raggiungere la velocità massima, segnata dall'indicatore.

Se la macchina è fatta per 200 all'ora, al massimo arriva a fare 130 km. Così è la vita.

Il discorso della montagna segna la velocità massima della vita:

«essere perfetto come è perfetto il Padre che sta nel cielo» (Mt.
5, 48).

Noi, però, con tutta la buona volontà, anche se lanciamo la macchina a tutta velocità, anche se corriamo in quarta, lungo una discesa diritta e larga, si e no, arriviamo a fare 130 km orari.

Dobbiamo concludere che è proprio impossibile arrivare ai 200 km orari, indicati dal discorso della montagna.

Ma perché allora scrivere sulla macchina della vita:
velocità massima: 200 all'ora?

Il fatto è che, là dove Dio stesso entra nella vita dell'uomo e l'uomo si apre a Dio e si mette in contatto con Gesù Cristo, aderendo a Lui, solo a questo punto, per così dire, l'uomo scopre che la sua macchina possiede una quinta marcia, che gli permette di correre più veloce di prima e arrivare, finalmente, ai 200 km orari.

Dentro di noi uomini, esistono possibilità e forze addormentate, che neppure noi conosciamo.

Dio, che ci conosce fino in fondo, quando entra nella nostra vita, riesce a portare l'uomo al massimo delle sue possibilità.

Quello che, umanamente parlando, sembrava impossibile - e di fatto lo era, in modo assoluto - proprio questo diventa possibile e reale.

Cose del genere succedono tutti i giorni.

Una semplice amicizia può far si che una persona scopra, dentro di sé, forze e possibilità che gli erano del tutto sconosciute e che non avrebbe scoperto mai se, nella sua vita, non fosse sorta quell'amicizia.

A contatto con Cristo, amico, ossia, entrando nel Regno di Dio, l’uomo perfora il fondo roccioso della sua coscienza e scopre, dentro di sé, nuovi strati di petrolio, che generano nuova e ignorata energia.

La vita intera si mette in moto e prende un senso nuovo.
Si crea un ambiente nuovo.

Il discorso della montagna appartiene a questa nuova vita.

Dentro questo ambiente siamo capaci di leggerlo, spiegarlo e capirlo, perché solo là può essere vissuto.

Chi resta fuori di questo ambiente, non ci capisce niente e sbaglia sempre nelle sue opinioni, come fecero i giudei, a rispetto di Gesù.

Ci sembra, quindi, assurdo esigere l'osservanza del discorso della montagna, da parte di chi non sa chi sia Gesù Cristo, da parte di coloro per i quali s. Antonio e Gesù Cristo sono la stessa cosa, e Gesù Cristo è soltanto un'idea.

Solo chi ha conosciuto Gesù Cristo e ha aderito a Lui, ossia chi, di fatto, ha fede, può osservare il discorso della montagna.

Siccome un'amicizia infonde un certo dinamismo, la trasformazione che genera nella vita, le scoperte nuove che rivela e le nuove forze che sveglia, tutto ciò sarà pure progressivo e dinamico.

Il discorso della montagna non si osserva da un giorno all'altro.
È un programma di vita.

Esprime, in modo sempre più chiaro e definito, l'adesione interiore dell'uomo a Gesù Cristo.

Aderendo a Cristo, l'uomo apre una porta d'ingresso a Dio e, con la forza di Dio, la vita si trasforma, progressivamente, nei termini segnati dal discorso della montagna.


SEGUE..




[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XII (quinta parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

il discorso della montagna:
consiglio, legge o ideale?



7. Discutendo le opinioni


Il discorso della montagna, visto e capito nel contesto totale della vita di Gesù, non è una legge.

Una legge si cerca di sapere bene come sia,
si studia; si spiega, si analizza.

In questo senso il discorso della montagna non è legge.

È inutile studiarlo, spiegarlo, perché è impossibile osservarlo come si osserva un'altra legge qualunque.

È inutile far forza sul giuridicismo e sulla giurisprudenza, a niente servono il legalismo e la casistica, così care ai farisei.

Svuoteremmo il discorso della montagna, riducendolo a una legge umana, che si osserva solo con lo sforzo umano.

Sparirebbe, allora, tutto il dinamismo del nuovo, del Regno di Dio, che sta alla radice.

Inoltre il discorso della montagna diventerebbe il peso più insopportabile.

E non è possibile, perché Gesù dice:
«il mio giogo è soave, il mio peso è leggero» (Mt. 11. 30).

Gesù ha condannato i farisei, che spiegavano la legge di Dio come se fosse una semplice legge umana (cf. Mt. 23, 4).

Se così fosse, infelici i poveri e gli ignoranti che non conoscono la legge e non sanno spiegarla.

Invece, Gesù chiamò «beati» i poveri e promise loro il Regno (Mt. 5-3).

