Chiesa, c'è un 8 per mille segreto - Ecco dove finisce un miliardo di euro

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Geronimo83
00mercoledì 19 maggio 2010 23:30
Devo dire che la chiesa cattolica non stupisce affatto, tuttavia sapendo che dal evitare di donare qualcosa scopri che la chiesa dimostra il suo monopolio e si prende cio che tu non hai dato, questo poi è una cosa INACETTABILE!!!
Ecco la notizia su Republica.it metto il link date una ochiata e scoprite tante ingiustizie e tanti affari della chiesa sulla publicita ed altro.
LA CHIESA SEMPRE PIU INGORGA

ROMA - Le campagne dell' "otto per mille" della Chiesa cattolica, che ogni primavera invadono l' etere, Rai, Mediaset e radio nazionali, sono considerate nel mondo pubblicitario un modello di comunicazione. Ben girate, splendida fotografia, musiche di Morricone, storie efficaci, a volte indimenticabili. Chi non ricorda quella del 2005, imperniata sulla tragedia dello tsunami? Lo spot apre su un fragile villaggio di capanne, dalla spiaggia i pescatori scalzi scrutano l' orizzonte cupo. Voce fuori campo: "Quel giorno dal mare è arrivata la fine, l' onda ha trasformato tutto in nulla". Stacco sul logo dell' otto per mille: "Poi dal niente, siete arrivati voi. Le vostre firme si sono trasformate in barche e reti". Zoom su barche e reti. "Barche e reti capaci di crescere figli e pescare sorrisi". Slogan: "Con l' otto per mille alla Chiesa cattolica, avete fatto tanto per molti". Un capolavoro. La campagna 2005, affidata come le precedenti alla multinazionale Saatchi & Saatchi, secondo Il Sole 24 Ore è costata alla Chiesa nove milioni di euro. Il triplo di quanto la Chiesa ha poi donato alle vittime dello tsunami, tre milioni (fonte Cei), lo 0,3 per cento della raccolta. Nello stesso anno, l'Ucei, l' unione delle comunità ebraiche italiane, versò per lo Sri Lanka e l' Indonesia 200 mila euro, il 6 per cento dell' "otto per mille". Un' offerta in proporzione venti volte superiore, in un' area dove non esistono comunità ebraiche.

Gli spot della Chiesa cattolica sono per la maggioranza degli italiani l'unica fonte d'informazione sull' otto per mille. Consegue una serie di pregiudizi assai diffusi. Credenti e non credenti sono convinti che la Chiesa cattolica usi i fondi dell' otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel terzo mondo. Le due voci occupano la totalità dei messaggi, ma costituiscono nella realtà il 20 per cento della spesa reale, come conferma Avvenire, che pubblica per la prima volta il resoconto sul numero del 29 settembre. L' 80 per cento del miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica.

Tanto meno gli spot cattolici si occupano d' informare che le quote non espresse nella dichiarazione dei redditi, il 60 per cento, vengono comunque assegnate sulla base del 40 per cento di quanto è stato espresso e finiscono dunque al 90 per cento nelle casse della Cei. Questo compito in effetti spetterebbe allo Stato italiano. Lo Stato avrebbe dovuto illustrare e giustificare ai cittadini un meccanismo tanto singolare di "voto fiscale", unico fra i paesi concordatari.

In Spagna per esempio le quote non espresse nel "cinque per mille" restano allo Stato. In Germania lo Stato si limita a organizzare la raccolta dei cittadini che possono scegliere di versare l' 8 o 9 per cento del reddito alla Chiesa cattolica o luterana o ad altri culti. Il principio dell' assoluta volontarietà è la regola nel resto d' Europa. Lo Stato italiano lo adotta infatti per il "cinque per mille". Anzi, fa di peggio. Il "cinque per mille" è nato nel 2006 per destinare appunto lo 0,5 dell' Irpef (660 milioni di euro, stima ufficiale delle Entrate) a ricerca e volontariato. Nel primo (e unico) anno hanno aderito il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 dell' "otto per mille": un successo enorme.

