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Conoscere la Bibbia

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2010 00:58
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Nona parte: Genesi

Le tre grandi disarmonie della tradizione jahvista (3)

"La spada fiammeggiante alle frontiere dell'Eden"

1. IL PRIMO PROTAGONISTA: L'ALBERO

Iniziamo con la identificazione del SIMBOLO VEGETALE.
Questo simbolo a noi forse non dice molto, ma all'orientale dice moltsissimo.
L'ALBERO è il segno della vita stessa. Leggiamo alcune righe di un testo biblico del 190 a.C.
L'autore è il Siracide, noto anche come Ecclesiastico. Egli sta parlando della sapienza e vuole mettere nella sapienza tutto quanto c'è di meraviglioso, incantevole, profondo, segreto ma anche di esplicito che l'uomo fa e compie quando è illuminato da Dio.
La sapienza è il più grande dono di Dio; è Dio stesso in ultima istanza. Ed ecco allora come egli esprime la meraviglia della sapienza, la meraviglia dell'essere uomini, dell'essere sapienti. Nel c. 24,12ss egli usa la descrizione, quasi botanica, di un parco; è la sapienza che parla in prima persona facendo una specie di auto-lode, di auto-inno.

"Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso.
Sono cresciuta come un cedro del Libano,
come un cipresso sui monti dell'Ermon.
Sono cresciuta come una palma in Engaddi,
come le piante di rose in Gerico,
come un ulivo maestoso nella pianura;
sono cresciuta come un platano.
Come cinnamomo a balsamo ho diffuso profumo;
come mirra scelta ho sparso buon odore;
come gàlbano, onice e storace,
come nuvola di incenso nella tenda.
Come un terebinto ho esteso i rami
e i miei rami sono di maestà e di bellezza.
Io, come una vite ho prodotto germogli graziosi
e i miei fiori sono frutti di gloria e di ricchezza.
Avvicinatevi a me voi che mi desiderate
e saziatevi dei miei frutti".


Un parco lussureggiante, con tutte le specie botaniche, note all'antico Israele: questa è la sapienza, questa è la vita. E allora l'albero che sta al centro del racconto della Genesi, sotto le cui fronde l'uomo e la donna stanno perpetrando il loro delitto, diventa un vero e proprio stendarso glorioso di tutto il capitolo.

Pero, prima di parlare di questo grande albero, che sta al centro del capitolo, dobbiamo badare anche a un albero secondario che però nella tradizione orientale era estremamente importante: era il vero albero decisivo. E riuscieremo anche a capire perchè la Bibbia dimentica questo albero: lo cita, ma poi piano piano dimentica.
Innanzitutto cominciamo a vedere il testo biblico del c. 3. Abbiamo già sentito che tra i grandi alberi del giardino del mondo c'era l'abero della conoscenza del bene e del male, che sarà quello protagonista, e c'era anche l'albero della vita./C] L'albero della vita poi piani piano scompare. Lo troviamo quasi in maniera casuale verso la fine del racconto, quando si riferisce, sempre nell'interno del c. 3, la dichiarazione che Dio fa quasi in tono ironico: cerchiamo di impedire che l'uomo arrivi anche all'albero della vita, perchè diventerebbe come uno di noi.
Cerchiamo almeno di evitare che tocchi questo albero.
Questo albero però era stato dimenticato nel resto del racconto. Eppure esso era il vero albero della tentazione, o comunque del rischio dell'uomo secondo la celebre Epopea di Ghilgamesh.

1. L'epopea di Ghilgamesh

Le dodici tavolette dell'Epopea di Ghilgamesh sono ora conservate al British Museum di Londra.
Esse sono state trovate in maniera fortunosa e appartengono alla biblioteca del grande re mecenate assiro Assurbanipal. In realtà quella è una versione. L'originale non lo possediamo, e si perde veramente nella notte dei tempi, perchè era stato prodotto dalla letteratura sumerica, la prima in assoluto che sia apparsa all'orizzonte della Mezzaluna Fertile.
La storia narrata è una parabola esistenziale come quella del libro della Genesi. Ghilgamesh è un eroe, un grande personaggio che rappresenta l'umanità. Egli ha un amico, Enkidu, che all'improvviso muore. Allora per Ghilgamesh comincia un'angoscia ricerca che è la ricerca di ogni uomo, in maniera implicita o esplicita, in tutta la sua esistenza, cioè la ricerca dell'immortalità. Ed egli va, cercandola proprio là dove su un'isola beata ci dovrebbe essere il custode di questo dono: un suo lontano avo di nome Utnapishtim, che ha avuto il dono dagli dèi di essere immortale.
Comincia allora una grande avventura: Ghilgamesh varca il monte del Sole, il monte del tramonto, arriva a una sorte di palude stigia, una immensa distesa di acque infernali. Un custode lo accoglie. Dopo un viaggio con un nocchiero simile al Caronte dantesco, Ghilgamesh passa finalmente verso l'isloa sospesa sul baratro del nulla e della morte, il caos primordiale. Nell'interno di quest'isola trova Utnapishtim e sua moglie, gli immortali, coloro che sono sempre avvolti nella felicità dell'esistere.