Non si può ammettere che colui che disse:
«venite a me, o voi tutti che siete afflitti, oppressi dalla fatica e sopraccaricati e io vi consolerò;

prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre» (Mt. 11, 28-29),

non si può ammettere che Gesù abbia dato una legge che, invece di riposo, dà solo preoccupazione, angustia e scrupoli.

La preoccupazione, l'angustia e lo scrupolo incominciano dove il discorso della montagna è slegato dalla persona di Cristo, dalla sua amicizia, per essere spiegato e osservato alla stregua di una legge, appena con mentalità giuridica.

Tuttavia, Cristo non ha reso la vita più facile.
Proprio al contrario.

Cristo raggiunge l'uomo, come l'uomo vuol essere raggiunto nella vita, squarciandogli un orizzonte nuovo, svegliando in lui, come risposta, l'amore, il coraggio, la capacità di resistere, la speranza, l'iniziativa e la creatività.

Il discorso della montagna non è fatto per portarci alla disperazione e poi gettarci nelle braccia dalla misericordia come diceva Lutero.

È vero che il discorso della montagna ci dà la coscienza chiara dei nostri limiti e delle nostre debolezze.

Ci prova che da soli noi siamo incapaci di fare quello che Dio ci domanda, ma nel contesto generale della vita di Gesù, il cristiano scopre e incontra, dietro il discorso della montagna e alla sua radice, la persona di Gesù Cristo, si accorge del suo amore e della sua amicizia e vede che, aderendo a Lui, potrà arrivare ad osservare quello che il discorso della montagna suggerisce.

A questo punto però, ci mancano del tutto i criteri umani per dare un giudizio, come ci mancano per spiegare la vita di Gesù, così come l'abbiamo vista prima.

I criteri di Dio sono altri e ci confondono.

Se questo fosse davvero l'obbiettivo del discorso della montagna, diremmo che Gesù poteva essere più chiaro, perché non lo si può capire dalle parole che lo compongono.

In nessun luogo sta scritto che il discorso della montagna è fatto per buttarci nella disperazione e, di rimbalzo, nelle braccia della misericordia di Dio, disgustati da tutto quello che facciamo.

Sarà possibile che Gesù tratti gli uomini come quel Signore che mandò i suoi servi per una strada complicatissima e quasi intransitabile, perché giungessero a disperarsi, per poi sentirsi dire:
«Avete visto che da soli non ce la fate?
Venite, entrate in macchina con me, che vi porterò io alla meta»?

Il discorso della montagna non è per una piccola élite di preti e monache e alcuni laici, tra i più generosi.

È per tutti.

Gesù non ha parlato solo per gli apostoli, ma per la «moltitudine». (cf.
Mt. 5, 1-12).

Gesù non ha mai pensato ad una religione di élite.

A misura che tutti escono dall'Antico Testamento e incontrano Cristo, tutti varcano la soglia del discorso della montagna.

Bisogna sapere, però, se tutti sono già in condizioni di entrare nel Nuovo Testamento.

Non si tratta di dire:
«cerchiamo di facilitare le cose al popolo e lasciamogli osservare solo i dieci comandamenti».

Non abbiamo né il diritto né il potere di farlo.

Si tratta di aiutare il popolo perché si metta sulla strada che, dai dieci comandamenti, porta al discorso della montagna, attraverso l'adesione a Cristo.

Per questo, noi tutti abbiamo ancora un piede nell'Antico Testamento, coll'intenzione di uscirne, bene o male, perché nasca in noi quella pianta nuova, che nessuno sa cosa sia;
viene da Dio ed è proprio quella che tutti sognano.

Siamo tutti in marcia verso la perfezione:
«Siate perfetti, come vostro Padre celeste è perfetto».

Il discorso della montagna non serve solo a comunicare una nuova mentalità.

Il cristianesimo non è fatto di idee e di mentalità, è «conversione», cioè azione concreta.

Soprattutto verso la fine del discorso della montagna, Gesù insiste di più sulla necessità" della prassi.

Invece di parlare di mentalità nuova, sarebbe meglio dire «forza nuova».

Il Vangelo assomiglia alla sonda, che cerca nelle profondità del suolo gli strati di petrolio.

Quando ne raggiunge uno, il liquido prezioso esce in getto spontaneo, che poi va a scaldare le stufe, a far funzionare i motori, a far correre le macchine.

Il vangelo perfora il suolo dell"io', scopre, là in fondo, forze nuove di imprevedibili energie.

Queste forze balzano fuori trasformando la vita e mettendo in moto la macchina di una società migliore.

La perforazione si chiama «coscientizzazione».

La coscientizzazione, nel nostro caso, è la percezione del proprio valore e si dà, quando l'uomo scopre l'appello di Dio nella sua vita.

L'appello di Dio è come le radici dei grandi alberi:
si perdono in ramificazioni infinite, nelle viscere della terra, come vasi capillari molto fragili, ma, messi insieme, fanno nascere il tronco, che affronta le più violente bufere.