Le sole quote volontarie ammontano a oltre 400 milioni. Ma con la Finanziaria del 2007 il governo ha deciso di porre un tetto di 250 milioni al fondo, che si chiama sempre "cinque per mille" ma è ridotto nei fatti a meno del due. Le quote eccedenti verranno prelevate dall' erario. Con una mano lo Stato dunque regala 600 milioni di quote non espresse alla Cei e con l' altra sottrae 150 milioni di quote espresse a favore di onlus e ricerca. Nella stessa pagina del modulo 730 il "voto fiscale" espresso da un cittadino in alto a favore delle chiese vale in termini economici quattro volte il voto nel "cinque per mille". Perché due pesi e due misure? Lo Stato in diciassette anni non ha speso una parola pubblica, uno spot, una pubblicità Progresso, per spiegare il senso, il meccanismo e la destinazione reale dell' otto per mille. Ed è l' unico "concorrente" che ne avrebbe i mezzi, oltre al dovere morale. Gli altri (Valdesi, Ebrei, Luterani, Avventisti, Assemblee di Dio) dispongono di fondi minimi per la pubblicità, peraltro regolarmente denunciati nei resoconti. Mentre la Chiesa cattolica è l' unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza. L' unica voce a rompere il silenzio dello Stato fu nel 1996 quella di una cattolica, come spesso accade, la diessina Livia Turco, allora ministro per la Solidarietà. Turco propose di destinare la quota statale di otto per mille a progetti per l' infanzia povera. Il "cassiere" pontificio, monsignor Attilio Nicora, rispose che "lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa".

Fine del dibattito. Oggi Livia Turco ricorda: "Nella mia ingenuità, pensavo che la mia proposta incontrasse il favore di tutti, compresa la Chiesa. L' Italia è il paese continentale con la più alta percentuale di povertà infantile. Al contrario la reazione della Chiesa fu durissima, infastidita, e dalla politica fui subito isolata. Ho vissuto quella vicenda con grande amarezza". La politica non ha mai più osato fare "concorrenza" alla Chiesa cattolica, anzi l' ha favorita con un pessimo uso del fondo. Nel 2004 i media hanno dato grande risalto alla trovata del governo Berlusconi di utilizzare 80 dei 100 milioni ricevuti dall' otto per mille per finanziare le missioni militari, in particolare in Iraq. Degli altri venti milioni, quasi la metà (44,5 per cento) sono finiti nel restauro di edifici di culto, quindi ancora alla Chiesa. La percentuale di "voti" allo Stato italiano è crollata dal 23 per cento del 1990 all' 8,3 del 2006.

All' atteggiamento remissivo dello Stato italiano ha fatto da contraltare una crescente aggressività da parte delle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto dei politici al seguito, cattolici e neo convertiti, nel rivendicare il denaro pubblico. In agosto, quando la commissione europea ha chiesto lumi al governo Prodi sui privilegi fiscali del Vaticano, nell' ipotesi si tratti di "aiuti di Stato" mascherati, l' ex ministro Roberto Calderoli, già protagonista delle battaglie anticlericali della Lega anni Novanta, ha chiesto al Papa di "scomunicare l' Unione Europea". Rocco Buttiglione ha avanzato un argomento in disuso fra gli intellettuali dai primi del '900, ma oggi di gran moda. Secondo il quale i privilegi concessi dalla Stato al Vaticano sarebbero "una compensazione per la confisca dei beni ecclesiastici dello Stato Pontificio". Un revanscismo già sepolto dalla Chiesa del Concilio. Nel 1970 Paolo VI aveva "festeggiato" con la visita in Campidoglio la breccia di Porta Pia: "atto della Provvidenza", una "liberazione" per la Chiesa da un potere temporale che ne ostacolava l' autentica missione. Joseph Ratzinger scrive ne "Il sale della terra": "Purtroppo nella storia è sempre capitato che la Chiesa non sia stata capace di allontanarsi da sola dai beni materiali, ma che questi le siano stati tolti da altri; e ciò, alla fine, è stata per lei la salvezza". La legge 222 del 1985 istitutiva dell' otto per mille, perlopiù sconosciuta ai polemisti, in ogni caso non accenna ad alcuna forma di "risarcimento" per le confische (argomento insensato nell' Italia di vent' anni fa).

