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"Viaggiando nella Bibbia" Riassunto Generale

Ultimo Aggiornamento: 06/07/2014 10:41
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[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XIV [SM=g6198] [SM=g6198]

i miracoli di Gesù:
campionario gratuito del futuro che ci aspetta







1. Difficoltà attuali rispetto ai miracoli


Salendo al cielo, Gesù lasciò la promessa nei miracoli per chi volesse credere nel suo nome (Mc. 6,17-18).

Secondo gli atti degli apostoli, nella chiesa dei primi cristiani succedevano molti miracoli.

Ma oggi, dove sono i miracoli promessi da Gesù?

A Lourdes?

Nella galleria dei miracoli dei grandi santuari dove la gente va in pellegrinaggio?

Dove?

A Lourdes le statistiche indicano il ribasso dei miracoli.

Col crescere della investigazione scientifica il miracolo diminuisce.

La scienza oggi riesce a spiegare tante cose che prima non si spiegavano; non sono più miracoli.

Ma allora, da che dipende il miracolo?
Da noi, dalla scienza o da Dio?

Chi mi dice che quello è un miracolo?
E i miracoli fatti da Gesù erano proprio miracoli?

Se applicassimo tutti i criteri della scienza che cosa resterebbe in piedi?

Leggiamo nei giornali:
le folle si ammassano intorno all'altare di S. Gennaro.
Vengono da tutte le parti della regione.
Arrivano in omnibus,
in treno,
in camion,
in taxi,
a cavallo,
a piedi,
in barella.

Vengono pregando in pellegrinaggio.

Negli occhi hanno la luce differente di chi aspetta il miracolo.

Sono folle in cerca di una grazia, che nella loro fede sono certe di ottenere per quel sangue che si liquefa.

Leggiamo nel Nuovo Testamento di quasi 2000 anni fa:
«Lo seguiva una grande folla perché aveva visto i miracoli che Gesù faceva ai malati» (Gv. 6,2).

«Mettevano i malati lungo le strade e li trasportavano sulle barelle, affinché quando Pietro passava, almeno la sua ombra, li coprisse.

Anche dalle città vicine accorreva molta gente portando gli infermi» (Atti 5,15-16).

Qual è la differenza tra un popolo che cercava Gesù e gli apostoli, e un popolo che oggi accorre al sangue di S. Gennaro o alla Madonna del Divino Amore o ad un taumaturgo qualsiasi che opera guarigioni ritenute miracolose?

In generale pensiamo così:
un cristiano evoluto e colto non crede poi tanto ai miracoli.

Il non cristiano o il cattolico tradizionale ci credono fermamente.
Come si spiega?

Vorrebbe dire che il cristiano moderno non crede più ai miracoli?

Che cos'è un miracolo?





2. Nozioni generali sui miracoli


La nozione corrente del miracolo ci dice che è un fatto che non si può spiegare naturalmente, che va contro il corso normale delle leggi della natura e che la scienza non sa spiegare.

Il popolo pensa che il miracolo sia una cosa dell'altro mondo, una cosa che non succede mai e che nessuno potrebbe fare perché è al di sopra delle forze naturali.

Dice che il miracolo succede quando abbiamo esaurito tutte le altre risorse:
«Adesso solo Dio può fare qualcosa».

Come se Dio non fosse ugualmente presente quando siamo noi a fare le cose, e non abbiamo bisogno di Lui per risolvere i nostri problemi.

Come se Dio non c'entrasse per niente con le cose comuni, naturali, ordinarie, umane che non hanno niente di eccezionale.

Se così fosse, avrebbero ragione quelli che dicono:
« Verrà un giorno in cui la scienza sarà capace di spiegare tutto e allora non ci sarà più bisogno di miracoli».

Inoltre il miracolo è visto come un beneficio di Dio verso chi lo riceve.

È come un regalo personale che mi spinge a chiedermi «che conversione Dio esige da me?»

È un beneficio esclusivamente individuale,
slegato dalla chiesa,
slegato dal piano di Dio rispetto agli uomini,
slegato da tutto il resto.

Insomma, la reazione più comune degli uomini di oggi di fronte al miracolo è questa:
«Sarà proprio vero?»
oppure «Che pacchia! »

La parola miracolo deriva da miraculum, che vuol dire cosa ammirabile}
un fatto che desta ammirazione.

Nella Bibbia si parla spesso di «cose ammirevoli» che Dio fa per il suo popolo.

Non è però miracolo qualunque cosa degna di ammirazione.

Per esempio:
un bambino di 3 anni che fa un salto di cinque metri è ammirevole, ma non arriverebbe ad essere qualificato miracolo.

Miracolo è un fatto, un avvenimento, una realtà che desta stupore perché l'uomo vi riconosce la presenza di Dio che si rivela.

Un esempio tratto dalla vita quotidiana serve a chiarire ciò che la Bibbia intende per miracolo.

Un bel giorno Maria, moglie di Francesco, mise un fiore sul davanzale della, finestra, un fiore fresco e dai colori vivaci.

Voleva che Francesco tornando a casa vedesse il fiore, lo ammirasse, si sentisse contento vedendo che Maria lo amava.

Era un gesto di amore.

Quando Francesco rincasò dal lavoro vide il fiore e capì quello che voleva dire.

Corse da Maria, la baciò e le disse:
«Grazie Maria, sei un tesoro».

Molta gente tornando dal lavoro passò sotto quella finestra, vide il fiore e non pensò a niente.

Neppure avrebbero potuto farlo.

Il fiore era solo per Francesco.
Francesco se ne accorse e basta.

Il fiore era segno di un grande amore,
di tenerezza,
di amicizia,
di presenza,
di fedeltà.

Il fiore raggiunge lo scopo per cui Maria lo aveva messo sul davanzale della finestra.

Non sarebbe stato neppure opportuno che tutti se ne accorgessero.

Avrebbe violato il segreto di loro due.

Per tutti gli altri il fiore non significava niente, non era un segno, era solo un fiore come un altro.

Per Francesco e per Maria il fiore significava un mondo.

Allo stesso modo Dio mette molte volte un fiore sulla finestra della nostra vita.

A volte il fiore cade sotto gli occhi di tutti e se ne dovevano proprio accorgere tutti.

Altre volte, e sono le più spicciole e forse le più belle, il fiore è solo per te.

La vita è piena di fiori, di segni di Dio che rivelano amore tenerezza amicizia presenza fedeltà potenza forza;
segni che ti destano meraviglia e ti ricordano l'amico.

Il fiore destò l'ammirazione di Francesco.
Rimase estasiato perché vi riconobbe l'espressione dell'amore di Maria per lui.

Miracolo, come abbiamo detto, è tutto quello che causa ammirazione per il fatto che ci rivela l'amore e l'appello di Dio.

Così nella Bibbia il miracolo può essere la cosa più comune e la cosa più fuori del comune.

Una tempesta,
un tramonto,
la bellezza della natura e la grazia di un bimbo,
la manna del deserto e le piaghe d'Egitto.

Oppure la resurrezione di un morto,
la guarigione di un paralitico,
la moltiplicazione dei pani.

In tutte queste cose il cuore dell'amico riconosce la mano dell'amico, come Francesco vide la mano di Maria in quel fiore sul davanzale.

Chi non è amico passa oltre e non si accorge di niente.

Per questo il miracolo, per essere miracolo, non dipende dalla scienza.

Questa cosa ammirabile non dipende solo da Dio, dipende anche da noi, dal nostro sguardo.

Dove non esiste sguardo d'amore, neppure Dio può farci niente.