Dio chiama molto umilmente;
nelle cose insignificanti del terribile quotidiano.




8. Piste generali per l'interpretazione del discorso della montagna


Da tutto quello che abbiamo detto fin qui, possiamo trarre alcune conclusioni, per capire meglio il discorso della montagna.

Il discorso della montagna è il giudizio di Gesù sulla vita umana.

La vita umana, ben vissuta, dovrebbe essere così.
Ci propone l'ideale.
L'ideale non si osserva.
Verso un'ideale, l'uomo cammina, tentando di raggiungerlo.
Sarò giudicato, non per il fatto di averlo raggiunto;
ma per il fatto di aver camminato verso di lui, con fedeltà.

Il confronto con l'Antico Testamento (Mt. 5, 21-48) ci dice così:
La legge dell'Antico Testamento, i dieci comandamenti sono i primi passi di una strada, che, se continuiamo a camminare, ci porta al tipo di vita descritto dal discorso della montagna e va a finire a Dio.

Anche per l'uomo, che sta ancora nell'Antico Testamento, l'esigenza si impone con la stessa insistenza.

La differenza, tra l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento, consiste nell'accorgersi della portata che questa esigenza ha nella vita.

Nell'Antico Testamento l'esigenza divina ordinava:
«non uccidere» (Mt. 5, 21).

Se l'uomo sarà fedele e camminerà per questa strada di «non uccidere», Dio si farà più vicino a lui, gli si manifesterà di più e l'uomo, a causa della percezione più chiara dell'amicizia di Dio con lui, si accorgerà meglio delle esigenze di «non uccidere» per la sua vita umana, e finirà col riconoscere che Dio si impone con la stessa insistenza quando chiede:

«non t'arrabbiare»; ovvero, si accorgerà di aver osservato, davvero, il «non uccidere», quando sarà riuscito a strapparsi dal cuore la radice dell'assassinio, che è l'ira.

Perciò è difficile cogliere il senso delle frasi di Mt. 5, 21, 23 e delle altre che seguono.

In Gesù, Dio è arrivato così vicino agli uomini, che non c'è alcun dubbio circa le esigenze divine nella vita umana.

Si riassumono tutte nel nuovo comandamento dell'amore.

I dieci comandamenti sono dieci piste, aperte nella vita umana, per educare l'uomo all'amore e al dono di sé (Mt. 7, 12).


Le beatitudini (Mt. 5, 1-12), che sembrano mettere tutto a testa in giù, dimostrano che i criteri di Dio sono ben altri.

Abbattono e trasformano il nostro mondo, così ben organizzato, secondo i criteri della nostra sicurezza personale e collettiva, criteri nostri, nati in parte dalla fondamentale diffidenza dell'uno contro l'altro, di una nazione contro un'altra nazione.

Perciò coloro che sono allegri, i grandi, tutti quelli che godono dei vantaggi in forza dell'organizzazione terrena di questo mondo, tutti questi non valgono per Iddio, tanto quanto valgono per il mondo.

Quando il nuovo affiora, tutto cambia.

«Felici quelli che piangono, perché saranno consolati;

felici quelli che soffrono ingiustizia, perché possederanno il Regno;

felici gli umili, perché avranno in eredità la terra;

felici i puri perché vedranno Dio».

Le beatitudini sono la più grande minaccia che mai fu pronunciata contro l'umanità, chiusa in se stessa, preoccupata della sua sicurezza.

Il maggior prodotto del nostro tempo è la marginalizzazione.

Proprio i marginalizzati della società sono proclamati felici.

Segno che, quando verrà il Regno, finirà l'ingiustizia,
che oggi produce gli emarginati.

Nel discorso della montagna il rapporto con Dio sta su altre basi.

Non si basa su quello che noi facciamo per Iddio, ma su quello che Dio fa per noi;
nella elemosina,
nella preghiera,
nel digiuno,
il nostro atteggiamento dovrà essere radicalmente differente (Mt. 6, 1 -19).

Chi pensa che tutto dipende da lui, farà di tutto per moltiplicare le preghiere, credendo che le sue parole e le sue opere abbiano una grande forza per muovere Iddio.

Chi invece si accorge di essere gratuitamente sostenuto da Dio, farà di tutto per mostrargli la sua gratitudine e si appellerà non tanto alle opere quanto all'impegno che Dio ha preso con lui, di sostenerlo fino alla vita eterna.

Esige che Dio compia il suo impegno e Dio non resiste mai.
Perciò sarà ascoltata la sua preghiera (Mt. 7, 7-11).

Il nuovo rapporto con Dio implica un nuovo rapporto con i beni materiali (Mt. 6, 19-21.24).

È questione di ottica e di punto di vista da cui si guardano la vita e il mondo (Mt. 6, 22-23).

Il punto di vista e l'ottica sono I differenti, perché alla luce di Dio l'uomo si accorge meglio del senso della sua vita.

