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Conoscere la Bibbia

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2010 00:58
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Parte terza: Genesi

Le tre grandi armonie della tradizione jahvista (2)

“Allo spiare della brezza serale”

Iniziamo ora la lettura diretta del testo della Genesi.
Il titolo che è stato scelto è una citazione presa dal capitolo 3 del libro della Genesi, e usa, come spesso avviene nella letteratura biblica, un simbolo: lo spiare della pressa serale. L’immagine in realtà, secondo gli studiosi, deve essere ricondotta al mondo dell’Oriente, diversamente non è comprensibile.

1. L’involucro “scientifico” della Genesi

Immaginiamo uno dei grandi giardini che sono descritti attorno ai palazzi reali d’Oriente. In esso verso la sera, quando il calore del sole si è attenuato, entra il grande signore, il visir, il quale fa il suo giro nell’interno del suo parco. Durante questo momento dolce, delicato, si affollano attorno a lui gli alti funzionari, i dignitari del palazzo, i quali lo intrattengono. Possono essere musicisti, poeti, possono essere anche semplicemente dei consiglieri. Comincia così la trama di dialogo che tante volte è al centro delle novelle delle Mille e una notte.

Ebbene, l’immagine ora viene ritrascritta, anche se evidentemente il mondo è forse molto più lontano di quello che noi possiamo ricostruire attraverso il contributo della letteratura araba. E’ idealmente il mondo dei grandi parchi e dei grandi giardini pensili di Babilonia. Lo scrittore della tradizione denominata dagli studiosi come “jahvista” ama molto, in questa pagina, usare i simboli vegetali.

Nell’interno del giardino egli immagina che il grande signore, quasi come fosse il gran re, scenda per dialogare con i suoi sudditi privilegiati. Il Signore passa la sera, allo spirare della brezza, ad incontrare l’uomo e la donna.

Questo sfondo, anche se appartiene al c. 3, è forse il più luminoso, il più caratteristico, e adatto ad esprimere al meglio l’atmosfera del c. 2. Un’atmosfera di pace e di serenità, proprio come alla brezza della sera quando il sole allunga ormai le ombre. In quel momento, il momento del tramonto, l’uomo si incontra con Dio. Ma se l’incontro tutte le altre sere era un incontro dolce e silenzioso, quella sera l’incontro sarà drammatico, sarà anzi uno scontro.
Ora su questo fondale sereno, comincia la narrazione dello scrittore. Ricordiamo lo scrittore giovane e lo scrittore antico, la tradizione sacerdotale e la tradizione jahvista. Noi consideriamo la prima tradizione, cronologicamente parlando, quella “jahvista” dell’epoca salomonica, del X sec. a.C. che fissa davanti a questa immagine e comincia la sua riflessione.
Non siamo di fonte alla cronaca di un evento lontanissimo nel tempo, ma siamo di fronte ad una riflessione, ad una meditazione di tipo sapienziale, quasi di tipo filosofico-teologico, naturalmente costruita con la strumentazione che il semita usa normalmente: i simboli. Il linguaggio della poesia ed il linguaggio della teologia devono sempre ricorrere a queste immagini onnicomprensive, che noi poi, con la nostra analisi, dobbiamo lentamente spezzare.

1. Queste pagine non parlano di scienza.

Ma prima di entrare nella lettura, vorrei fare una digressione naturale, attesa. C’è sempre la tentazione di considerare le pagine bibliche come delle pagine che parlano anche di scienza.
Queste pagine hanno certamente un involucro scientifico e hanno certamente nell’interno un nucleo teologico. Ma l’involucro è quello della scienza del tempo. La cosmologia del tempo, sappiamo che era fissista: allora era assolutamente inconcepibile qualsiasi teoria evoluzionista; era assolutamente iconcepibile qualsiasi ipotesi poligenica: la cosmologia era geocentrica e vedeva tutto il grande universo centrato sull’asse del nostro piccolo pianeta. Era una visione – come si usa dire tecnicamente – eziologica, che cercava cioè di scoprire le cause segrete nell’interno dell’universo attraverso dei procedimenti più filosofici che non scientifici in senso stretto.
Per cui noi abbiamo una superficie scientifica; ci sono delle indicazioni legate alla scienza di quel tempo, la scienza dell’Oriente; ma naturalmente una scienza caduca per noi moderni; anche per lo stesso autore essa è soltanto uno strumento per cercare di sviluppare la sua riflessione antropologica, la sua riflessione sull’uomo. In maniera sintetica, possiamo dire che questa pagina non è una pagina paleantropo logica; in essa la paleoantropologia scopre poco, al massimo scopre che cosa si pensava allora; non certo un insegnamento della Bibbia sull’uomo; in questo senso è una pagina antropologica. E allora, dobbiamo abbandonare l’idea di usare questo testo tentando di metterlo d’accordo con tutte le attuali rilevazioni scientifiche.
Queste rilevazioni scientifiche, come non possono dire molto sul mistero ultimo dell’uomo, anzi non dovrebbero pronunciarsi sul segreto ultimo dell’uomo, dato che esse ne esaminano soltanto le strutture esteriori, dall’altra parte non possono assolutamente essere comparate con un testo che ha un’altra provocazione da offrire, un altro orientamento da indicare.
Per cui è un po’ ridicolo l’uso che si fa qualche volta di queste pagine in chiave scientifica. E’ il cosiddetto “concordiamo”: cercare di spiegare le ère geologiche ricorrendo ai sei giorni della creazione; cercare di trascrivere così i primi tre versetti della Genesi, come fa Isaac Asimov nel libro In principio pubblicato da Mondadori nel 1981:
“I primi tre versetti della Genesi si potrebbero parafrasare così: all’inizio, 15 miliardi di anni fa, l’universo consisteva in un nuovo cosmico, privo di strutture, che esplose in un’immensa esplosione di energia…
Oggi che la terra è stata esplorata da cima a fondo, sappiamo che il paradiso terrestre non c’è; ma chi non vuole rinunciare a questa ipotesi, può sempre sostenere che è stato trasferito in cielo, o che magari esiste tuttora sulla terra, ma, grazie ai cherubini che lo difendono, è invisibile a occhi umani”.


Invece ascoltiamo due testimonianze ben diverse, testimonianze lontane tra di loro nel tempo e anche lontanissime dal nostro tempo, ma estremamente illuminati.

La prima la traggo dal De Genesi ad litteram di s. Agostino, libro 2, c. 9, n. 20:

“Non si legge nel Vangelo che il Signore avrebbe detto: Vi mando il Paraclito e vi insegnerà come vanno il sole e la luna. Voleva formare dei cristiani, non dei matematici”:

E l’altra invece è una testimonianza più curiosa. E’ una lettera che uno dei grandi padri della scienza moderna, Galileo, indirizza all’abate benedettino pisano Castelli:

“Io crederei che l’autorità delle sacre lettere avesse voluto solamente la mira a persuader agli uomini su quegli articoli e proposizioni che essendo necessarie per la salute loro e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza, né per altro mezzo farcisi credibili che per bocca dell Spirito santo”.

Il tema di questa analisi rigorosa sarà ribadito da Galileo in una lettera anche alla duchessa Cristina di Lorena. Dunque è chiaro: da un alto c’è la via della scienza, e dall’altro c’è una via, un canale di comunicazione che può essere solo dello Spirito. Quando noi entriamo nel mistero profondo dell’uomo, abbiamo bisogno dello Spirito: da lui dobbiamo farci guidare.
Ed ecco, allora, davanti a noi il testo.


Fine terza parte, continua...

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