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Conoscere la Bibbia

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2010 00:58
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Tredicesima parte: Genesi

3. TERZO PROTAGONISTA: DIO

a questo punto vediamo un terzo protagonista della scena, quel protagonista che è, per ora, soltanto silenzioso, che assiste quasi con stupore il comportamento della sua creatura: è il Signore, è Dio.
Siamo probabilmente abituati a considerare Dio come spettatore inerte, soprattutto pronto a piombare con la sua mannaia sull'uomo peccatore.
In questo testo, però, l'idea non è questa soltanto.. Anche quando l'uomo peccatore chiama bene ciò che è male e male ciò che è bene, quando Dio vede l'uomo che fa questa sua avventura folle, Dio non reagisce soltanto in modo univoco, nè si disinteressa nè tanto meno appare come lo spietato giudice.
L'autore presenta Dio con una sequenza di simboli sociali, lo veste di forme differenti.
All'inizio del racconto Dio era descritto con l'immagine del visir. Ora, proprio in finale, dopo che l'uomo ha compiuto il peccato, viene ripresa la stessa immagine:

"Udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?". Rispose: "Ho udito il tuo passo nel giardino, ho avuto paura perchè sono nudo e mi sono nascosto".

Dio va alla ricerca dell'uomo. Dio sapeva già che l'uomo è peccatore, eppure va a cercarlo ancora come avveniva tutte le sere, le sere dell'intimità. E in quel momento, per la prima volta, l'uomo scopre la nudità. Nella finale del quadro pieno di luce, il c. 2, si diceva:

"Tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna".

ed ora invece si accorgono che sono nudi e hanno bisogno di un vestito che li nasconda.

Per capire il significato ultimo della nudità nel linguaggio della Bibbia basterebbe soltando ricordare come avveniva il processo per divorzio, con la sentenza terminale. Durante il matrimonio uno dei riti era anche una specie di investitura che il marito faceva nei confronti della donna: le dava il mantello ufficiale da sposa.
Quando si pronunciava la sentenza di divorzio, lo sposo spogliava la donna e la lasciava nuda. La donna ritornava quindi al punto di partenza; era solo semplicemente donna, non era più la sposa, non aveva più la tutela giuridica che lo sposo le assicurava nel contesto maschilista orientale.
Ecco, la nudità è lo stato di base, è la radicalità dell'uomo, è l'uomo senza nessuna specificazione, è l'uomo nella sua purezza, limite e splendore, grandezza e debolezza, l'uomo così come si presenta di per sè, nel suo stato interiore ed esteriore.
Fondamentalmente, nei confronti della nudità, anche per questioni di cultura, esiste sempre un imbarazzo legato anche al fatto che il nostro corpo, col passare degli anni, sperimenta lo sfacelo. E allora, per buona parte, il vestito è una specie di autodifesa, di protezione contro lo sfacelo.
Ora l'uomo, quando è in pace con Dio, non ha vergogna della sua nudità, nella sua realtà; egli accetta. Quando invece la sua libertà ormai è spezzata, quando egli oramai ha fatto questa scelta, quando egli sente dentro di sè un'opzione che tra poco lo porterà sempre di più a compiere iniquità, è quello che noi possiamo sempre chiamare con la parola rimorso, in quel momento l'uomo ha paura della sua nudità.

Spontaneamente pensiamo a Dostoevskij; pensiamo a Delitto e castigo, o anche Lady Macbeth di Shakespeare, a quelle mani che restano irrimediabilmente macchiate. L'uomo sente che non è più limpido come prima, non può più accettarsi. Allora comincia la copertura, l'ipocrisia, cominciano i "mantelli" che egli mette continuamente sopra di sè.
Il simbolo del vestito (sono un'eziologia del vestito questi versetti) tuttavia diventa agli occhi dell'autore, in maniera molto fantasiosa, un segno teologico: il segno di Dio che cerca l'uomo. Ecco il v. 21, che dice:

"Il signore Dio fece, a questo uomo già peccatore, all'uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì".

Dio si preoccupa di aiutare l'uomo a darsi una protezione.
Ma qui il senso è anche un altro, sempre nell'ambito sociale. L'orientale sapeva bene che il vestito era una delle grandi realtà dell'esistere; il vestito ha all'interno della Bibbia una normativa legislativa rigorosa.