Sa dare il giusto peso alle preoccupazioni per il cibo, per la bevanda e per il vestito.

Preoccupazioni più che necessarie alla vita, ma non certo le più importanti (Mt. 6, 25-34).

Gesù non è venuto a riformare questa o quella parete della casa;
è venuto a guarire la radice dell'albero, a rinforzare le fondamenta della casa.

Migliorando queste, migliora tutto.

Il discorso della montagna si dirige alla radice delle azioni umane:
vuole sincerità radicale davanti a Dio, davanti alla propria coscienza e davanti agli altri.

Solo a misura che la persona scopre chi è, le diventa possibile essere radicalmente sincera.

Tante apparenze mascherano il nostro io, e noi neppure ce ne accorgiamo.

Per questo, il processo di conversione o di trasformazione, che il discorso della montagna esige per portarci alla sincerità radicale, è un processo doloroso, che incontra molta resistenza, sia dentro di noi, che dentro la società.

Sarà oggetto di ogni specie di accusa, sotto le quali si nasconde la difesa individuale e collettiva.



SEGUE..



[SM=g6198] [SM=g6198] CAPITOLO XIII [SM=g6198] [SM=g6198]

le parabole:
rivelare il divino nell'umano





1. Difficoltà e incertezze rispetto alle parabole


Una delle maggiori difficoltà deriva dalle prediche di certi parroci.

Quando il vangelo della domenica contiene una parabola,sembra che Gesù abbia parlato del Brasile odierno con una precisione matematica:

la zizzania (Mt. 13, 25) è la moda di oggigiorno;

il nemico che semina la zizzania sono quelle persone che non ubbidiscono alla Chiesa;

la pecorella smarrita e ritrovata fra le 100 di quel gregge è proprio quel Tizio... così così... che si è convertito in quella circostanza
(Lc. 15, 4).

Il buon samaritano è quel buon signore cattolico che fa la carità alla Chiesa.

E così via.
Come fanno a sapere tante cose? Chi ascolta se lo domanda spesso.

È giusto o no spiegare così le parabole?

La parabola «del fattore infedele» è molto difficile a spiegarsi
(Lc. 16, 1-8).

Fece un mucchio d'imbrogli (v. 5-7) e alla fine si dice che Gesù «elogiò l'amministratore disonesto' perché aveva agito con astuzia» (v. 8).

Come fa Gesù ad elogiare un tale procedimento?

Bisogna dunque imitarlo?

Gesù si serviva delle parabole per educare il popolo ma non le spiegava quasi mai.

Il popolo sembrava non capirci niente tanto che perfino gli apostoli cercavano di scoprirne il senso (cf. Mc. 4, 10).

Si accorsero del problema e lo denunciarono:
«perché il Signore parla in parabole al popolo?»

Gesù rispose loro:
«parlo in parabole perché vedendo non si accorgano e ascoltando non capiscano» (Mt. 13, 11-13).

In conclusione Gesù parla in parabole per ingannare il popolo (cf. Mc. 4, 11-12).

Che senso hanno le tante parabole che Gesù non spiega?






2. Due esempi concreti della nostra vita


Una parabola è una specie di paragone o immagine presa dalla realtà della vita per spiegare un'altra realtà in rapporto al Regno di Dio.

Ci sono due modi di fare un paragone o una immagine per illuminare un punto oscuro a chi ci ascolta.

Tutti e due li troviamo nei vangeli.

Prima però di parlare dei paragoni usati nei vangeli è conveniente illuminare il problema con due esempi presi dalla vita.

Primo esempio:
Uno disse a un altro: «Compare, come ti va la vita?»

Rispose quello: « Vorrei andare a cento all' ora ma non passo gli ottanta.

Sul rettilineo vado a tutto vapore.
Sulla salita mi arrampico e nelle curve mi do da fare;
ma non è uno scherzo».

Per chi conosce la vita di oggi la risposta, che sembra enigmatica, è chiara.

Sembra che parli della macchina, ma di fatto pensa alla vita:
vorrebbe andare a tutta velocità ma non ce la fa e con questo vuol dire che la vita non va poi tanto bene;

parla di rettilineo ma pensa ai giorni facili della vita, quando tutto corre liscio;

parla di salita e pensa ai contrattempi;

dice curve e pensa alle crisi della vita.

A buon intenditori poche parole.

In questo esempio concreto si usano i termini della strada ma si pensa a ben altro;

si parla di macchina ma si pensa ad una determinata maniera di vivere.

Cosi pure Gesù si serve di paragoni e parla del seminatore,
del seme che cade lungo la strada,
sulle pietre,
tra gli spini e nella terra buona.

Ma pensa all'apostolo o al predicatore (seminatore),
alla Parola di Dio (seme),
al cuore incostante (pietre),
al cuore distratto (strada),
al cuore adescato dai piaceri della vita (spini),
al cuore aperto ben disposto e sincero (terra buona) (cf. Mt. 13,3•8 e 13, 18-23).