Lo scopo primario della legge di revisione del Concordato fascista del '29 era di garantire un sostituto della "congrua", ovvero lo stipendio di Stato ai sacerdoti. Nei primi anni lo Stato s' impegnava infatti a integrare l' otto per mille, fino a 407 miliardi, nel caso di una raccolta insufficiente per pagare gli stipendi. In cambio il Vaticano accettava che una commissione bilaterale valutasse ogni tre anni l' ipotesi di ridurre l' otto per mille nel caso contrario di un gettito eccessivo. Ora, dal 1990 al 2007, l' incasso per la Cei è quintuplicato e la spesa per gli stipendi dei preti, complice la crisi di vocazioni, è scesa alla metà, dal 70 al 35 per cento. Eppure la commissione italo-vaticana non ha mai deciso un adeguamento. Perché? Senza avventurarsi in filosofia del diritto, si può forse raccontare il percorso di uno dei componenti laici della commissione, Carlo Cardia. Il professor Cardia, insigne giurista di formazione comunista, consigliere di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao, ha esordito da fiero "difensore del diritto negato in Italia all' ateismo" ("Ateismo e libertà religiose", De Donato, 1973).

Nel 2001 è Cardia a invocare una riduzione dell' otto per mille, in un saggio pubblicato dalla presidenza del consiglio: "Dall' otto per mille derivano ormai alla Chiesa cattolica, meglio: alla Cei, delle somme veramente ingenti, che hanno superato ogni previsione. Si parla ormai di 900-1000 miliardi l' anno di lire. Il livello è tanto più alto in quanto il fabbisogno per il sostentamento del clero non supera i 400-500 miliardi. Ciò vuol dire che la Cei ha la disponibilità annua di diverse centinaia per finalità chiaramente "secondarie" rispetto a quella primaria del sostentamento del clero; e che lievitando così il livello del flusso finanziario si potrebbe presto raggiungere il paradosso per il quale è proprio il sostentamento del clero ad assumere il ruolo di finalità secondaria". Previsione perfetta. "Tutto ciò - concludeva Cardia - porterebbe a vere e proprie distorsioni nell' uso del danaro da parte della Chiesa cattolica; e, più in generale, riaprirebbe il capitolo di un finanziamento pubblico irragionevole che potrebbe raggiungere la soglia dell' incostituzionalità se riferito al valore della laicità quale principio supremo dell' ordinamento". Nel tempo il professor Cardia è diventato illustre collaboratore di Avvenire, il giornale dei vescovi. I suoi temi sono cambiati: l' apologia del rapporto fra i giovani e Benedetto XVI, la lotta ai Dico, l' esaltazione del Family Day.

Ciascuno naturalmente ha il diritto di cambiare idea. Ma è opportuno che, avendole cambiate sul giornale della Cei, continui a far parte di una commissione governativa chiamata a stabilire quanti soldi lo Stato deve versare alla Cei? Nell' ultimo editoriale su Avvenire il professor Cardia tuona contro l' inchiesta di Repubblica, "una delle più colossali operazioni di disinformazione degli ultimi tempi". Senza contestare nel merito un singolo dato, nega con veemenza che la Chiesa costi troppo agli italiani e s' indigna per "l' indecente" accostamento con la "casta". E' lo stesso professor Cardia che il 20 febbraio scorso dichiara in un' intervista: "Io porterei la quota dell' otto per mille al sette, vista l' imponente massa di danaro che smuove. Basti pensare che dall' 84 a oggi nessuno, se non per controversie politiche, vi ha posto mano".