Gesù non riuscì a fare nessun miracolo a Nazareth, perché lì mancava lo sguardo di amore, mancava la fede di quella gente (Mc. 5,5-6).

Quando oggi discutiamo sui miracoli ci scordiamo il più delle volte che per potersi accorgere del messaggio di quel fiore, per accorgersi del miracolo, bisogna avere lo sguardo della fede, dell'amore, dell'amicizia.






3. Caratteristiche del miracolo secondo la Bibbia


Le parole più usate nella Bibbia per definire ciò che oggi chiamiamo miracolo sono queste:
segno, forza, cosa ammirabile.

La caratteristica fondamentale del miracolo secondo la Bibbia consiste nel rivelare la presenza attuante di Dio;
una forza che agisce e provoca una cosa ammirabile richiama l'attenzione e perciò stesso diventa segno di Dio.

Non ha nulla a che fare col miracolo, in quanto tale, il fatto che va contro le leggi della natura o non trova spiegazione nella scienza.

È proprio del miracolo in quanto tale essere segno della presenza attuante di Dio nella vita.

Nella Bibbia il miracolo è una parola che Dio dice all'uomo per confidargli un segreto, per fargli un invito.

Sotto questo aspetto la Bibbia riconosce «miracoli», «segni», «cose ammirabili», «espressioni di forza» nella creazione, cioè in cose che per noi non hanno niente a che vedere col miracolo:

Dio manda la pioggia (Ger. 5,24), manda il sole per illuminare il giorno e la luna per rischiarare la notte (Ger. 31,35); lui governa il susseguirsi dei giorni e delle notti (Ger. 33,20.25).

«Nei cieli si manifesta la gloria di Dio! Il firmamento proclama la sua forza creatrice!

Nell'alternarsi dei giorni e delle notti corre un annuncio, si trasmette un messaggio.
Senza parole, senza discorsi, nessuna voce risuona.

Eppure il suo mormorio echeggia per tutta la terra e il suo ritmo si propaga fino ai confini dell'universo (Sal. 18,2-5).

Come sono numerose le tue meraviglie! Vorrei poterle contare, ma sono più numerose dei granelli di rena della spiaggia.

E anche se arrivassi a contarle, mi troverei alla fine davanti al mistero che sei Tu (Sal. 138,17-18).

La natura era un grande libro, che rivelava i tratti del volto di Dio. Evidentemente la conoscenza della natura era limitata e pre-scientifica.

Non si conoscevano ancora le leggi che oggi conosciamo con perfezione sempre crescente.

Ma non per questo il progresso della scienza ci autorizza a dire che il modo di vedere la natura proprio della Bibbia è oramai superato, e a rinnegare quei tratti del volto di Dio che essa vi scopre.

Sono cose che non dipendono dagli strumenti di osservazione scientifica, ma unicamente dal mio sguardo di fede.

Se la scienza mi dice:
«Quel tramonto,
il sole,
la tempesta,
la pioggia,
la siccità sono la cosa più naturale del mondo,
non hanno niente di straordinario»
il giudizio è giusto e vero.

La scienza ha tutte le ragioni, ma non per questo al mio sguardo è precluso di vedere là dentro un segno e un riflesso di Dio mio amico e di sentirmi ammirato, o come direbbe la Bibbia, di riconoscervi un miracolo, un segno di Dio per tutti noi.

Con una uguale prospettiva, la Bibbia riconosce i segni di Dio nella vita quotidiana, nelle cose più comuni dell'esistenza e nella storia del passato.

Basta leggere i libri dei Proverbi e il libro dell'Esodo.

La mano di Dio è visibile in tutto e riempie la vita di un'amicizia che ci manca tanto.

Nella Bibbia, potremmo dire, il miracolo è un fatto bilaterale:
da una parte suppone l'azione di Dio, dall'altra suppone nell'uomo uno sguardo di fede capace di cogliere il significato di quello che Dio fa.

Altrimenti sarebbe come un film muto.
Nessuno ci capisce niente e non ha senso.

Non sarebbe più «miracolo» nel senso biblico della parola.

La domanda che sorge nella Bibbia davanti ad un miracolo non è:
«sarà proprio vero?»
ma:
«che cosa Dio mi vuol dire con questo?»
«Qual è il suo messaggio?»
«Che vuole Dio da me, da noi?».

Ci sono miracoli falsi e veri.

I criteri per distinguerli sono due:
che siano inseriti nel contesto del piano di Dio e che vadano d'accordo con il resto della rivelazione (cf. Dt. 13,1).

Non basta che succeda una cosa meravigliosa e prodigiosa perché si possa dire senz'altro:
«Viene da Dio».

Gesù stesso dice che verrà gente a fare miracoli molto grandi e ci avverte:
«State attenti» (Mt. 24-25).


Dice anche che alla fine ci sarà gente che dirà:
«Signore, Signore, non abbiamo forse profetizzato in tuo nome?
Non abbiamo forse cacciato i demoni in tuo nome?
Non abbiamo fatto miracoli in tuo nome?

Ma io risponderò:
Non vi ho mai conosciuto!
Andate lontano da me perché fate il male» (Mt. 7,22.23).

Il miracolo non dice niente a chi non ha fede.
Sì e no arriverà a suscitare il problema di Dio.

Chi ha fede ci vede la mano di Dio, perché sta in sintonia con la frequenza d'onda con cui Dio lancia il suo messaggio.

Sono criteri che ci possono aiutare, a formulare un giudizio sui miracoli che tutt'oggi si verificano in tanti luoghi.






4. Storicità dei miracoli di Gesù


Qualcuno ha negato la storicità dei miracoli di Gesù allegando che furono tutte invenzioni dei cristiani per «canonizzare» Gesù.

Esistevano divinità miracolose fra i pagani e Gesù doveva pur competere con loro.

C'erano anche uomini che facevano miracoli, come per esempio Apollonio di Tiana che ne faceva a bizzeffe.

Perfino tra i giudei c'era gente che operava miracoli.
Gesù era uno dei tanti.

Oggi non si pensa più così.
Gli argomenti sono caduti.

In genere si negano i miracoli, non tanto a causa degli argomenti addotti ma perché prima ancora di qualsiasi argomento non si crede proprio che il miracolo sia possibile.

Gli argomenti addotti non valgono per le seguenti ragioni:
non si può negare in blocco la testimonianza schiacciante dei vangeli.

Inoltre i miracoli di Gesù non sono effetto di magia, così caratteristica negli altri taumaturghi del tempo.

Confrontando fra loro i racconti degli altri con quelli dei vangeli, si nota una grande differenza:
sobrietà e nessuna speculazione dell'aspetto meraviglioso.

Gesù fa miracoli con la sua autorità e non a richiesta, come facevano i giudei.

Nei così detti «libri apocrifi», scritti per lo più all'inizio del II secolo, si raccontano miracoli sensazionali del Bambino Gesù del tutto privi di fondamento storico.

Sono più che altro espressione di una ricerca di sicurezza.

Quando un bambino si accorge che i genitori non stanno in casa, fa tutto il possibile per sentirsi sicuro.

Atrofizzato o perduto del tutto il contatto reale con Dio, contatto di fede e di fiducia, si cerca sicurezza nei riti e nei miracoli.
I quali allora non valgono più per il significato che hanno ma diventano valori in sé e per sé.

Quanto maggiore è l'aspetto sensazionale e meraviglioso, tanto meglio è. Ma la Bibbia non pensa così.