In una parabola del genere posso chiedere spiegazioni su ogni elemento del paragone:
«che vuol dire?».

Secondo esempio:
Parlando a un gruppo di uomini sposati un tale fece questo esempio:
«C'era un uomo sposato che soleva alzarsi all'alba,
preparava il caffè per gli altri membri della famiglia,
metteva la casa in ordine e poi andava a lavorare nei campi.

Lavorava tutto il giorno, riposava poco, sudava molto fino ad alte ore della notte.

Tornava a casa felice e contento perché aveva passato un giorno di più dedicato alla sua famiglia».

Qui non ci si può domandare:
«che vorrà mai dire alzarsi presto,
fare il caffè,
lasciare la casa in ordine,
lavorare nei campi?

Che vuol significare quando dice che tornava a casa tranquillo e contento?».

Sono domande che evidentemente non hanno senso qui, perché i vari elementi del paragone non hanno valore, ossia non hanno un loro significato proprio indipendente.

Il paragone ha un unico senso nel suo contesto:
si propone di mettere in rilievo l'operosità e la dedizione di quell'uomo verso la sua famiglia allo scopo di spingere gli uomini sposati che stavano ascoltando a fare lo stesso.

Nel primo esempio ogni elemento aveva un senso particolare in rapporto ad una determinata maniera di vedere la vita.

Nel secondo esempio ogni elemento ha la funzione di contribuire ad illuminare il senso totale del paragone.

Allo stesso modo Gesù usa molti paragoni o parabole di cui non possiamo domandarci:

«che voleva dire con l'immagine della pecorella smarrita?

Chi sarà il buon samaritano?

Che significa la zizzania?

cosa corrisponde al seme di mostarda?

Chi è l'uomo che dorme mentre il seme germoglia? (Mc. 4,27).

E le briciole che cadono dalla mensa a cosa alludono? (Lc. 16,21).

Nella maggior parte dei paragoni usati da Gesù il contesto ha un unico senso.

È inutile star lì ad indagare sugli elementi della parabola uno per uno perché non hanno un significato proprio.





3. Applicazione concreta:
il «fattore infedele» e la «vigna abbandonata»


La parabola più difficile a spiegarsi è quella del fattore infedele
(Lc. 16,1-8), proprio perché ci rompiamo la testa a scoprire il significato di ogni elemento del paragone mentre il significato è unico per tutto l'insieme.

Il punto più difficile è là dove Gesù fa l'elogio del fattore infedele perché ha agito con saggezza.

Ma che vuol dire?

In un'altra occasione Gesù aveva detto:
«Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt. 10,16).

Paolo dice che il «giorno del Signore verrà come un ladro nel cuore della notte» (I Tess. 5,2); cfr. Mt. 24,43-44; II Pt. 3,10).

Nessuno ne deduce che il Signore è un ladro, anche se è paragonato a un ladro.

Nessuno conclude:
deve essere colomba e serpente.

Evidentemente in questi tre casi il paragone, è fatto rispetto a una qualità che caratterizza l'opera del ladro e che esprime il modo di fare dei serpenti e delle colombe.

Il ladro non si fa annunciare, ma viene quando meno te l'aspetti:
così verrà il Signore alla fine dei tempi.

La semplicità e l'astuzia sono qualità da imitarsi sull'esempio della colomba e del serpente.

Lo stesso si dica a rispetto del paragone del fattore infedele.

C'è una sola differenza:
nel caso del fattore infedele il paragone non è fatto con un'unica parola (come nel caso del ladro, del serpente e del1a colomba);

Gesù racconta tutta una storia per mettere in evidenza l'unica qualità valida del fattore infedele.

Questa deve essere imitata (come il giorno del Signore imita la qualità del ladro che arriva senza essere aspettato in piena notte).

Qual è allora l'aspetto che Gesù vuol mettere in evidenza nella condotta del fattore infedele?


Per scoprirlo bisogna fare un minuzioso esame del paragone e vedere dove converge il suo interesse.

In una pittura tutti gli elementi convergono in un unico punto, che è poi il messaggio che l'autore vuol comunicare.

Le parabole sono altrettante pitture che con poche pennellate caratterizzano una situazione.

Esaminando la parabola del fattore infedele si capisce che un bel giorno quell'uomo fu messo alle strette perché il padrone aveva scoperto i suoi imbrogli.

Avrebbe dovuto dar conto dell'amministrazione e per conseguenza sarebbe stato cacciato via.

Avrebbe di certo perduto l'impiego.

Il domani si profilava incerto e ben diverso dal presente.

Il fattore non si scompone, non si lascia sopraffare dalla realtà;
ma pensa come fare.

Esamina e calcola a mente fredda la sua situazione.

Fa il bilancio delle possibilità:
«zappare non fa per me... chiedere l'elemosina mi vergogno...

Lo so io quello che faccio, così quando sarò licenziato avrò chi mi riceve in casa sua» (Lc. 16,3-4).

