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I FONDAMENTI DEL CRISTIANESIMO - PREMESSA.

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2010 00:13
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I FONDAMENTI DEL CRISTIANESIMO CAP.V parte II

2) Scuola mitica
a) La nuova lettura dei vangeli ad opera di Bultmann
La provocazione di Schweitzer fu raccolta da Rudolf Bultmann, fondatore della "Scuola della storia delle
forme" (Form-geschitchtliche Schule), nota anche col nome di Scuola Mitica.
Egli, riprendendo la polemica contro i razionalisti, oppone loro un'affermazione di san Paolo: "Se anche
abbiamo conosciuto il Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così" (2 Cor 5, 16). Da essa, il
Bultmann deduce le ragioni del fallimento delle ricerche dei razionalisti.
Essi hanno fallito perché hanno preteso di usare i vangeli come testi di storia, mentre, da quanto dice san
Paolo, si capisce chiaramente che tutte le opere del Nuovo Testamento - e quindi anche i vangeli - sono
testi di fede, scritti da credenti e indirizzati a credenti per rafforzare una fede già sorta.
Lo scopo primario ed esclusivo dei vangeli è quindi la catechesi, per cui agli evangelisti non interessa
affatto ricostruire "archeologicamente" la figura di Gesù, ma annunciarlo come Cristo, Figlio di Dio e
Salvatore degli uomini.
Nei vangeli, dunque, non troviamo il Gesù della storia, cioè il profeta galileo vissuto in Palestina nel I sec.
d.C. e crocifisso sotto Ponzio Pilato, ma il Cristo della fede, cioè colui che ha definitivamente realizzato la
promessa di salvezza fatta da Dio agli uomini. Il personaggio di Gesù è sicuramente esistito, ma la fede
di cui è stato fatto oggetto lo ha completamente sottratto alla storia, al punto che " di nessuna parola o
azione a lui attribuita si può dimostrare la storicità".
Se tutto questo è vero, conclude Bultmann, pretendere di ricostruire la "vita di Gesù" a partire dai vangeli
significa cercare in essi proprio quello che non c'è e, quand'anche le ricostruzioni storiche dei razionalisti
fossero attendibili, esse non avrebbero nulla da dire al credente, perché egli, con la sua fede, salta la
storia a piè pari.
A queste affermazioni non vale obiettare che, eliminata la storia, non si capisce più su che cosa si possa
fondare la fede, perché Bultmann, in quanto luterano, è assolutamente convinto che la caratteristica
primaria della fede sia quella di imporsi all'uomo contro ogni evidenza razionale o storica; essa, quindi,
non si fonda né sulla ragione (irrimediabilmente corrotta per effetto del peccato originale e quindi
incapace di pervenire alla verità), né sulla storia, ma solo su se stessa, in quanto dono di Dio.
Tuttavia, se oggetto dei vangeli è la fede, bisogna tener presente che essa è stata espressa in termini che
erano capiti nel I sec. d.C., cioè in un mondo che non solo non è più il nostro, ma è anzi lontanissimo dal
nostro: se la mentalità dell'uomo di oggi è scientifica, quella degli antichi era mitica.
Per capire la differenza tra mentalità mitica e mentalità scientifica, ricorreremo ad un facile esempio. Tutti
sappiamo che il tuono è effetto di una scarica elettrica causata dall'incontro di strati d'aria a differente
potenziale: questa è la spiegazione scientifica del fenomeno "tuono". I nostri vecchi, invece, che non la
conoscevano, dicevano che quando tuona "il diavolo va in carrozza", oppure che "i santi giocano a
bocce": queste spiegazioni del fenomeno sono per l'appunto di tipo mitico.
Poiché la visione del mondo degli antichi non è più la nostra, il compito dello studioso del Nuovo
Testamento è quello di demitizzare l'annuncio degli apostoli, ossia di attualizzarlo culturalmente,
trascrivendolo in termini più comprensibili per gli uomini di oggi.
Per questa via, Bultmann perviene a distinguere nel kérygma (cioè nell'annuncio della fede cristiana) ciò
che gli apostoli han detto da ciò che essi han voluto dire.
NOTA BENE: Questo corso è organizzato in capitoli che hanno una logica interna. Consigliamo perciò di leggerli in ordine progressivo.
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Ciò che veramente conta per il credente di oggi è questo secondo aspetto; la forma in cui gli apostoli si
sono espressi è legata alla loro cultura e a quella dei loro primi uditori, nonché ai modi di dire propri della
lingua in cui essi si esprimevano.
Applicando tutto questo all'annuncio "Gesù è risorto", Bultmann conclude che al credente non interessa
affatto sapere o stabilire se dietro ad esso stia o non stia un fatto storico; ciò che conta per lui è che
Gesù sia risorto nell'annuncio degli apostoli, il cui valore autentico ed eterno non sta quindi nel fatto di