"Non potrai prendere in pegno il mantello fino a sera...",
si legge in Esodo 22, 26.

Il vestito era la realtà che veniva sempre consegnata ai figli dal padre. Solo il padre di famiglia poteva dare e preparare il vestito, solo la madre e il padre. Pensiamo, in Proverbi 31, la lode della donna sapiente che lavora nella notte perchè tutti i suoi figli abbiano un doppio vestito.

Questo Dio, che pure è Dio sdegnato, è pur sempre il Dio padre, padre della famiglia umana. Sa che questa è la sua famiglia, l'unica reatura nei cui confronti egli può specchiare, l'unico essere veramente fatto a sua immagine e somiglianza, come dirà l'altro racconto (Gen 1). Dio ha la nostalgia dell'uomo; anche se l'uomo è ribelle, è pur sempre suo figlio, ed egli come un padre continua ad amarlo e continua a rivestirlo, a proteggerlo, a dargli un sostegno nel cammino della vita.

Però, ed è questa l'ultima parola, quella che chiude la grande finale del c. 3, Dio è anche il giudice. Dio non è indifferente al male. E' soltanto il peccatore che nell'Antico Testamento dice: Dio è su nei cieli e non si preoccupa della mia vita, come dice il Salmo 14:

"Gli empi dicono: Dio non c'è"

Cioè non c'è qui ora, non interessa delle vicende di questo mondo, è assiso nel suo mondo dorato.
Dio invece non resta indifferente.
Ed ecco che l'uomo è espulso dal giardino dell'Eden. Tra Dio e l'uomo ormai si spezza un dialogo. E' la finale rappresentata in una maniera abbastanza vigorosa, con immagini tratte dall'Oriente.
A Ninive (Mossul) davanti al grande palazzo reale, ci sono due enormi cherubini, mostri alati con volto umano, che proteggono l'area sacra del Palazzo Reale. Tutti gli spiriti e i nemici del re vengono fulminati da quella presenza.
Ora la bibbia, usando questa immagine, che poi diventerà angelica nella tradizione successiva, rappresenta ormai in maniera irrimediabile la frattura tra Dio e l'uomo, che è la storia continua dell'uomo solitario e peccatore. Ecco infatti le ultime righe:

"Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perchè lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l'uomo e pose ad Oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada sfolgorante per custodire la via all'albero della vita".

A questo punto l'uomo è ormai solo. Dio è lontano, si interessa ancora di lui, ma non gli è più così immediatamente vicino.

Vorrei finire salutando questo uomo che siamo noi, mentre cammina nel deserto della vita, e vorrei proprio salutarlo con le parole di un ateo, di uno scienziato, il quale ha citato proprio quest'ultimo testo del terzo capitolo della Genesi. E' uno scienziato il quale ha ribadito che tutto l'universo è solo un impasto di caso e di necessità, che l'universo non può ammettere assolutamente nessun progetto superiore. Anche se la prospettiva è profondamente diversa, l'uomo che egli dipinge è molto fratello di quello della pagina del c. 3 e dei capitoli seguenti della Genesi, è l'operatore di tutta quella serie di peccati e di quei mali che dilagano sulla faccia della terra, quando egli dice bene quello che è male e male quello che è bene.
E' una testimonianza dell'uomo che cammina fuori dal giardino, fuori di Dio.
L'autore, Nobel della medicina del 1965, è J.Monod, autore del libro Il caso e la necessità.

"L'uomo sa ora che come uno zingaro è ai margini dell'universo, in cui deve vivere; un universo che ora è sordo alle su musiche, è indifferente alle sue speranze, ai suoi dolori e ai suoi crimini.
Quando considero la piccola durata della vita, assorbita nell'eternità che mi precede e che mi segue, il piccolo spazio che riempio intorno agli immensi spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi spavento. Mi meraviglio di vedermi qui piuttosto che là. E la domanda che io mi pongo è questa: è una domanda senza risposta, che mi ci ha messo?".


Il libro della Genesi dice che è possibile una risposta a questo interrogativo ed è possibile una risposta alla solitudine e al deserto dell'uomo.

Fine tredicesima parte...continua.












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