Falsifica i conti dei debitori del suo padrone.
Almeno così, quando sarà senza lavoro, potrà battere alla porta dei debitori.

Non potranno rifiutarsi, perché lui potrebbe sempre accusarli e portarli davanti al tribunale per frode.

Il futuro è garantito.

Sta proprio qui il punto alto che la parabola vuol mettere in evidenza: quell'uomo agì con efficienza, non si lasciò abbattere dalle circostanze ma si assicurò il futuro con destrezza e facendo bene i suoi piani.

Gesù fissa la sua attenzione sulle qualità che l'episodio mette in evidenza con poche parole.

Il suo obbiettivo è dirci:
«perché non fate lo stesso?
perché anche voi, nel vostro campo, non agite con la stessa accortezza ed efficienza?»

Infatti, quando Gesù entra nella vita di qualcuno, il futuro di questa vita cambierà radicalmente.

Non sarà possibile continuare a vivere come prima.

Gesù vuole che non ci abbandoniamo all'inerzia, ma che affrontiamo molto concretamente la vita alla luce della fede, che facciamo con calma i nostri piani e agiamo con efficienza e scaltrezza per garantirci un nuovo futuro, che è frutto del nostro incontro con Gesù.

Non ci spinge ad essere disonesti, bensì ad essere efficienti in quello che facciamo nel campo della fede.

Non domandiamo:
che vuol dire la parola «amministrazione» in questa parabola?
che significano i cento barili di olio, i cento sacchi di farina?

Non significano proprio niente.

Come nel caso dell'uomo che si alzava presto per fare il caffè, servono soltanto a mettere in luce l'efficienza e la scaltrezza di fronte al futuro in pericolo.

Fanno parte del quadro come l'albero in fiore vicino alla casa contribuisce a esprimere l'allegria che l'artista voleva comunicarci con la sua pittura.

La parabola della «vigna abbandonata» (Lc. 20,9-19) è tutt'altra cosa e prende il nome di allegoria.

Sentendo parlare della «vigna», gli ebrei ricordavano il canto della vigna del profeta Isaia (Is. 5,1-7).

Sapevano bene che Gesù parlava di una vigna ma pensava al popolo cui Dio prodigò tante tenerezze.

Gesù parla di «preparare la vigna», ma pensa alla responsabilità del popolo nel date frutti.

Parla di servi e braccianti che il padrone della vigna mandò a lavorare, ma pensa ai profeti inviati da Dio nell'Antico Testamento.

Non furono accolti, furono flagellati e rimandati via a mani vuote
(Lc. 20,10-12).

Parla del Figlio carissimo che il padrone inviò, sperando che lo rispettassero più degli altri dipendenti, ma pensa a se stesso, l'ultimo inviato da Dio al popolo che i profeti designano come il figlio tanto amato.

Parla di uccisione del Figlio del padrone della vigna, ma pensa alla sua propria morte.

Il paragone si chiude con la domanda:
«Che farà dunque il padrone della vigna?»

Segue la risposta:
«Sterminerà i vignaiuoli e affiderà la sua vigna ad altri»
(Lc. 20, 15-16).

I giudei capirono bene il senso della risposta e dissero:
«Dio non voglia!»

ossia:
«questo mai!»

Capirono il senso del paragone:
Gesù li minacciava di trasferire il Regno di Dio ai pagani.

La parabola o allegoria della «vigna abbandonata» è una delle poche che ci permette di interrogarci su ogni elemento e dettaglio:
«che significa?».

Lo stesso si dica della parabola del Buon Pastore (Gv. 10,18) e della «vera vite» (Gv. 15,18).

In tutte le altre bisogna cercare il significato unico su cui insiste Gesù.

Possiamo farlo in molte maniere.

In certe parabole prese dalla vita concreta di ogni giorno succedono cose curiose che non si verificano tutti i giorni:

per esempio, è raro trovare un pastore che lascia sole cento pecore nel deserto per cercare proprio quell'una che si è perduta (Lc. 15, 3-6);

è difficile trovare un padre che stia ad aspettare il figlio ingrato che lo ha lasciato senza dargli soddisfazione e per di più gli corra incontro e gli faccia grande festa (figlio prodigo);

è difficile trovare una donna che perda una lira e per ritrovarla scopi tutta la casa e poi chiami tutte le vicine per raccontare loro la sua avventura e per fare festa (Lc. 15,8-10).

Chi legge questi fatti si meraviglia perché, pur essendo reali, non succedono tutti i giorni.

Ma proprio questo vuole la parabola:
richiamare l'attenzione sulle cose strane che racconta.

Là dentro si nasconde il significato unico che Gesù vuole annunciare.

Là tutti gli elementi del paragone convergono.

A volte però i due tipi di paragone si mescolano;
quando per esempio Gesù nelle parabole parla di re, di giudice, di padre pensa sempre a Dio.