Con le altre confessioni lo Stato è assai meno generoso. In risposta a un' interrogazione dei soliti radicali, nel luglio scorso il ministro Vannino Chiti ha citato come prova della bontà del meccanismo "il fatto che anche i valdesi hanno chiesto e ottenuto le quote non espresse". Chiesto sì, ottenuto mai. Incontro la "moderatrice" della Tavola Valdese, Maria Bonafede, il "Ruini" dei valdesi, nella modesta sede vicino alla Stazione Termini. "Per motivi etici avevamo rinunciato alle quote non espresse, ma nel 2000, visto l' uso che ne faceva lo Stato, le abbiamo chiese. Abbiamo incontrato governi di destra e di sinistra, il vecchio Letta e il nuovo. Ogni volta ci rinviano. Se la ottenessimo oggi, la vedremmo solo nel 2010. Lo Stato anticipa i soldi alla Cei, ma agli altri li versa con tre anni di ritardo".

Ai valdesi sono andati nel 2006 circa 5 milioni 700 mila euro, ma avrebbero diritto a oltre 13 milioni. Il resto lo trattiene lo Stato. La Tavola Valdese usa i soldi dell' otto per mille al 94 per cento per la carità e il rimanente alla pubblicità. I pastori valdesi vivono delle donazioni spontanee. Lo stipendio base, uguale dalla "moderatrice" all' ultimo pastore, è di 650 euro al mese. Maria Bonafede spiega: "I soldi dell' otto per mille arrivano dalla società e vi debbono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere".
Bicchiere mezzo pieno
00giovedì 20 maggio 2010 10:22
La faccenda dell'otto per mille segreto è ripresa dal libro di Curzio Maltese della Feltrinelli.
Per par condicio, riporto un documento in cui alcuni cattolici difendono la Chiesa da questi messaggi tendenzionalisti ridimensionandone i contenuti e dando delle spiegazioni speso sottaciute strumentalmente da chi opera una campagna mediatica con spirito anticlericale.
Così sentiamo anche l'altra campana. Ognuno poi tragga le sue conclusioni ovviamente.

www.avvenireonline.it/shared/laveraquestua/la%20vera%20que...

L’OTTO PER MILLE SEGRETO

Il segreto sotto il naso


Il titolo dev’essere piaciuto molto al redattore della Feltrinelli, che doveva avere sulla scrivania il ritaglio della seconda puntata dell’inchiesta di Repubblica, quella del 3 ottobre 2007: “Dove finisce l’otto per mille, segreto da un miliardo di euro”. La parola “segreto” ha un suono magico. Suggerisce che qualcuno ha qualcosa di losco da nascondere e qualche impavido eroe intende svelarlo. Curzio Maltese, per esempio, capace di questa clamorosa rilevazione: Avvenire “pubblica per la prima volta il resoconto (dell’otto per mille, ndr) sul numero del 29 settembre”. Segreto? Per la prima volta? A Maltese, troppo indaffarato a scrivere per perdere tempo a leggere, perfino il suo giornale, sfuggiva che ogni anno la Cei acquista una pagina di Corriere della sera, Repubblica e Sole 24 Ore (oltre ad Avvenire), dove pubblica il resoconto. Maltese ce l’ha da sempre sotto il naso, il “segreto”. Naturalmente, su Repubblica non è apparsa alcuna correzione, ma nel libro di “segreto” non si parla più, titolo del capitolo a parte. Considerato che siamo di qualche utilità, in vista di una peraltro improbabile seconda edizione segnaliamo tutti i luoghi dove il “segreto” viene svelato da chi dovrebbe nasconderlo: il sito internet http://www.8xmille.it;" target="_blank la pagina 418 di Televideo Rai; le locandine che tutte le parrocchie italiane sono invitate ad esporre in occasione della Giornata nazionale dedicata all’otto per mille, in genere la prima o la seconda domenica di maggio; la distribuzione delle lettere alle famiglie in occasione della visita del parroco per la benedizione pasquale (ogni anno ne vengono distribuite circa due milioni); la campagna stampa sui principali quotidiani e periodici nazionali italiani (tra cui, appunto, Repubblica), in maggio; la campagna stampa sui settimanali diocesani italiani; gli spot televisivi che presentano alcune delle migliaia di opere realizzate in Italia e all’estero anche grazie ai fondi dell’otto per mille.