Può succedere che, applicando tutti i criteri della scienza moderna, si arrivi a concludere che uno o un altro fatto della vita di Gesù non fu miracolo secondo il criterio che noi oggi ne abbiamo.

Non per questo cesserebbe di essere miracolo (segno forza cosa ammirabile) nel senso biblico della parola:
segno della presenza di Dio attuante in mezzo agli uomini.






5. I miracoli di Gesù come segni


Abbiamo visto nel cap. 12 che la venuta di Gesù cambiò molte cose e le cambiò dalla radice.

A causa della sua parola e del suo agire tutto si «ri-orienta» e si ri-compone.

Da Cristo sboccia e fiorisce una situazione radicalmente nuova:
una umanità nuova, un mondo nuovo.
I miracoli fanno parte di questo «rinnovamento» più vasto e ne sono il «segno».

Nei miracoli si esprime la «forza» che suscita il «mondo nuovo».

Se facciamo una verifica vediamo che l'azione miracolosa di Gesù raggiunge tutti i settori della realtà:
malattia,
fame,
cecità,
natura,
morte,
peccato,
demonio,
volontà,
tristezza.

Prende di petto tutti i mali che affliggono gli uomini:

1. caccia i demoni, causa di tutti i mali;

2. perdona i peccati che provocano i mali;

3. domina la volontà fiacca degli uomini e la irrobustisce, perché basta che lui dica:
«Vieni, seguimi», e un uomo come Levi pianta in asso il lavoro di usuraio con tutto il suo lucro per seguire Gesù Cristo (Mt. 9,9);

4. domina la natura che minaccia gli uomini perché calma la tempesta, cammina sulle acque e provoca la pesca miracolosa;

5. vince la fame moltiplicando i pani;

6. sana ogni tipo di malattia:
storpi ciechi lunatici muti sordi lebbrosi ecc.;

7. è superiore alla forza della morte e risuscita tre morti:
Lazzaro, il figlio della vedova di Naim e la figlia di Giairo;

8. la sua presenza è motivo di grande allegria e speranza per il popolo.

Il modo di fare i miracoli ricorda l'azione creatrice di Dio:
basta una parola per curare malattie, cacciare demoni, calmare il mare, risuscitare i morti (cf. Gen. 1,3).

La magia non c'entra.
Con l'arrivo di Gesù si inaugura una nuova creazione.

Gesù non fa miracoli tanto per farli.
E neppure per soddisfare la curiosità umana né per autopromozione.

Li nega ad Erode quando questi gli chiede di vederne qualcuno
(Lc. 2.3,8).

Non lo fa neppure per sé, quando sta in croce e gli dicono:
«scenda adesso dalla croce e gli crederemo» (Mt. 27,42).

Non ha mai fatto miracoli per scherzo, come fanno pensare gli apocrifi.
I suoi miracoli sono segni.
Segni di che?

In molte circostanze Gesù ci fa intuire il significato dei suoi miracoli: 1. Giovanni Battista manda a chiedergli:
«Sei tu il Signore che doveva venire o dobbiamo aspettarne un altro?» (Mt. 11,3).

Gesù risponde:
«Andate a dire a Giovanni quello che vedete e udite:
i ciechi riacquistano la vista e gli storpi camminano;
i lebbrosi sono curati e i sordi odono;
i morti risuscitano e la Buona Novella è annunciata ai poveri»
(Mt. 11,4-5).

I miracoli che Gesù enumera corrispondono a quelli annunciati dal profeta Isaia come segno del tempo messianico.

2. I farisei dubitavano degli esorcismi di Gesù.
Gesù risponde:
«Se caccio i demoni col dito di Dio vuol dire che è arrivato per voi il Regno di Dio» (Lc. 11,20).

L'espulsione dei demoni è fatta per significare che era arrivato il Regno.

3. Un'altra volta Gesù sana un paralitico per dimostrare che aveva il potere di perdonare i peccati (Mc. 2,10-12).
Il miracolo diventa segno del suo potere per stroncare il male alla radice che è il peccato.

4. Il miracolo della tempesta sedata suscita la domanda:
«Chi è costui cui il vento e il mare obbediscono?» (Mc. 4,40).

Il miracolo non è un fatto isolato, ma richiama l'attenzione di Gesù del quale vuol rivelare un aspetto personale.

5. Risana l'uomo dalla mano secca per dimostrare che Lui è più del sabato (cf. Mc. 3,1-5; 2,27-28).

6. I miracoli servono a conferire credibilità alle parole e ai messaggi che Gesù dirige al popolo (cf. Gv. 12,37; Lc. 10,13-14').
I miracoli sono segni per dimostrare che Gesù sta nel Padre, ed il Padre in Lui (Gv 10,38; 14,11).

I miracoli perciò non sono gesti di grandezza fini a se stessi, indipendenti da ogni altra cosa.

Hanno uno scopo:
rivelare agli uomini la persona di Gesù.

Attraverso di loro Gesù si presenta con la missione che il Padre gli ha dato.

Gesù non permette che il popolo si fermi ai miracoli, ossia ai benefici senza poi interrogarsi circa il messaggio che Dio vuol comunicargli per mezzo di loro.
Si lascia cercare dal popolo a causa dei miracoli.
Basta leggere i Vangeli per convincersene.

Subito dopo però cerca di portare il popolo a non polarizzarsi sui prodigi ed a ricercarne il significato.

Quando per esempio il popolo lo seguiva a causa dei miracoli (Gv 6,2) e restò con lui tanto tempo che gli mancò da mangiare, Gesù moltiplicò i pani (Gv 6,11-12).

Qualche tempo dopo il popolo lo cercò ancora e Gesù disse:
«Mi cercate non perché avete visto dei segni, ma solo perché avete mangiato il pane e vi siete saziati» (Gv. 6, 26).

Si interessavano del beneficio e non dei segni, cioè non si preoccupavano di scoprire il significato del messaggio.
Quella volta Gesù parlò con molta durezza (Gv 6,60) tenendo a distanza il popolo che rimase chiuso nei suoi interessi immediati e non volle aprirsi ad un senso più alto delle cose (cf. Gv. 6,66).

I miracoli esistono e succedono per aiutare il popolo ad aprirsi al messaggio di Dio, disponendosi ad aderire a Cristo con la fede ed a riconoscere in Lui il Messia, il Figlio di Dio.

Senza quest'apertura di fede anche il miracolo non serve a niente.
Gesù per esempio non riuscì a fare nessun miracolo a Nazareth, perché il popolo non aveva fede (Mc. 6,5-6).

I farisei furono presenti a tutti i miracoli, eppure non credettero
(Gv. 12,37) perché mancavano di semplicità e di apertura alla verità
(cf. Gv. 18, 37; 8,39-47).

Senza queste disposizioni il miracolo è inutile.






6. I miracoli di Gesù: «campionario gratuito» del futuro


Oltre ad essere segni del Regno che è venuto, i miracoli sono essi stessi l'inizio della venuta del Regno, «campionario» di quello che il potere e la fedeltà di Dio sapranno realizzare a vantaggio e per mezzo degli uomini che credono.

Per questo i miracoli, oltre ad essere semplici segni, suscitano anche la speranza, perché testimoniano l'inizio del futuro;
suscitano la fede perché manifestano la potenza che garantisce il futuro; suscitano il dono di sé e la capacità di lottare e di resistere perché garantiscono che la dedizione alla causa del Regno è valida e non sarà delusa.

Sotto le mani di Gesù il futuro prende forma concreta, e incomincia a esistere tra gli uomini il Paradiso, dove tutto è ordine, pace, armonia.