Quando parla di figlio del re, di lavoratori del re, di greggi e di vigna, pensa ai profeti e al popolo di Dio.

Quando dice di «rendere conto» e parla di «raccolto»' e «pesca» pensa al giudizio di Dio sugli uomini.

Quando parla di festa o di sposalizio, pensa alla gioia del Regno di Dio.

Come si fa a saperlo?

Perché Gesù fa come tutti facevano al tempo suo.
Il metodo delle parabole era molto usato nell'insegnamento.

Gli altri professori di religione pure lo conoscevano e lo usavano.

Secondo le regole della metodologia di quel tempo, scoperta e studiata nelle ultime ricerche, tali figure avevano' già il significato che tutti davano loro.

Gesù quando insegnava, usava il linguaggio del popolo.






4. Vantaggi dell'insegnamento in parabole


Tutte le parabole sono immagini prese dalla vita di ogni giorno, note a tutti:
sono le cose della vita che fanno ridere e fanno piangere, che ci accompagnano dalla mattina alla sera.

Gesù si dimostrò un grande pedagogo nel servirsi delle cose della vita per spiegare le cose invisibili del Regno di Dio.

Se io dicessi:
«Il rinnovamento della Chiesa assomiglia ad una grande strada alberata.
Quando i rami sono troppo grandi bisogna potarli, per aiutare la crescita dell'albero e impedire che il fogliame lussureggiante assorba tutta la linfa dell'albero e lo inaridisca».

Chi ha ascoltato il mio discorso, quando passa lungo il viale alberato e vede gli alberi mutilati dalla potatura, si ricorda del paragone e gli alberi incominciano a parlare, convincendolo che è proprio così.

La vita ci parla di Dio e del suo Regno.

La raccolta degli elementi delle parabole di Gesù ha messo insieme un curioso mosaico in cui appaiono le più svariate situazioni e aspetti della vita:
semi,
aratro,
luce,
sale,
passerotti,
fiori,
porci,
gramigna,
gigli,
fieno,
colombe,
serpenti,
feste,
nozze,
pane,
vino,
fermento,
commercio,
amministrazione,
cenone,
guerra,
costruzione,
torre,
casa,
strada,
spini,
terra buona,
pescatore,
rete,
bambini,
pulizie della casa,
pietre preziose che si perdono,
perle ritrovate,
talenti,
vigna,
pecorella,
pastore,
eredità,
educazione,
salario,
malviventi,
ricco,
povero,
figli ingrati ecc.

Basta scorrere i Vangeli.

Ogni cosa è densa di significato.

Gesù quasi mai spiega i paragoni che usa.
Qualche volta conclude così:
«Chi ha orecchie per intendere intenda!» (Mt. 13,9).

In altre parole suonerebbe così:
«Ecco tutto.
Avete udito.
Ora fate in modo di capire».

Affida al popolo il compito di scoprire il messaggio.

Gesù dà all'uomo un voto di fiducia.

Lo stima abbastanza intelligente per scoprire nelle cose della vita quotidiana il significato delle cose del Regno.

Non gli offre tutto bello e pronto.

Invece di risolvere i problemi e dare risposte fatte, Gesù crea problemi e quesiti nella testa degli uomini per costringerli a pensare.

E gli uomini, pensando vivendo e riflettendo, arriveranno alla soluzione dei problemi che Gesù ha messo loro in mente.

Tutti gli aspetti e le situazioni svariate della vita, cui Gesù allude con le parabole, diventano eloquenti e interrogano l'uomo.

Mentre ara il campo e scava il solco, il contadino si ricorda della parola di Gesù:
«Chi mette mano all'aratro e poi si volta indietro non è adatto per il Regno dei cieli» (Lc. 9,62).

Gesù rende la vita trasparente.

Sprigiona un significato nuovo dalle cose della vita.

Le parabole valgono non solo perché ciascuna di loro offre un insegnamento, ma anche e soprattutto perché, inaugurano una maniera nuova di vedere la vita di ogni giorno:
ogni cosa si riferisce al Regno di Dio e parla di Lui.

In un certo senso Gesù è venuto a rendere problematica la vita dell'uomo.

Quando l'uomo vive troppo tranquillo è segno che qualcosa in lui non va bene.

Gesù gli suscita tanti problemi e tanti interrogativi con le parabole, non già per tormentarlo ma per metterlo sulla strada giusta che lo porta a Dio, alla felicità.

Inoltre un’immagine o un paragone possiede una forza di comunicazione ed un potere di evocazione molto superiore a quello di un'arida esposizione teorica.

Sarà forse più vago e inesatto, ma ci guadagna in profondità ed è molto più pregno di significato.

Gesù, scegliendo di usare le parabole, non seguì un cammino del tutto nuovo.

Seguì il metodo pedagogico corrente, ma lo trasformò dal di dentro.

Seguì piuttosto il metodo dei sapienti che quello dei profeti, almeno quando insegnava al popolo.