Spot, quanti preti

Un sommario dell’inchiesta denunciava con sdegno: “Su 5 euro incassati dal gettito Irpef, 1 va alla carità. Il resto tra culto e immobili” (e già qui un lettore ben disposto non ha difficoltà a immaginarsi prestigiose palazzine e speculazioni edilizie). Nel libro invece amplia il discorso sugli spot, che “sono per la maggioranza degli italiani l’unica fonte d’informazione sull’otto per mille. Ne conseguono una serie di pregiudizi assai diffusi. Credenti e non credenti sono convinti che la Chiesa cattolica usi i fondi dell’otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel Terzo mondo. Le due voci occupano il 90 per cento dei messaggi, ma costituiscono nella realtà soltanto il 20 per cento della spesa reale: l’80 per cento dei miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica, per una serie di usi e destinazioni che le campagne pubblicitarie in genere non documentano”.

Tutto ciò è falso e chiunque può verificarlo da sé. Nel sito http://www.8xmille.it" target="_blank è possibile vedere ben 47 spot – con relativo documentario di 10 minuti ciascuno – degli ultimi anni, così distribuiti: carità Italia 16, carità estero 14, preti 5, culto e pastorale 12. La carità occupa meno del 90 per cento, per l’esattezza il 65. Ma il punto non è questo. Basterebbe guardare quegli spot, ma guardarli per davvero, per scoprire che tra i protagonisti ci sono sempre dei preti, che spesso costruiscono chiese, oratori, scuole, officine… Una divisione netta per destinazioni è assurda. Tutti i preti italiani sono impegnati, chi più chi meno, sul versante della carità; la carità non si fa “da sé” ma ha bisogno di interpreti capaci e appassionati, presbiteri e laici; e tutti i parroci custodiscono luoghi di culto che sono un patrimonio religioso, storico e artistico per tutti, non solo per i credenti.

Chi anima la carità?

In altri termini, non è corretto leggere l’impegno della Chiesa nel nostro Paese attraverso la schema rigido di un rendiconto amministrativo, impostato secondo le voci di spesa - che devono rispondere alle formulazioni di legge - ammesse con i fondi dell’otto per mille destinati alla Chiesa. L’attività concreta non è catalogabile solo secondo alcune voci, generiche e imprendibili. Per dire: il prete che ispira e anima un progetto di carità finisce sotto la voce “sostentamento del clero”. I volontari della carità sono formati attraverso progetti pastorali. E mense, centri di ascolto e case d’accoglienza, immobili a servizio della carità, finiscono sotto la voce “culto e pastorale”. La parrocchia stessa educa alla carità e compie in prima persona opere di carità: sotto quale voce la mettiamo? A proposito di preti, nel sistema nesono inseriti circa 38 mila, di cui appena tremila in “quiescenza”, vale a dire in pensione. Chi ha un parroco ottantenne, sa bene che in pensione un prete non ci va mai, e “molla” soltanto quando il fisico non gli regge proprio. Quanto “costa un prete”? Costa poco, fa tanto e non si ferma mai. E chi serve? Soltanto i battezzati, soltanto i praticanti? No, è a servizio di tutti.