Il Paradiso incomincia con Gesù perché in Lui agisce una forza nuova che è lo Spirito di Dio.

Lo Spirito che operò nella creazione (Gen. 1, 2), che infuse vita agli uomini (Gen. 2, 7; Gv. 33, 4), che realizzò le grandi meraviglie del passato (Es. 15, lO; Is. 63, 12-14), che riempie l'immensità della terra (Sap. 1, 2), che fu promesso per il futuro come il grande dono di Dio (Gioel. 3,1-5);

questo Spirito creatore (Sal. 103, 30) Gesù lo possiede in tutta la sua pienezza (Is.11, 2; Lc. 4, 18) e lo comunica a tutti \ quelli che credono in lui (Gv. 16, 12-15) e a tutti coloro che si sforzano di vivere una
vita umana e degna (cf. Gal. 5, 22).

Ma sono necessari gli occhi della fede per distinguerne l'azione.

A volte la forza che costruisce il mondo nuovo e sbocca nel Paradiso trova maggiore disponibilità e opera in modo più intenso e prodigioso in alcune persone:
S. Francesco, Papa Giovanni XXIII, i santi in generale.

In tutti però ha gli stessi caratteri:
lotta contro il male, sforzo di liberazione da tutto quanto opprime l'uomo, tentativo di ristabilire l'ordine la pace l'armonia.



Anzitutto il miracolo vuol provocare la conversione e il cambiamento, per realizzare il Regno nella vita degli individui e della società:
«lI Regno di Dio è qui; cambiate vita» (Mc. 1, 15).

Dipendere sempre dal miracolo e pensare che il miracolo è per se stesso un segno della protezione di Dio e che a niente servirebbe il nostro sforzo, vuol dire ingannare se stesso.

Laddove il miracolo non riesce a provocare la conversione, ottiene l'effetto contrario e diventa oggetto di giudizio e di condanna (Lc. 10, 13-14; Gv. 15, 24).

Anche oggi è così:
fermarsi al miracolo e compiacersene può generare l'effetto opposto a quello che si pensa.

Miracolo è come la parola di Dio:
una spada a due tagli (Ebr. 4, 12).






7. Gesù il Grande Segno o il Grande Miracolo


I miracoli sono altrettante finestre aperte da Dio sul senso della vita, sui cammini della salvezza.

Stanno lì davanti a noi soprattutto per renderci attenti a Gesù Cristo. Il Vangelo di Giovanni ce lo insegna con molta chiarezza.

Nel Vangelo di Giovanni si trovano relativamente pochi miracoli, appena uno di ogni tipo.

Secondo Giovanni il miracolo non è solo un beneficio fatto a questa o a quella persona, ma è allo stesso tempo rivelazione di uno o di un altro aspetto della salvezza che Dio ha portato agli uomini:
cambia l'acqua in vino per dimostrare la superiorità del Nuovo Testamento sull'Antico (Gv. 2, 1-11);

cura il figlio di un ufficiale del re per dimostrare che la fede degli uomini è la prova a distanza del potere di Dio (Gv. 4, 46-54);
cura il paralitico in giorno di sabato non solo per farlo felice ma anche per rivelare che egli non lavora ad ore fisse, ma come Dio lavora sempre in qualunque momento al bene degli uomini (G v. 5, 1-17);

moltiplica i pani non solo per saziare la fame del popolo ma anche per rivelare che lui è il Pane della Vita (Gv. 6, 1-59);

cura il cieco dalla nascita e ridà luce ai suoi occhi spenti non solo per aiutare questo pover'uomo ma anche per rivelare che Lui è la luce del mondo (Gv. 9, 1-7);

risuscita Lazzaro non solo per aiutare l'amico e liberare dal lutto Marta e Maria ma anche per dimostrare che Lui è la «Resurrezione e la Vita» (Gv. 11, 1-44).


Tutti i miracoli sono appena una anticipazione del grande e definitivo miracolo della resurrezione in cui si manifestò chi era Gesù e qual è il futuro che Lui vuole realizzare.

La forza della resurrezione agiva fin d'allora in Gesù e agisce ancora in coloro che credono (cf. Ef. 1, 17-21), provocando attraverso di loro la conversione e la trasformazione della vita e delle strutture che impediscono la realizzazione del Paradiso.






8. Risposte alle difficoltà suscitate da principio


Miracolo o legge della natura?
Il dilemma non esiste.

Possiamo riconoscere un segno della presenza attuante di Dio nella contemplazione di un tramonto, negli avvenimenti di ogni giorno, nella bellezza di un fanciullo, nella guarigione operata da certe medicine.

La scienza può dare a tutto ciò la sua spiegazione, ma non arriverà mai al punto da proibirci di dire:
«Grazie Signore!
che vuoi da me?»

Ognuno ha il suo modo di vivere l'amicizia con Dio e interpreta i segni della presenza di Dio a modo suo.

Potremmo dire che ciascuno ha i suoi miracoli nella sua vita.

Il criterio è il seguente:
stare d'accordo col Vangelo;
provocare un cambiamento di vita;
non fermarsi al beneficio ma cercare l'appello di Dio che là si rivela; sostenersi nella fede e non favorire la soddisfazione degli aspetti magici che offuscano la presenza gratuita di Dio, legando il potere di Dio a elementi materiali, incapaci di un simile potere.

È ben possibile che arrivi un giorno in cui la scienza riesca a spiegare tutto ciò che succede a Lourdes.

Non per questo si dovrà concludere:
«Qui Dio non c'è».

Ciò dipende da un altro strumento di misura che è la fede.

Se Francesco non avesse avuto quella fede e quell'amore che aveva, non avrebbe visto niente nel fiore che Maria mise per lui sul davanzale.

Avrebbe visto nel fiore, nel vestito, nel cibo, qualcosa che Maria doveva fare per lui dal momento che era sua legittima sposa.

Quel fiore avrebbe fatto crescere in lui la coscienza che il marito era lui ed a lui la moglie doveva obbedienza.


L'amore non sarebbe aumentato, anzi sarebbe diminuito e lui sarebbe caduto in un egoismo sempre maggiore.

Molta gente vede nel miracolo qualcosa che Dio deve fare perché è Dio, perché è padrone.
Il padrone, si pensa, ha il dovere di dare l'elemosina ai suoi servi.

La dà però come e quando crede.
A noi spetta il dovere e il diritto di chiederla.

Quanto più il padrone fa elemosina, tanto più è padrone, così si pensa. Quanti più miracoli Dio fa, tanto meglio si comporta come Pio.

Ne deriverebbe che noi, poveri dipendenti uomini, resteremmo sempre nella condizione di dipendenti e di schiavi.

Non arriveremmo mai ad essere figli di colui al quale chiediamo e dal quale riceviamo elemosina.
Il miracolo però non è uguale all'elemosina che il padrone concede.

Il miracolo è un segno di amore che il padre dà al suo figlio.
Fintanto che non ci formeremo la mentalità di figli, non avremo lo sguardo adatto a scoprire il vero senso del miracolo.

Miracoli oggi:
Il grande miracolo, così grande che non lo vediamo neppure perché sta troppo vicino ai nostri occhi, è la vita che si rinnova per la fede in Cristo;

vita che sempre crea un coraggio nuovo e non si arrende mai;
vita che sopporta la persecuzione, che arriva a morire ma che risuscita sempre;
vita che rinnova gli altri solo per il fatto che esiste;
vita che ci confonde con la sua grande ricchezza, nonostante la povertà in cui viviamo.

Questo è il grande miracolo ambulante e continuo, provocato dall'azione dello Spirito presente nella vita degli uomini.