Per i farisei la sua predicazione prese il colore di una denuncia profetica.






5. Le parabole e il Regno di Dio


Nel capitolo sul discorso della montagna abbiamo visto che cosa deve essere il Regno di Dio.

In Gesù, nella sua persona e nel suo lavoro, il Regno di Dio era presente e attuante.

Quando Gesù introduce le parabole dicendo:
«A che cosa potremo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola potremo simbolizzarlo?» (Mt. 4,30) cerca di spiegare al popolo il senso della sua presenza in mezzo a loro.

Ogni parabola si propone di spiegare l'uno e l'altro aspetto del suo mistero.

In altre parabole, specialmente in quelle che pronunciò verso la fine della sua vita, Gesù pensava al Regno che doveva realizzarsi attraverso la sua morte e resurrezione e che sarebbe cresciuto lentamente lungo la storia degli uomini fino alla fine dei tempi.

La realtà invisibile del Regno è spiegata con gli elementi visibili della vita di ogni giorno.

Sorge la difficoltà già incontrata prima:

come faceva Gesù a dire:
«parlo in parabole perché ascoltando non intendano e vedendo non si accorgano»? (Mc. 4,1112; Mt. 13,11-15).

Si ha limpressione che la parabola invece di essere scelta per spiegare sia stata scelta proprio per nascondere e per non far capire!

Forse la risposta è questa:
io posso parlare della vita servendomi di paragoni del genere:

«Bisogna squarciare e allargare gli orizzonti,
bisogna aprire una pista nella foresta,
mettersi alla stessa lunghezza d'onda,
raddrizzare la strada,
gettare l'ancora e ammainare le vele,
accendere i fari antinebbia e mettere le catene per la neve».

Sono immagini note a tutti, ma di cui non tutti colgono il senso.

Chi per esempio pensa che la vita è buona, va bene ed è sicura non capisce perché si parli di « raddrizzare la strada» «allargare gli orizzonti» «aprire la foresta» «metterci nella stessa lunghezza d'onda» ecc.

Queste immagini significano che la vita non va bene ed allo stesso tempo rivelano una maniera precisa di vedere la vita.

Così fece Gesù.
Si servì ,di immagini note a tutti perché scaturite dalla vita.

Ma non tutti arrivano ad intendere quel senso nuovo e sconosciuto della vita che Lui vuole insegnarci con queste immagini accessibili a tutti.

Manca la chiave di volta per capirle.

La chiave è Gesù stesso.

Finché il popolo non saprà chi è Gesù, non potrà mai cogliere tutto il senso delle immagini che Egli usa.

Agli Apostoli «fu dato di conoscere il mistero del Regno» (Mt. 13,11) perché loro si ispiravano a Gesù Cristo.

Non facevano come i farisei e il popolo (che volevano un Gesù su misura), ma cercavano di essere come Gesù voleva che fossero.

Accettavano Gesù senza mettere condizioni.

Il loro atteggiamento di apertura di fronte a Gesù era luce capace di rivelare il senso ultimo e vero delle parabole.

Per gli altri invece le parabole erano solo punti interrogativi.

Li facevano pensare, inducendoli a rompere gli schemi che si portavano dentro e nei quali avrebbero voluto «inquadrare Gesù».

La parabola è come la lampada nella mano di una persona:
incomincia coll'esaminarla per vedere come funziona e finisce con lo scoprire che non illumina se non la leghiamo alla presa della corrente.
La parabola si rivela nel suo pieno significato ed incomincia ad illuminare davvero solo quando si lega alla persona di Gesù Cristo per mezzo di una conversione sincera a Lui.

Qui l'uomo incomincia a vedere chiaramente dove mette i piedi.

Ma la parabola in sé, anche prima di legarsi a Cristo, è capace di portare l'uomo a rendersi conto di come funziona e della capacità che ha di accendersi ed illuminare la strada.

Dipende dalla forza insita nell'immagine e nel paragone.





6. Risposte alle difficoltà


Molte delle applicazioni delle parabole che si sentono nelle prediche e si leggono nei libri derivano piuttosto dalla fertile immaginazione del predicatore che dal testo.

L'immaginazione usata bene è uno strumento importante per spiegare l'uso delle immagini.

Bisogna però che chi ascolta abbia buon senso e giudichi con criterio quello che gli viene detto.

Bisogna fare come dice Gesù:
pensare ed approfondire per scoprire da sé il senso delle cose.

La parabola del fattore infedele l'abbiamo già spiegata.

Ci dice anche che Gesù era più umano di noi e che era integrato nella vita più di noi.

Non ha avuto paura di usare un esempio preso dalla cronaca nera di ogni giorno.

In tutto quello che succede, perfino nelle cose peggiori, c'è sempre qualcosa di buono di cui ci si può valere.


SEGUE...

contatto skype: missoltino 1
I nostri amici





Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:24. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com
Horloge pour site Orologio per sito