Ed ecco la sua domanda:

"Io voglio l'albero della vita".

Utnapishtim risponde:

"Ghilgamesh sei venuto; ti sei affaticato; ti sei stancato! Che cosa mai devo darti ora che ritorni nel tuo paese? Ti rivelerò, Ghilgamesh, una cosa, è una cosa segreta, una cosa ignota, essa, l'albero della vita, è una pianta simile al biancospino; la sua spina è come una rosa che punge la mano. Se questa pianta le tue mani afferreranno, la vita per sempre troverai".

Ora l'eroe ha lameno un'indicazione: sa che l'albero della vita è un albero come il biancospino, con le stesse spine delle rose. Ed egli comincia l'avventura: scende in profondità, in un pozzo infernale, quasi a contatto col mistero, con la frontiera ultima della vita e della morta, ed egli trova questa pianticella. La solleva, la guarda e le dà il nome, come Adamo ha dato il nome agli animali, e il nome è evidente, il suo nome è duplice: "il vecchio diventa giovane" e "la pianta dell'eterna giovinezza.

Ma a questo punto avviene la grande svolta. Ghilgamesh ritorna, ritorna felice perchè ha trovato l'albero della vita per sempre gli permetterà di vivere e di essere felice. Ed egli con un albero suo accompagatore arriva, finalmente, in una distesa di acqua doclissima e meravigliosa. Sente il bisogno del bagno, del ristoro e del riposo, di tutti i piccoli piaceri della vita, del quotidiano che distrae. E abbandona per un istante l'albero che egli aveva sempre tanto tenuto con grande attenzione tra le mani. E mentre sta facendo il suo bagno, in quel momento un serpente, si noti la simbolica, appare dalle sabbie, si indirizza esattamente a quella pianticella, la morsica. La pianticella diventa subito avvizzita, si inaridisce e quando Ghilgamesh esce dal bagno ormai non gli è possibile che un lungo, quasi disperato lamento. Egli che aveva lottato, era andato fino alla frontiera della morte per avere l'albero della vita, ormai si ritrova ancora un mortale.

"Allora Ghilgamesh si sedette e pianse, sopra le sue guance scorrevano le lacrime".

In quel momento egli ricorda il grido quasi pauroso, tenebroso che egli aveva lanciato la custode delle acque infernali. Questa dea infernale gli aveva detto:

"La vita che tu cerchi, tu non la troverai. Quando gli dèi crearono l'umanità, è la morta che essi destinarono per sempre all'umanità".

L'epopea di Ghilgamesh è, dunque, la storia di un'avventira fallita. La Bibbia invece non usa questo discorso sulla vita; evidentemente c'è qualcosa che riguarda questo tema. Quando risuona quel monito tra le fronde dell'albero della conoscienza del bene e del male, si dice: "Se tu toccherai quel frutto, tu certamente morirai".

C'è quindi qualcosa che è collegato al problema della morta. Però la bibbia ha spostato l'accento. Alla Bibbia non interessa più ormai studiare una questione metafisica antropologica, cioè la struttura di fondo dell'uomo, il suo limite fisico e metafisico. L'interesse della Bibbia è un altro. Ed è per questo che l'albero che è al centro del giardino porta un altro nome: è l'albero della conoscenza del bene e del male. L'oscillazione del pendolo ideologico dell'autore si è spostata da una questione di struttuta fisico-metafisica, ad una questione di struttura morale. E' il problema della morale che interessa all'autore; è il problema delle scelte, è il problema della libertà.
Quel problema all'autore mesopotamico non poteva interessare, anzi neppure balenare davanti agli occhi, perchè egli sapeva bene, come è stato indicato, che l'uomo ha nelle vene il sangue del amle, del dio peccatore, il dio Kingu sconfitto.

Fine nona parte, continua... ci sono altre 237 pagine della Genesi, quindi sarà lunga.





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