Laddove diminuisce la percezione della forza della vita e dello Spirito, nasce la necessità dei «miracoli» per sostenere la vita.

Quando gli uomini perdono la sensibilità per percepire la presenza attuante di Dio in mezzo a loro, presenza garantita dalla Parola di Dio, cercano altri mezzi per garantirsi tale presenza;
e sorgono i 'miracoli'.

È difficile pronunciare un giudizio sui 'miracoli' che oggi succedono in tutte le parti del mondo, e che riempiono i musei dei grandi santuari.

C'è chi scuote la testa e dice:
«poveretti!» Dobbiamo ricordarci sempre di una frase del Vangelo:
«Lo seguiva una grande folla perché aveva visto i miracoli che aveva fatto ai malati» (Gv. 6, 2).

Gesù accoglieva il popolo:
«gli facevano pena perché erano come pecore senza pastore» (Mc. 6, 34).

Arrivò perfino a permettere che una povera donna che da 12 anni soffriva di emorragie lo toccasse per essere guarita (Mc. 5, 2534).

Poteva essere un atteggiamento magico e superstizioso ma Gesù non lo condannò.

Si fa presto a condannare gli atteggiamenti del popolo!
Ma non è altrettanto facile individuare il vuoto interiore che porta il popolo a cercare i miracoli!

Invece di giudicare con superficialità il sentimento del popolo, sarebbe più onesto imporsi una revisione seria dei propri atteggiamenti:
stiamo offrendo noi al popolo una speranza, qualcosa che gli apra la porta di un futuro migliore per il quale valga la pena lottare?

Perché non riconoscere in questa crescente sete di miracoli (da San Gennaro al Divino Amore agli stregoni di tutti i luoghi) il segno che sta crescendo la disperazione del popolo, oramai incredulo e diffidente verso tutte le soluzioni ufficiali, sia dei governi che della Chiesa?

Non è questo il caso di «sentir pena del popolo come di pecore senza pastore?»
e offrirgli in tutta la sua pienezza la «Buona Notizia» del Regno?

Questo vale non solo per il popolo povero e sottosviluppato.
Oggi l’oroscopo è di moda e lo troviamo anche nei giornali 'cattolici'.

Religioni esoteriche vedono crescere il numero dei loro adepti che vengono da tutte le parti, gente istruita che ha tutto quello che vuole dalla vita.

Gli manca però la vita che cerca.

Anche costoro vanno errando per le strade della vita come pecore senza pastore, bisognosi di una visione del futuro che sia capace di risvegliare una speranza, una fede, un grande amore.






SEGUE..





[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XV [SM=g6198] [SM=g6198]


la trasfigurazione di Gesù:
il senso delle crisi della vita






1. Obbiettivi di questo capitolo


Generalmente quando sentiamo parlare di Trasfigurazione pensiamo
a un fatto determinato nella vita di Gesù.
Non lo inseriamo nell'ambiente generale della sua esistenza.

Infatti la Trasfigurazione dà un'impronta alla vita di Gesù.

Inaugura una fase nuova e differente della sua attività.

Il fine principale di questo capitolo è illustrare, per mezzo di uno studio sulla Trasfigurazione,
quell'aspetto particolare della vita e dell'attività di Gesù che ci rivela meglio la sua umanità.

In genere quando leggiamo i vangeli pensiamo solo alle cose che vi
sono scritte e non a chi le scrisse né a coloro per i quali furono scritte.

Non pensiamo cioè agli evangelisti né alla situazione concreta dei
primi cristiani.

La narrazione della Trasfigurazione è un esempio tipico sia del perché gli evangelisti parlano tanto
di Gesù quanto della vita dei primi cristiani, e dell'intenzione che ebbero gli evangelisti nel descriverla.

Illuminare questa triplice dimensione dei Vangeli (Gesù, i primi cristiani, gli evangelisti) è un altro
obbiettivo del presente capitolo.

Il terzo obbiettivo consiste nello spiegare il senso della sofferenza
e della passione, perché dalla Trasfigurazione in poi la Passione sorge all'orizzonte della vita di Gesù
che incomincia a parlare della necessità della sofferenza per i suoi discepoli.

Il presente capitolo potrà così aiutarci ad alzare il velo che
suole nascondere un aspetto della vita di Gesù e della vita cristiana;

ci rivela come il piano di Dio si realizza a poco a poco
attraverso le peripezie della vita di ogni giorno che dipendono
dalle libere decisioni degli uomini, così come le crisi della vita

sono occasioni offerte da Dio per farci crescere e per realizzare
la sua volontà nella nostra vita.





2. Differenze fra le due fasi dell'attività di Gesù


Un giorno poco prima della sua trasfigurazione Gesù riunì i
discepoli e domandò loro:
«Chi dice la gente che io sia?» (Mc. 8, 27; Mt. 16, 13; Lc. 9, 18).

D'allora in poi cambia la direzione degli avvenimenti e si notano profonde differenze nell'attività di Gesù.

Diminuiscono i miracoli:
Nella prima fase della sua vita in mezzo al popolo, Gesù faceva tanti miracoli.

Nella seconda fase i miracoli si contano sulla punta delle dita.

Marco ne riferisce solo due in confronto alle decine del periodo precedente.

Anche Matteo ha notizia soltanto degli stessi due miracoli, più uno,
(cf. Mt. 17, 14-21; 20, 29-34 e 17, 24-27).

Luca conosce solo cinque miracoli, cioè i due di Marco e di Matteo più
tre.

Tutto qui.

Perché tanti miracoli nel primo periodo e così pochi nel secondo?

Incomincia l'allusione costante alla passione:
In un primo tempo solo una volta o l'altra si parla della Passione come di una possibilità futura.

Adesso nella seconda fase la grande preoccupazione di Gesù sono
i discepoli e la loro educazione.

Molte volte resta solo con loro e cerca di educarli. (Mc. 9, 28.30.35;
8, 27-31; 1, 10.23-27.28-31; 9, 38-41).
Fa perfino un viaggio all'estero, nella regione di Tiro e Sidone, per stare solo con i discepoli.

Gesù per la prima volta parla di Chiesa (Mt. 16, 18).

Cambia il modo di trattare il popolo:
Prima la grande preoccupazione
di Gesù era il popolo.

Adesso nella seconda fase, la Passione è una certezza e se ne parla continuamente.

Gesù arriva al punto di fare profezie sulla passione
(cf. Mc. 8, 31-32; 9, 30-32; l0, 32-34).

Incomincia a parlare della necessità della croce ai suoi discepoli:
Non solo parla della sua passione ma anche della necessità
di soffrire con lui.

Insiste sulle dure condizioni per poter essere suoi discepoli
(cf. Mt. 16, 24-28; Mc. 8, 34-38; Lc. 9, 23-27; 14, 27; 17, 33; 12, 9; Mc. 10, 28-31 ecc.).

Prima, durante il primo periodo, non insisteva così tanto sulla
necessità di soffrire con Lui.

La prospettiva delle parabole è differente:
in un primo tempo Gesù usava molte parabole per illustrare il mistero
del Regno che deve realizzarsi nel futuro attraverso la passione e la morte.

L'opposizione dei farisei diventa evidente:
Nella prima fase si sentiva un'opposizione velata contro Gesù da parte dei capi del popolo.

In questa seconda fase l'opposizione diventa chiara aperta e irreversibile.

Queste sono le differenze tra il primo e il secondo periodo
dell'attività di Gesù, che si scoprono leggendo attentamente i
Vangeli.