Il silenzio su 6.275 interventi all’estero

Tanto improvviso interesse per le opere di carità della Chiesa italiana è comunque sorprendente. Tre anni fa il Comitato per gli interventi caritativi del Terzo Mondo (è questi che decide come destinata la quota di fondi dell’otto per mille destinati appunto alla carità all’estero, anche se Maltese non ne parla mai, forse perché ne ignora l’esistenza, o forse perché bisogna avvalorare la tesi che ogni decisione sia del presidente della Cei, a sua discrezione) pubblica “Dalle parole alle opere”, un volume di 386 pagine con il resoconto dettagliato, con nomi, indirizzi, tipo d’intervento e cifre al centesimo, dei 6.275 interventi finanziati in tutto il mondo tra il 1990 e il 2004, per un totale di 719 milioni di euro. Grazie alla generosità degli italiani, si è passati dai 13 milioni di euro del 1990 ai 66 del 2003. Il libro è stato presentato ai giornalisti in una conferenza stampa. Escluse le testate d’ispirazione cattolica, nessuno ne ha scritto niente. E quasi niente, quindi, ne ha saputo chi non legge la stampa d’ispirazione cattolica. Si può consultare il volume online nel sito http://www.chiesacattolica.it/sictm" target="_blank. Naturalmente, il libro continua ad essere ignorato sia nell’inchiesta sia nel libro.


Chi firma e chi no

L’otto per mille stesso – fa intendere Maltese – è ancora, in larga parte, un oggetto sconosciuto. Gli italiani firmano in massa per la Chiesa cattolica? Occorre sminuire il risultato. Ad esempio scrivendo così (dall’inchiesta): “Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce “otto per mille” ma grazie al 35 per cento che indica “Chiesa cattolica” (…) la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale”. Nel libro si preferisce puntare il dito su una presunta mancanza d’informazione circa il fatto che tutto l’otto per mille del gettito complessivo Irpef viene assegnato, a prescindere dal numero di partecipanti all’assegnazione. In ogni caso il 35 per cento – nel libro corretto a 40 – una minoranza dunque… Intanto, a partecipare con la firma sono 16 milioni di italiani: in assoluto, non pochi. Se poi consideriamo chi presenta il 730 o l’Unico, i firmatari sono il 61,3 per cento, una percentuale superiore a quella di molte consultazioni assimilabili a questa. Ad abbassare la percentuale sono i 13 milioni di italiani che non sono obbligati a presentare la dichiarazione, chi ad esempio ha il solo Cud. Costoro - nella grande maggioranza anziani, spesso soli - sono costretti a operazioni complicate e scoraggianti: qui infatti la percentuale di firme si riduce all’1 per cento. Sulla configurazione sociologica degli anziani tuttavia ci sono studi a non finire. Perché non fare anche qui una proiezione ponderata? Ma naturalmente queste informazioni, importanti, nel libro sono omesse. Il caso più clamoroso di mancata partecipazione è quello di quei lavoratori saltuari (ad esempio i ragazzi che fanno i camerieri nei week end, ecc.) ai quali non giunge neanche il Cud, e quindi si trovano nell’assoluta impossibilità di firmare.

Nessuna garanzia per la Chiesa italiana

Magari tutti firmassero e firmare fosse per tutti agevole. Un’indagine del 2006 sul consenso degli italiani all’operato della Chiesa parla di un giudizio molto o abbastanza positivo da parte del 70 per cento della popolazione; nel 2001 era del 60. È un secondo indizio della stima di cui gode la Chiesa, per Maltese “non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici”. Ma non è esattamente così. L’otto per mille non dà alcuna garanzia alla Chiesa, che ogni anno si sottopone al giudizio (democratico) dei cittadini, che possono darle la firma o rifiutargliela. Le garanzie, se così vogliamo chiamarle, c’erano semmai prima del Concordato del 1984, quando ancora i preti privi di altri redditi ricevevano dallo Stato il cosiddetto “assegno di congrua”. Garanzie a cui la Chiesa ha rinunciato, in accordo con lo Stato, rimettendosi alla volontà degli italiani. L’otto per mille è una forma di democrazia diretta applicata al sistema fiscale, che qualche nazione ha copiato e mezza Europa ci invidia.