riferire un evento realmente accaduto, ma nel fatto di mettere l'uomo davanti ad una scelta radicale: se
credere o non credere.
In altre parole, Bultmann ritiene che, con l'affermazione "Gesù è risorto", gli apostoli volessero dire ai
loro ascoltatori: "In questo momento, attraverso le nostre parole, Dio vi sta interpellando a fidarvi
ciecamente di Lui".
Si veda, a conferma di quanto detto sopra, il seguente testo di Bultmann:
"Spesso... si dice che, secondo la mia interpretazione del kérygma, Gesù sarebbe risorto nel kérygma. Io
accetto questa formula. Essa è esatta a condizione che sia esattamente compresa. Essa suppone che il
kérygma stesso sia un evento escatologico; essa afferma che Gesù è realmente presente nel kérygma,
che questo è la sua parola la quale raggiunge l'uditore nel kérygma. Se non fosse così, tutte le
speculazioni sul modo di essere del Risorto, tutti i racconti sulla tomba vuota e tutte le leggende pasquali,
anche se contengono alcuni elementi di ordine storico e anche se possono essere vere secondo il
simbolismo del loro contenuto, tutto diventa senza valore. Il senso della fede pasquale è di credere al
Cristo presente nel kérygma" (Vehaltnis, 1960, p. 127).
Da questo punto di vista, l'annuncio del Cristo (la risurrezione) è attualizzazione definitiva dell'annuncio
di Gesù (il Regno di Dio): già in esso era infatti contenuto l'invito ad una scelta radicale: " Per amore del
Regno di Dio vale la pena di rinunciare a tutto. L'uomo è situato di fronte ad un grande aut...aut, se
decidersi per il regno di Dio e sacrificare ad esso ogni cosa" (Gesù, tr. it., Queriniana, p. 28).
A chi gli chiedesse allora: "Come mai la predicazione apostolica non si è limitata a ripetere l'annuncio di
Gesù, come i discepoli in genere ripetono la dottrina del maestro", Bultmann risponde che: " La comunità
più antica ha inteso (con sempre maggior chiarezza) la storia di Gesù come l'evento escatologico
decisivo, che come tale non può essere mai relegato nel passato, ma resta sempre presente,
nell'annuncio (...). Se la pura ripetizione dell'annuncio di Gesù (...) rende il passato presente in modo tale
che esso pone l'uditore (o il lettore) di fronte ad una decisione per (o contro) una possibilità di
autocomprendersi, quale ci viene dischiusa nell'annuncio del Gesù storico, il kérygma del Cristo esige la
fede nel Gesù presente in esso, in quel Gesù che a differenza del Gesù storico non si è limitato a
promettere la salvezza, ma l'ha già conferita" (Sitzungberichte der Heidelberger Akademie der
Wissenschaften, 1960).
In altre parole, se l'annuncio del Regno di Dio è promessa, l'annuncio della risurrezione evidenzia che
quella promessa si è definitivamente realizzata.
Con questa lettura teologica, Bultmann replicava ad un'insidiosa obiezione dei razionalisti, quella per cui
Gesù aveva predicato il Regno di Dio... e ne era nata la Chiesa.
Ancora significativo è un testo di W. Marxen, discepolo di Bultmann, anche perché si presta bene a
sintetizzare tutto quanto si è detto sin qui della scuola mitica:
"Nell'indagine storica dietro i nostri testi noi non incontriamo il fatto della risurrezione di Gesù, bensì la
fede della comunità primitiva dopo la morte di Gesù.
Questa fede è una realtà constatabile nelle sue espressioni. Ci imbattiamo, nello stesso tempo, con
l'asserzione che questa realtà si è verificata attraverso un miracolo. E il fatto che abbiamo a che fare in
essa con un miracolo, lo si esprime con la rappresentazione della risurrezione di Gesù (...).
Se io sperimento il mio-giungere-alla-fede come miracolo e se esprimo questo miracolo dicendo che Gesù
è risorto, non posso affermare nulla di più di quello che affermava la comunità primitiva.
Nondimeno, ci si può chiedere se è assolutamente necessario esprimerlo così. Di fronte all'attuale babele
si potrebbe persino chiedere se si debba ancor oggi esprimere così, perché c'è il pericolo di equivocare
subito. Per questo ho proposto altre formulazioni: la causa di Gesù continua; oppure: egli viene ancor
oggi... È la realtà del mio esser-giunto-alla-fede che qui interpreto. La realtà non esiste isolata
dall'interpretazione. Ma essa esprime il carattere di miracolo della realtà, la priorità di Dio o di Gesù nel
verificarsi della mia fede" (La Risurrezione, 1968, p.144).
Il discorso di Marxen è chiarissimo: il vero miracolo è quello della fede, non l'evento della risurrezione.
Anzi, intendere il kérygma nel secondo modo significa esporsi al rischio di "equivocare".
Corso sui Fondamenti del Cristianesimo – Capitolo 5 di 12