Una spiegazione si impone:
quale fu l'avvenimento che impresse una direzione nuova all'attività di Gesù?





3. Bilancio, revisione e cambiamento di attività nella vita di Gesù


Gesù lasciò la Palestina e andò nella regione di Tiro e Sidone,
e tornando di là con i suoi discepoli, quando arrivò vicino a
Cesarea di Filippi, si fermò e fece un bilancio della situazione
concreta:

«Chi dicono gli uomini che io sia?»

I discepoli enumerarono le opinioni del popolo che erano le più disparate:

«Dicono che sei Giovanni Battista, Elia, Geremia o uno degli antichi
profeti». (Mt. 16, 14; Le. 9, 19; Mc. 8, 28).

Risultato meschino.
Nessuno ha colto nel segno.
Tutti hanno sbagliato.

Nessuno è arrivato a scoprire chi era Gesù.

Allora.
Gesù domandò agli Apostoli:

«E voi?
chi dite che io sia?»

Pietro risposte in nome di tutti e proclamò che Gesù era Cristo cioè il Messia, il Salvatore
promesso da Dio (Mc. 8, 29), e Matteo aggiunse:
«Tu sei il Figlio di Dio vivo» (Mt. 16, 16).

Avevano colto nel segno.
Per loro l'attività di Gesù non era stata inutile.

Fatto il bilancio del suo agire in mezzo al popolo, quale sarà la reazione di Gesù di fronte alla realtà?

Gesù fu sempre obbediente al Padre.

L'obbedienza fu la nota caratteristica della sua vita.

Paolo dice che Gesù fu obbediente fino alla morte (Fil. 2, 8) e che venne al mondo proprio
per fare la volontà del Padre (Ebr. 10, 9).

Gesù stesso lo affermò tante volte:
«Non faccio niente di mia iniziativa, ma come il Padre mi ha insegnato, così parlo... Faccio
sempre quello che piace a Lui» (Gv. 8, 28-29).

Non dobbiamo però intendere l'obbedienza di Gesù come se Lui non avesse bisogno di esaminare i fatti
e gli avvenimenti, come se per Lui tutto fosse chiaro e lampante.

Gesù legge la volontà del Padre negli avvenimenti, nella Bibbia, nella situazione concreta.

Per questo si ritira e prega il Padre nella solitudine durante notti intere (Lc. 6, 12; 9, 18; 5, 16).

Molte volte la situazione concreta lo spinge a cambiare comportamento (cf. Gv. 4, 31-34).

La lettera agli Ebrei arriva a dire che Gesù imparò ad obbedire attraverso la sofferenza (Ebr. 5, 8).

In questo Gesù fu davvero uomo «in tutto uguale a noi eccetto nel peccato» (Ebr. 2, 17-18; 4, 15).

Non solo cercava di scoprire la volontà di Dio ma la metteva in pratica ad ogni costo.

Dio rispetta profondamente la libertà degli uomini.
Nella prima fase della sua attività Gesù annunciò l'arrivo del Regno
(Mt. 1, 15).

Mise in azione tutti i segni necessari perché il popolo potesse accorgersi che il Messia promesso era proprio Lui.

Ma il popolo aveva un'idea così differente del Messia che non arrivò a riconoscerlo in Gesù.

Gesù in un primo momento non usò per sé il nome di Messia, perché l'espressione era politicamente
sospetta, come sarebbe oggi la parola sovversivo o coscientizzazione.

Non voleva aumentare l'equivoco già esistente.

Realizzò la promessa senza darle un nome.

Lo doveva scoprire da sé il popolo, e riformare il suo modo di immaginarsi il Regno.

Ma questo non si avverò.

La grande opportunità «dell'anno della bontà del Signore» (Lc. 4, 19) fu annunciata e offerta
a tutti, ma non fu riconosciuta né accolta.

Dio lasciò l'uomo libero di decidere come realizzare la sua salvezza.

Il bilancio ne fu la prova lampante.

Risultò che l'attività di Gesù era arrivata al punto cruciale di una svolta decisiva.

A partire dalla libera decisione degli uomini di fronte all'annuncio
del Vangelo, Gesù rivede tutta la sua maniera di agire.

Vede sotto una luce nuova la realizzazione del Regno di Dio.
La profezia che parla della sofferenza e della morte del Servo Sofferente di Jahvé (Is. 53, 1-13)
segna d'ora in poi il suo cammino.

È questa adesso la volontà del Padre, espressa chiaramente nella Sacra
Scrittura che Gesù accetta, sebbene con angustia e paura
(cf. Gv. 12, 27).

Il rifiuto degli uomini non è valso ad impedire la realizzazione del piano di Dio.

Al contrario, ha contribuito alla sua realizzazione in un modo differente, per cui si rivela ancora
meglio la bontà di Dio verso
gli uomini.

Sarebbe ozioso domandarsi:
«Come sarebbe stato il Regno se gli uomini lo avessero accettato fin
da principio?».

Nessuno lo può sapere.
È una delle tante probabilità che non si sono realizzate.






4. La tentazione nella vita di Gesù


Nessuno può negare che Gesù fu tentato, dal momento che gli evangelisti ne parlano in modo
esplicito (Mt. 4, 1-11; Mc. 1, 12-13; Lc. 4, 1-13).

La lettera agli Ebrei dice che la tentazione fu una delle caratteristiche costanti della vita
di Gesù (Ebr. 4, 15).

Gesù fu tentato nel deserto, dove Satana cercò di spingerlo a seguire
un'altra strada per realizzare la sua missione, diversa da quella
che Dio gli aveva proposto.

Gesù reagisce decisamente con frasi prese dalla Bibbia e non permette che Satana
raggiunga il suo fine.

Satana è tutto ciò che devia l'uomo dal cammino segnato da Dio.

Più avanti Pietro sarà chiamato Satana (Mc. 8, 33), perché voleva dissuadere Gesù dal seguire
il cammino della sofferenza.

Pietro pensava che un cammino del genere non si addicesse alla dignità di Messia.

Oltre alle due circostanze in cui appare Satana, Luca allude a lui un'altra volta quando dice:
«Dopo tutte quelle tentazioni, Satana si allontanò da lui fino alla prossima volta» (Lc. 4, 13).

Qual’è quest'altra volta?

Gesù si trova sempre di fronte all'alternativa di seguire il cammino
voluto dal Padre o il cammino voluto dal popolo.

Per esempio, dopo la moltiplicazione dei pani il popolo voleva fare
di Gesù un re.

«Giudicarono che Gesù era davvero il profeta che doveva venire al mondo» (Gv. 6, 14) e volevano farne
un Messia a modo loro, un Messia politico e terreno.

Fu una tentazione per Gesù, che vi resistette fuggendo sulla montagna (Gv. 6, 15).

Durante la prima fase della sua attività, Gesù cercò di far cambiare al popolo l'opinione che aveva sul Messia e
sul Regno, accettandolo così com'era senza mettere condizioni e senza andare dietro a preconcetti.

Non ci riuscì.

Il popolo persistette nella sua opinione e Gesù lo rispettò.

Continuamente le velleità del popolo provocano Gesù a lasciare un cammino per un altro.

È la tentazione, la crisi nella vita di Gesù.

Satana interferisce cercando di sviarlo dal cammino tracciato dal Padre.

È come dire che gli uomini tentano continuamente di inquadrare Dio dentro
i loro progetti umani, senza permettergli di criticarli.

Ma Gesù non si sposta dalla sua direzione, pregando sempre.

Non cedette ai facili compromessi del potere e delle aspirazioni del popolo.

Le cose andavano verso una definizione.