Regole precise, criteri oggettivi

E la parte di otto per mille che va alle singole diocesi? L’inchiesta di Maltese insinua che sia una forma di ricatto da parte della presidenza della Cei, per premiare i vescovi docili e punire gli indocili, che difatti non ci sono perché, secondo lui, tutti tacciono, ranne qualche emerito. Naturalmente le cose non stanno così. Non è assolutamente vero che due o tre decidono per tutti. La quota per le diocesi - decretata ogni anno dall’Assemblea generale dei vescovi per alzata di mano - viene distribuita per una parte in porzioni uguali a tutti, per un’altra quota in base alla popolazione. Dunque, criteri oggettivi. Certo, le diocesi devono rendere conto al centesimo di come hanno destinato la propria quota di otto per mille. Per legge. Ma anche gli altri contributi, come quelli per edificare i centri parrocchiali o restaurare i beni culturali, vengono distribuiti secondo precisi regolamenti, criteri e controlli oggettivi. Ma davvero Curzio Maltese pensa che i vescovi siano un’accozzaglia di gente sprovveduta che attendeva Repubblica per aprire gli occhi?

Non è una tassa in più

Nel libro, Maltese dedica ancora più spazio a chi non si esprime, lasciando in bianco tutte e sette le apposite caselle al momento della dichiarazione dei redditi. Secondo lui, la quota di chi non firma non va assegnata a nessuno e dunque dovrebbe restare allo Stato. Se così fosse, non si capisce perché tra le sette caselle c’è pure quella dello Stato italiano, il quale si vedrebbe assegnata prima la quota di chi firma per lui, poi quella di chi non firma per nessuno: bizzarro. Il meccanismo, piaccia o meno, è analogo a quello di una votazione. Se per il Parlamentovota il 70 per cento degli elettori, non per questo il 30 per cento dei seggi rimane non assegnato, e nessuno ci trova niente da ridire. Chi si astiene si rimette alla volontà di chi partecipa. In effetti, ciò che Maltese evita di scrivere è che l’otto per mille non è una tassa in più; e soprattutto che non si firma per il proprio otto per mille, ma per l’otto per mille complessivo, di tutti. Sarebbe grave che ciascuno potesse firmare solo per il proprio otto per mille. Ciò renderebbe le chiese “schiave” dei più ricchi. La firma dell’ultimo operaio vale quanto quella dell’imprenditore.

Gli italiani “influenzati” dai vescovi


È il momento, infine, di riferire di una tesi iniziale del libro. Scrive Maltese che la percentuale degli italiani che vanno a Messa (circa un terzo della popolazione) e di quanti firmano per l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica coincide. Si tratta insomma delle stesse persone. Sbagliato, e lo dicono i numeri. Primo, il confronto è tra gruppi non omogenei: di qua tutti gli italiani, di là i soli contribuenti. Secondo, a firmare è più del 40 per cento dei contribuenti, ma mal distribuiti: sono il 61,3 per cento di coloro che sono costretti a presentare la dichiarazione (730 o Unico) e una percentuale davvero minima di chi non è obbligato, per lo più pensionati, che invece sono in larga misura praticanti. Un bel pasticcio. Scrive Maltese che questi italiani “dichiarano di andare a messa e di essere influenzati nel voto dall’opinione del papa e dei vescovi”. Quale sia la fonte non si sa, ma che un italiano,
credente o miscredente, ammetta di essere “influenzato” ha dell’incredibile.

