Erastianesimo

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lovelove84
00sabato 19 giugno 2010 12:15
Con il termine erastianesimo si intende comunemente oggi la dottrina che afferma come lo Stato sia depositario sulla terra di autorità ultima sull'espressione e sulla pratica delle credenze religiose e dell'organizzazione ecclesiastica, la dottrina che lo Stato abbia, cioè, il diritto di intervenire e di imporre la sua volontà negli affari della Chiesa.

Il termine erastianesimo viene coniato e passa come tale all'uso corrente solo nella metà del diciassettesimo secolo, durante e dopo i dibattiti dell'Assemblea di Westminster (1643-1649) dove teologi (soprattutto calvinisti, la corrente prevalente nel tempo nella Chiesa di Inghilterra) discutono sulla forma da darsi all'organizzazione della Chiesa nel Regno unito e sui rapporti che doveva intrattenere con la Corona britannica. Enrico VIII e i suoi successori, infatti, avevano preso le redini della Chiesa in quel paese, sottraendola all'autorità ecclesiastica o comunque imponendole la loro volontà. Richard Hooker aveva scritto già in favore della supremazia del governo secolare nel libro: "Ecclesiastical Polity" (il governo ecclesiastico) nel 1594. Il giurista Thomas Hobbes, gli eruditi John Selden e Bulstrode Whitelocke si distinguono nei dibattiti dell'Assemblea di Westminster come i sostenitori più accreditati ed influenti di coloro che sostenevano la supremazia dello Stato sulla Chiesa.

Fra le giustificazioni addotte a questa pratica (che poi avrebbe prevalso) erano le argomentazioni a suo tempo esposte da Thomas Erastus (1524-1583), teologo svizzero e medico, nella sua opera "Explicatio gravissimae", apparsa in inglese con il titolo: "The Nullity of Church Censures" (l'invalidità delle misure disciplinari della Chiesa) nel 1589. Nella città di Heidelberg, al tempo di Erasto, vi era un forte partito calvinista condotto da Kaspar Olevianus che voleva introdurre il governo e la disciplina presbiteriana nella chiesa. Sorge, così una controversia ed Erasto mette fortemente in evidenza il diritto dello Stato di intervenire nelle questioni ecclesiastiche. Egli sosteneva che la Chiesa non avesse alcuna autorità scritturale di scomunicare alcuno dei suoi membri. Dato che Dio aveva affidato al magistrato civile (cioè allo Stato) il governo visibile, in un paese cristiano la chiesa non ha alcun potere di repressione distinto dallo Stato. Avere due autorità visibili in un paese, egli afferma, sarebbe assurdo. La chiesa può semplicemente ammonire o censurare i trasgressori. L'azione punitiva appartiene soltanto al magistrato civile. La Chiesa non ha diritto di escludere i trasgressori dai sacramenti. Figgis definisce questa teoria: "la teoria che la religione è creatura dello Stato". Generalmente significa che lo Stato possiede la supremazia nelle cause ecclesiastiche, ma Erasto trattava solo dei poteri disciplinari della chiesa. La questione risaliva, però, già all'antichità. Quando gli imperatori romani diventano cristiani, il rapporto fra autorità civili ed ecclesiastiche diviene subito problematico. Sarebbe stata pratica universalmente accettata, fino ai tempi moderni, che lo Stato potesse punire gli eretici o metterli a morte.

All'Assemblea di Westminster respinge questa concezione definendola "erastiana", benché Erasto proponesse una versione più articolata e meno radicale dei rapporti fra Chiesa e Stato. Si decide che la Chiesa e lo Stato abbiamo autorità su sfere separate ma coordinate finalizzando il loro agire solo alla gloria di Dio.

Il termine erastianesimo da quel momento in poi sarebbe diventato comune nella letteratura soprattutto delle chiese presbiteriane e riformate. Ciò che va sotto il nome di Erastianesimo, in realtà potrebbe essere meglio connesso con il nome di Ugo Grozio.

La Chiesa di Inghilterra, dopo la sconfitta del partito calvinista e presbiteriano (che prevale solo in Scozia) è così descritta da molti autori come "erastiana" per il fatto che i vescovi siano nominati dalla Corona e che i cambiamenti nell'ambito della liturgia pubblica debbano avere il consenso del Parlamento.
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