L'ora della definizione arrivò anche per Gesù:
capì che non era possibile cambiare la mentalità del popolo, a causa soprattutto dell'influenza
dei capi, i farisei e gli scribi.

Mai e poi mai avrebbero accettato il punto di vista di Gesù.

Sarebbe stato lo stesso che decretare il crollo della loro posizione sociale.
Per cui le cose erano chiare.

Gesù a sua volta non cambiava di certo.
Era inevitabile il conflitto.

La croce si delineava sull'orizzonte della sua vita.
La morte violenta non è più solo possibile, è diventata una certezza.

Penetrando così l'orizzonte degli avvenimenti alla luce della
missione ricevuta dal Padre e alla luce dell'amore e del rispetto

verso gli uomini, Gesù comincia a cambiare la direzione della
sua attività.


Il suo futuro dipende adesso dalla decisione che Lui stesso prenderà di fronte alla reazione negativa del popolo.

Decisione di vita o di morte.
Fu obbediente al Padre, scelse il cammino della fedeltà che lo avrebbe portato fino alla morte.

La sua decisione fu irremovibile:
«prese decisamente il cammino
di Gerusalemme» (Lc. 9, 51) dove sarebbe stato ucciso.

Tutto ciò non avvenne senza conflitto interiore, senza tentazione, simile a quelle che si dettero
nel deserto e nell'orto degli ulivi, come ci raccontano i Vangeli.

Satana ritorna costantemente, per così dire, nella vita di Gesù.

La Trasfigurazione occupa un posto centrale nel cambiamento che si operò nella vita di Gesù.






5. Crisi e tentazione nella vita degli apostoli


Gesù lanciò quella domanda:
«Chi dicono gli uomini che io sia?» (Mc. 8, 27).

La risposta gli venne dal bilancio dell'inchiesta sulle opinioni del
popolo.

Nessuno ci indovinò.

Fece la stessa domanda agli apostoli e Pietro rispose per tutti:
«Tu sei il Messia» (Mc. 8, 29).

Lo accettavano così com'era, senza condizioni né preconcetti.

Almeno così sembrava.
Firmavano il foglio in bianco, disposti a tutto.

Gesù cominciò subito a riempire il foglio in bianco.
Le Sue parole esprimevano la decisione già matura dentro di Lui.

Gesù incominciò col dire ciò che pensava della sua missione messianica.

Come se dicesse:
«Ottimo.
Dunque io sono il Messia, ma dovete sapere che il Messia dovrà soffrire molto, sarà rinnegato dai capi del popolo,
sarà dato alla morte ma risusciterà» (cf. Mc. 8, 1).

La rivelazione fu uno choc, un fulmine a ciel sereno per gli apostoli.

Non andava assolutamente d'accordo con le idee che avevano sul Messia.

Come il popolo, anch'essi pensavano ad un Messia glorioso, maestoso, giudice severo.

E adesso l'uomo, che credevano fosse il Messia, viene a raccontare che
proprio in quanto Messia sarà canzonato, rinnegato, torturato, condannato a morte come un bandito.

Non entrava nelle loro teste.
Gli apostoli precipitarono in una crisi di fede.

Pietro che poc'anzi aveva interpretato il sentimento di tutti dicendo che Gesù era il Messia, anche adesso interpreta
il sentimento di tutti e dice:
«Sei pazzo Signore!
Mai e poi mai ti succederà
una cosa simile!» (Mt. 16, 22; Mc. 8, 32).

La reazione di Gesù fu delle più inattese:
«Vattene Satana!
Tu mi impedisci il cammino!
Tu pensi come pensano gli uomini, non come pensa Iddio!
» (Mt. 16, 23; Mc. 8, 33).

Cominciò il conflitto, ma Gesù tenne duro nel suo modo di intendere la missione di Messia e di Salvatore.

Sarà doloroso portarla fino in fondo, perché sarà osteggiata dai migliori amici ed anche dal popolo in generale.

Gesù non diminuì il problema.

Non solo disse che Lui avrebbe dovuto soffrire, ma aggiunse che anche loro, gli Apostoli, avrebbero dovuto soffrire,
rinnegare se stessi, caricarsi la croce sulle spalle e seguirlo. (Mc. 8, 34; Mt. 16, 24-25).

Non c'era più alcun dubbio.
Invece di addolcire la pillola, Gesù gliene fa assaporare
tutta l'amarezza.

Chi vuole andare con Lui deve sapere ciò che sta facendo, deve sapere ciò che l'aspetta.

La Trasfigurazione avvenne in questo clima generale:
Gesù che soffre la tentazione da parte del popolo, che esige da lui tutt'altra cosa, e da parte degli apostoli, che non lo capiscono;

che soffre in più tutto il disgusto naturale che la morte causa in qualunque persona normale; gli apostoli in profonda crisi non sanno
più che cosa fare;

il popolo vuole impadronirsi di Gesù per farne un re e un messia terreno e politico;
ma è un popolo che non sa quello che fa, come un gregge senza pastore:
un popolo che merita compassione più che giudizio severo (cf. Mc. 6, 34).

Questa è la situazione concreta di Gesù e degli apostoli.






6. La Trasfigurazione nel contesto della vita di Gesù e degli apostoli


Nella descrizione della Trasfigurazione si allude alle 'tende'
(Mt. 17, 4; Me. 9, 5; Lc. 9, 33).

Il racconto incomincia con una precisazione cronologica:
«sei giorni dopo» (Mt. 17,1; Mc. 9, 2) che non ha nulla a che vedere col testo precedente.

Che senso hanno queste due osservazioni preliminari?

Esisteva tra i Giudei una festa chiamata «Festa dei Tabernacoli
» o «Festa delle Tende».

Commemorava i 40 anni che i Giudei passarono nel deserto sotto le tende.
La festa durava sette giorni, durante i quali il popolo aveva l'obbligo di vivere sotto tende improvvisate.

Se non avesse potuto farlo durante tutti i 7 giorni, lo doveva fare almeno per tutto il settimo giorno.

Era una festa nazionale pregna di speranza messianica, più o meno come il XX Settembre a Roma.

Quando i partiti vogliono fare qualche manifestazione di protesta contro il Vaticano, scelgono di preferenza un giorno come questo.

Anche allora era così.

In un giorno come quello dei Tabernacoli il popolo si metteva in tumulto, sembrava attendere il Messia con maggiore impazienza:
«... verrà oggi? ...» Credevano che il Messia sarebbe venuto in un giorno come quello.

L'aria era carica di speranza messianico-politica.

Il popolo guardava Gesù sperando e supplicando che si definisse e si proclamasse Messia.

La tentazione era sempre più forte, più violenta e insistente,soprattutto nell'ultimo giorno di festa.

«Dopo sei giorni» cioè nel settimo, Gesù cercò un luogo solitario, come
già un'altra volta quando fuggì sulla montagna (Gv. 6, 15).

Sale sul monte a pregare (Lc. 9, 28).

Di fronte alla tentazione che gli viene dal popolo, Gesù si fissa in Dio con l'orazione.

Porta con sé solo tre apostoli:
Pietro, Giacomo e Giovanni.

Là nella solitudine Pietro si ricorda del dovere di mettere su le tende, perché era l'ultimo giorno.
«È bene per Te, Signore, stare qui con noi;
facciamo tre tende» (Mt. 17, 4).

Apparvero due figure:
Mosè ed Elia che rappresentavano
l'Antico Testamento;
e si misero a parlare con Gesù della morte che lo aspettava a Gerusalemme (Lc. 9, 31).

