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L'illusione dell'ateismo

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2011 21:32
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21/01/2010 15:55
 
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Scegliere il puro caso e l’insensata necessità genera spontaneamente nell’animo umano un disagio enorme: concepire una struttura così meravigliosa e complessa come l’Universo quale mero prodotto di coincidenze imprevedibili, per altro statisticamente assai meno probabili dell’estrazione di un biglietto vincente in una lotteria nazionale, appare difficile da accettare. Un disagio tale deve aver provato anche uno dei maggiori astrofisici attivi in Francia: Hubert Reeves. Egli ha, infatti, sentito il bisogno di esprimersi così:

Più si comprende l’Universo, più ci appare vuoto di senso, scrive il fisico Steven Weinberg ne I primi tre minuti.
Lo sfido a ripetere queste parole ascoltando, come sto facendo in questo momento, Le Nozze di Figaro di Mozart, “Spesso la musica mi prende come un mare”. Quando, con Beethoven o Wagner, mi imbarco per una crociera, questo verso di Baudelaire a volte mi torna in mente. Guidato da questi timonieri geniali, trasportato, spinto da onde profonde, sento salire in me un irresistibile sentimento di esaltazione e di riconoscenza per la vita e per l’Universo che l’ha generata. I suoni, i colori, le parole sono gli alfabeti degli artisti. […] Grazie al lavoro degli artisti, la realtà acquisisce nuove dimensioni, l’Universo guadagna splendore e ricchezza.

In effetti, all’intelligenza umana ripugna considerare senza significato tanto l’ordine cosmico e il miracolo della vita, quanto le grandi conquiste della creatività e del pensiero umano. Se non si temono i bisticci di parole, sembra francamente privo di senso non attribuire un “senso” a opere come la Cappella Sistina di Michelangelo, l’Amleto di Shakespeare, la Nona Sinfonia di Beethoven, la Passione secondo Matteo di Bach e la Divina Commedia di Dante Alighieri.
Inoltre, è altrettanto assurdo ritenere che scoperte scientifiche sensazionali come la gravitazione universale, la teoria della relatività e la meccanica quantistica abbiano come sfondo il nulla e nient’altro che il nulla.
Ha pienamente ragione Reeves quando respinge le conclusioni di Weinberg e individua significati importanti anche al di fuori dei freddi dati scientifici.

Non vi è, dunque, alcunché da eccepire e tantomeno da sorprendersi se scienziati, filosofi e religiosi alla fine si ritrovano a percorrere insieme, sia pure da punti di vista diversi, la medesima strada: quella della ricerca di un “senso del mondo” che deve necessariamente risiedere “fuori del mondo”.
Il fisico Paul Davies l’ha riconosciuto apertamente: “Ogni cosa e ogni evento dell’universo fisico richiedono, per giustificare la propria esistenza, il ricorso a qualcosa d’altro, al di fuori di essi […]. Bisogna quindi ricorrere a qualcosa di non fisico e di sovrannaturale: Dio”.
Per questa ragione la scienza, “contrariamente a un’opinione diffusa, non elimina Dio”*; anzi secondo Albert Einstein “la fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poiché deve proporsi “non solo di sapere com’è la natura […], ma anche di […] sapere perché la natura è così e non in un’altra maniera”, con l’intento di arrivare a capire “se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo”.


*Cfr. G. Holton in The Advancement of Science and Its Burdens, Cambridge University Press, New York 1986, p.91.



[SM=g1916242] Ely




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