Piccoli errori senza importanza

Informazioni date a metà, omissioni strategiche, congetture, curiose dimenticanze. Manca tutto ciò che è in contraddizione con la tesi da sostenere strenuamente. Per un’inchiesta, non è un pregio. A costo di essere noiosi, le notizie false smentite da Avvenire non sono mai state rettificate su Repubblica, ma scompaiono nel libro. Eccone alcune. Maltese, il 3 ottobre, scrive una colossale falsità: “La Chiesa cattolica è l’unica a non dichiarare le spese pubblicitarie, riprova di scarsa trasparenza”. Basta andare al sito già citato, http://www.8xmille.it" target="_blank, seguire il percorso “informazioni” e “quesiti”, ed ecco il quesito numero 10: “Quanto investe la Chiesa cattolica per la comunicazione dell’8 per mille?”. Risposta: “Si investono circa 9 milioni all’anno, con una incidenza media pari solo a meno dell’1 per cento dei fondi raccolti (eccetera)”. Tanto o poco? Per capirci, chi volesse scrivere personalmente a tutti i 40 milioni di contribuenti italiani, solo per lettera, busta e francobollo spenderebbe 32 milioni. Nel libro non ci sono fotografie, per fortuna di Maltese. Per illustrare la puntata del 3 ottobre, a pagina 35, Repubblica sbatteva un grande cartellone stradale su sei colonne con la didascalia allusiva: “La Chiesa cattolica spende ingenti risorse in pubblicità per l’otto per mille”. Peccato che da undici anni la Chiesa cattolica non faccia più cartelloni stradali, anche perché la sua non è propaganda esortativa, ma una campagna d’informazione in senso proprio. La foto risale al 1990. Che non sia il caso di aggiornare l’archivio fotografico? Nel libro, Maltese ripropone il confronto tra otto per mille e cinque per mille, al cui appello “nel primo anno – scrive – hanno aderito il 61 per cento dei contribuenti, contro il 40 scarso dei “votanti” per l’8 per mille”. Peccato che per il 5 per mille firmi solo chi consegna la dichiarazione (Unico e 730); tra questi, le firme per l’8 per mille sono praticamente identiche: 61,3 per cento, come abbiamo scritto poco fa. Insiste inoltre nell’attribuire a monsignor Attilio Nicora, allora alla Cei, queste parole: “Lo Stato non doveva fare concorrenza scorretta alla Chiesa”. Frase mai letta né sentita. In ottobre chiedevamo a Maltese di indicare la fonte. Cosa che non fece nelle successive puntate dell’inchiesta e non fa neppure nel libro.

Ciò che Dio vuole


Con dispiacere ritroviamo poi nel libro un’aspra dichiarazione, già presente nell’inchiesta, attribuita alla moderatrice della Tavola Valdese, Maria Bonafede: “I soldi dell’otto per mille arrivano dalla società ed è lì che devono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere”. Che cosa Dio voglia o non voglia siamo convinti non lo possa stabilire con tanta certezza nessuno, cattolico o valdese che sia. E i soldi tornano assolutamente tutti a quegli italiani che li affidano alla Chiesa. Tornano sotto forma di tempo dedicato a loro, di servizi, di strutture educative, formative, sanitarie e sportive, di luoghi in cui pregare. Altro che casta. Nulla serve a costruire personali carriere. Quanto all’otto per mille, molto, molto di più arriva dalle libere offerte alle parrocchie, ai missionari, ai conventi. I preti diocesani italiani sono circa 38 mila e per metà el loro fabbisogno complessivo provvedono già la Chiesa e i fedeli. Solo per la restante metà si ricorre all’otto per mille. Chiunque abbia un’esperienza anche superficiale di Chiesa – cattolica o valdese – lo sa. Sulla materia, infine, la famiglia evangelica sta cambiando atteggiamento. Recentemente anche i battisti hanno deciso di aderire all’otto per mille, mentre proprio i valdesi hanno chiesto di partecipare alla suddivisione della quota corrispondente alle firme non espresse.

lovelove84
00giovedì 20 maggio 2010 21:28
meglio li, che nelle tasche dei parlamentari, no?


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