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Detto questo, però, si trattava per Bultmann e per i suoi allievi di spiegare da dove fosse nato
"l'equivoco" della fede nella risurrezione come fatto: tale fede, storicamente documentata, costituisce
infatti un autentico travisamento dell'originario annuncio degli apostoli.
Per Bultmann, questo travisamento va collocato nel momento cruciale della diffusione del cristianesimo
presso i pagani. Finché, infatti, la prima comunità si era rivolta agli ebrei, il valore metaforico
dell'annuncio della risurrezione, formulato originariamente in ebraico o in aramaico, era chiaro a tutti:
l'espressione "Gesù è risorto" era un modo di dire proprio di una lingua semitica e tanto chi la
pronunciava, quanto chi la ascoltava sapeva benissimo che essa non andava presa alla lettera, ma che si
trattava di un "mito", ovvero di un discorso figurato che voleva esprimere un'altra realtà.
Quando, però, il cristianesimo si diffuse presso i pagani, che erano per lo più di lingua greca, l'annuncio
della risurrezione fu tradotto alla lettera, secondo l'uso degli antichi: proprio per questo, il valore
metaforico dell'originaria espressione semitica andò perso e i greci furono indotti ad intendere
l'espressione "Gesù è risorto" in senso storico, anziché in senso mitico.
In altre parole, Bultmann ritiene che vi sia stato un errore nella seconda comunità cristiana, quella greca,
che ha interpretato male i modi di dire ebraici o aramaici che gli apostoli hanno impiegato per esprimere
la loro fede nel Cristo.
b) Critiche al metodo di Bultmann
A Bultmann furono, tuttavia, mosse varie obiezioni:
1) In primo luogo non convinse il suo atteggiamento di rinuncia totale a qualunque collocazione storicocronologica
degli avvenimenti relativi all'uomo Gesù: non c'è dubbio che la sua figura sia stata idealizzata
dagli evangelisti, ma poneva e pone tuttora obiettive difficoltà pensare che questa idealizzazione sia stata
talmente radicale da far scomparire totalmente un personaggio dalla storia a non molto tempo di distanza
dalle sue vicende.
Ad accorgersi di questa difficoltà fu proprio un allievo di Bultmann, Ernest Kasemann, al quale dobbiamo
l'elaborazione di una serie di criteri grazie a cui è possibile, dai vangeli, risalire al Gesù storico e
pronunciarsi, con un buon grado di probabilità, sulla storicità effettiva di questo o quel detto o fatto di
Gesù.
In effetti, un esame anche non approfondito dell'attuale produzione relativa al problema del Gesù storico
rivela che più nessuno studioso condivide lo scetticismo radicale di Bultmann.
2) L'abdicazione alla storia implicita nella lettura di Bultmann produce un altro inconveniente, quello per
cui non si riesce a spiegare storicamente come dal giudaismo sia potuta scaturire l'idea, anzi... il mito del
dio che si incarna. Bultmann tentò di spiegare la cosa, ma la sua spiegazione non risultò convincente.
3) Paolo di Tarso, che culturalmente era bilingue, in quanto conosceva perfettamente sia il greco, sia le
lingue semitiche, in 1 Cor 15, 6, parla della risurrezione di Gesù come di un autentico fatto, tant'è che si
fa scrupolo di precisare che molti testimoni delle apparizioni di Gesù erano ancora vivi nel momento in cui
egli scriveva (senso del discorso: "Non credete a me? Andate a chiedere a loro!"): ora, se c'era una
persona perfettamente in grado di cogliere il valore... figurato dell'annuncio della risurrezione, era proprio
lui. Paradossalmente, proprio Paolo, "l'apostolo delle genti", sarebbe stato alla radice del fraintendimento
di quell'annuncio!
In sintesi,
per le scuole critica e mitica la risurrezione non è successa o non è importante sapere se è successa: c'è
stato un errore di interpretazione, in buona fede, da parte della comunità cristiana:
- per la scuola critica l'errore è stato nella prima comunità cristiana (gli apostoli) che ha
interpretato male i fatti che aveva visto;
- per la scuola mitica l'errore è stato nella seconda comunità cristiana (i greci) che ha interpretato
male i modi di dire ebraici/aramaici che gli apostoli hanno usato.
Queste due ipotesi che vogliono salvare la buona fede della comunità cristiana, sono le uniche possibili,
perché l'errore è potuto solo avvenire in una di quelle due comunità, ebraica o greca. In seguito l'errore
non fu più possibile, perché
- il greco non fu più dimenticato;
- nel Nuovo Testamento, dopo la codificazione nel canone, non poterono introdursi altri errori
d'interpretazione, data la continuità delle comunità che lo leggevano.

Segue parte III

Franco


“Quando si vuol cercare la verità su una questione
bisogna cominciare col il dubbio.
(S. Tommaso d’Aquino)”

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