Il che significa:
anche l'Antico Testamento, che per gli apostoli era la più alta
espressione della volontà di Dio, dava ragione a Gesù:
doveva soffrire perché questo era il piano di Dio indicato dai Profeti.

Allo stesso tempo Gesù appare tutto glorioso, differente, trasfigurato.

L'insieme dei fatti offriva agli apostoli il mezzo per vincere la loro crisi di fede.
Vedevano Gesù totalmente glorificato, di quella gloria che avevano sognato per il Messia.

Allo Stesso tempo l'Antico Testamento, nella persona dei suoi maggiori rappresentanti Mosè ed Elia, confermava che Gesù doveva proprio soffrire.

La passione, di cui Gesù aveva tanto parlato e contro la quale si erano ribellati, rientrava proprio nel piano di Dio.

La croce era il cammino della gloria.
Non ce n'era un altro.
Il torto era loro.

Gesù aveva tutte le ragioni.
Bisognava cambiare idea e rivedere le proprie posizioni.

Dal cielo una voce li confermò nella loro conclusione:
«Questo è il mio figlio tanto amato!

Dovete ascoltarlo!» (Mc. 9, 7).

Incomincia la lenta vittoria sulla crisi di fede provocata dallo scandalo della croce.

Secondo il Vangelo di Luca la Trasfigurazione fu molto simile per Gesù all'agonia dell'orto degli ulivi:
in tutt'e due i casi vediamo degli uomini che parlano con Gesù sulla passione e morte (Lc. 9, 31).

Nell'agonia appare un angelo per incoraggiarlo ad accettare la passione e la morte (Lc. 22-43).

In tutte e due i casi gli apostoli dormono (Lc. 9, 32 e 22, 45).

Nella Trasfigurazione, mentre Gesù prega, il suo aspetto è glorioso
(Lc. 9, 29) e nell'agonia, mentre prega, il suo aspetto è ben altro, perché gocce di sangue gli scorrono fino a terra. (Lc. 22, 44).

Per alzare un poco il velo del mistero che avvolge la persona di Cristo
e per riuscire a sapere che cosa avvenne dentro di Lui al momento della Trasfigurazione, possiamo ricorrere alla scena dell'agonia
e dire così: qui Gesù ha l'aspetto di un vero uomo.

Come qualunque uomo, sente la paura e l'angoscia del1a morte mal'affronta
con coraggio e preghiera per essere fedele a Dio.
La sua missione è arrivata al momento critico.

Per sottrarsi agli inviti del popolo che voleva deviarlo dal suo cammino, si apparta, vuole stare solo con il Padre.

Mentre prega e riflette sull' Antico Testamento, affronta una situazione uguale a quel1a affrontata col demonio nel deserto,
servendosi delle parole del1a Sacra Scrittura.

L'adesione incrollabile di Gesù al Padre riceve una risposta nella Trasfigurazione quando appaiono i due rappresentanti
dell' Antico Testamento e una voce celeste si fa sentire:
«Questo è il mio figlio amato in cui trovo quello che amo» (Mt. 17,5).

Finito tutto, Gesù proibisce ai tre di svelare agli altri quello che hanno veduto (Mt. 19, 9; Mc. 9, 9; Lc. 9, 36).

Tutto sparisce e resta solo Gesù.

Gli evangelisti insistono sul particolare:
solo Gesù!
Come se volessero dire:
d'ora in poi l'unica espressione della volontà di Dio in mezzo agli uomini è Gesù Cristo nell'atto di accettare
la morte, di dare tutto se stesso ai fratelli.

Gesù in questo preciso atteggiamento è la legge che deve orientare
la vita.

A partire da questo momento tanto decisivo incomincia la seconda
fase della vita di Gesù, come abbiamo detto sopra.






7. La Trasfigurazione nei Vangeli


Ogni evangelista descrive il fatto a modo suo.

Quando tre persone dipingono lo stesso amico, ciascuna
delle tre lo dipinge in un modo differente, perché ciascuna vede nell'amico un aspetto
che gli altri non vedono.

La differenza si rivela nei piccoli tratti.
Il Vangelo di Matteo (Mt. 17, 1•8) dice che il volto di Gesù
sembrava il sole;
parla in una nuvola luminosa;
afferma che i discepoli ebbero paura quando udirono la voce celeste.

Gli altri due, Marco e Luca, non danno gli stessi particolari, e pur dicendo che gli apostoli ebbero paura,
vedono il fatto in un altro
contesto.

Accentuando i piccoli tratti caratteristici, Matteo, che scrive per i Giudei convertiti, fa pensare a Mosè che aveva
il volto splendente come il sole quando scese dalla montagna con le dieci tavole della Legge antica, (Es. 34, 29-35) e ci ricorda la nuvola luminosa che si abbassò sulla
montagna del Sinai quando Dio dette la sua Legge per mezzo di Mosè.

Matteo vuol suggerire che l'antica legge fu data per mezzo di Mosè e la nuova legge per mezzo di Gesù Cristo.

Gesù stesso è la legge nuova, perché Dio ha detto:
«ascoltatelo» (Mt. 17, 5).

Come il popolo dell'Antico Testamento ebbe paura quando vide Mosè con
la Legge, la stessa paura ritorna al momento in cui è data la legge nuova.

Il Vangelo di Marco (Mc. 9, 2-8) dà pochi tratti caratteristici quando descrive il quadro della Trasfigurazione.
Racconta solamente quello che se ne diceva, senza preoccuparsi di aggiungervi nessuna opinione personale.

L'unica cosa pittoresca, molto appropriata a Marco, è il giudizio sul candore delle vesti di Gesù trasfigurato:
«così bianco che nessuna lavandaia riuscirebbe a fare altrettanto»
(Mc. 9, 2).

Il Vangelo di Luca (Lc. 9, 28-36), come abbiamo visto, accentua la somiglianza che esiste tra la Trasfigurazione
e l'agonia di Gesù nell'orto.

Ma prima ancora di essere descritto dai tre evangelisti, esisteva il racconto orale della Trasfigurazione
tramandato dai primi cristiani.

Perché tramandavano il fatto?

A quanto sembra i motivi sono vari:
anzitutto lo scandalo della croce era una pietra d'inciampo molto grande all'evangelizzazione dei giudei (cf. I Cor, 1, 23).

Come fare perché credessero che un uomo condannato da due tribunali e ucciso scandalosamente sulla croce
potesse essere accettato come Messia?

Solo dimostrando che la sofferenza e la croce rientravano nel piano di Dio descritto dall'Antico Testamento.

La Trasfigurazione risolveva il problema e dimostrava che secondo l'Antico Testamento la croce era il cammino
del Messia verso la gloria.

In secondo luogo i cristiani trovavano nell'avvenimento una conferma alla loro fede in Gesù Figlio di Dio,
dal momento che Dio stesso aveva detto: «Questo è il figlio mio!»

Infine il racconto rafforzava l'autorità di Gesù Cristo:
era Lui la Legge e la norma del cristiano:
«Ascoltatelo!»

Questa è la storia della Trasfigurazione.

Uno studio attento di un episodio molto noto della vita di Gesù ce ne ha rivelato aspetti sconosciuti.

Ci ha dimostrato quanto sia giusta la verità che professiamo:
Dio si incarnò in Cristo e si fece uomo come noi.

Forse da oggi saremo capaci di fissare con più attenzione lo sguardo sull'autore della nostra fede, Gesù, che invece di accettare
la felicità che gli veniva offerta «sofferse la croce» (Ebr. 12, 1-2).



SEGUE..

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