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[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XI (prima parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

origine dei quattro vangeli:
dal «vangelo» ai quattro «vangeli»





1. A che serve indagare sull'origine dei Vangeli?


Se apro un comune dizionario linguistico, che corre nelle mani del popolo e ne riflette la mentalità, alla voce «Vangelo» leggo più o meno così:
1/ dottrina di Cristo;
2/ ciascuno del quattro libri principali del Nuovo Testamento;
3/ passi del libro che si legge durante la celebrazione della Messa;
4/ cose che si ritengono vere;
5/ insieme di precetti che regolano la vita di una setta.

Secondo ciascuna di queste definizioni, la parola V angelo significa, o può significare:

dottrina, libro, cerimonia o rito, verità, codice morale.

Quale delle cinque definizioni, è quella giusta?
Inoltre siamo soliti identificare il Vangelo con la vita di Gesù, e in questo caso Vangelo è sinonimo di Storia, in quanto ci dà le notizie sulla vita di Gesù, sulle cose che Egli disse e fece.

Perché tanta differenza?
A causa dei Vangeli o del nostro modo di vedere?
I primi cristiani pensavano proprio così?
Facevano anche loro la stessa confusione che facciamo noi?

Di fatto, è molto differente, nella pratica della vita, considerare i Vangeli solo come libri o come semplice storia, come norma morale di vita, o come criterio di verità, o come teste di dottrina;
oppure come una semplice lettura, da farsi durante la cerimonia della messa.

Saranno, invece, un'altra cosa ancora, che sta alla radice di tutti i differenti aspetti enumerati sopra, e da cui derivano e prendono la vita?

Per questa ragione, sarà molto utile investigare liberamente come sono nati i Vangeli, quale fu la loro origine.

Noi passiamo sopra a molte cose, che sono scritte nei Vangeli, proprio perché non abbiamo occhi per vedere.

Quando conosceremo meglio come nacquero i Vangeli, saremo in grado di scoprire e correggere il nostro sbaglio.

Sarà una ricchezza in più, per la nostra vita.
oggi.





2. Alcune domande la cui risposta rivela un'altra mentalità


Elenchiamo una serie di domande, le cui risposte devono essere cercate nei Vangeli;
il risultato della ricerca sarà impressionante:

nessuna domanda troverà una risposta sicura.

E’difficile che i quattro Vangeli si mettano d'accordo su uno stesso argomento.

1. Quanti anni durò la vita apostolica di Gesù, dal battesimo di Giovanni Battista in poi?

2. Quali furono le precise parole della consacrazione del vino, usate nell'ultima cena?

3. A chi apparve, per primo, Gesù dopo la sua risurrezione, e dove apparve?

4. Quali furono le parole del centurione, ai piedi della croce, dopo la morte di Gesù?

5. Quale fu l'itinerario seguito da Gesù, nei suoi viaggi attraverso la Palestina?

6. Quante beatitudini Gesù proclamò, all'inizio del Discorso della Montagna?

7. Quanti giorni Gesù visse sulla terra dalla risurrezione all'ascensione?

Le risposte devono essere cercate simultaneamente nei quattro Vangeli.

Chi si metterà al lavoro, scoprirà che, secondo quanto dice l'evangelista, la vita apostolica durò meno di un anno, più di due anni, e fino a tre anni.

Vedrà che Matteo dice una cosa e Marco un'altra, che Luca dice questo e Giovanni quello.

Si accorgerà che, a rispetto di certe questioni, solo uno o due, dei quattro, sanno dirci qualcosa.

Ci rimane, pertanto, un certo dubbio sugli argomenti più importanti parole dell'ultima cena.

Padre Nostro, durata della vita di Gesù, itinerario dei viaggi, apparizioni, discorsi, fatti e miracoli.

Tutto ciò dà l'impressione che i quattro evangelisti non si interessassero delle stesse cose che interessano a noi.

Sembra che non importasse loro di tramandarci una descrizione minuziosa ed esatta delle cose, altrimenti non ci sarebbe una così grande divergenza in materia tanto importante.


Quando scrivevano i fatti della vita di Gesù, lo facevano con una mentalità molto differente da quella che abbiamo noi quando leggiamo i Vangeli.

Per questo non scopriamo, fino in fondo, il messaggio che gli evangelisti racchiusero nel testo, perché non ci mettiamo dallo stesso punto di vista loro, rispetto al contenuto dei Vangeli.





3. Paragone che ci mostra un'altra dimensione, nei quattro evangelisti


I Vangeli furono scritti molto tempo dopo le lettere di Paolo.

Per capire bene uno scritto, bisogna avere una certa familiarità con l'ambiente che lo ha generato.

L'ambiente da cui nacquero i quattro Vangeli è quello stesso delle lettere di Paolo, cioè l'ambiente delle comunità piene di fervore, formate dai cristiani che vivevano nella Palestina, nell'Asia Minore, nella Grecia e nell'Italia.

Più o meno come succede alla musica popolare:
per capire bene una certa musica, bisogna conoscerne il popolo, l'epoca, e la regione d'origine.

Vogliamo parlare proprio di questo.
Il grafico vuol stabilire un paragone tra le lettere di Paolo e i quattro Vangeli.

Si vede bene che le cose hanno subìto una certa evoluzione:

Le lettere di Paolo focalizzano soprattutto il «mistero pasquale», cioè gli avvenimenti della passione, morte e resurrezione di Gesù.

Parlano di Gesù e del Vangelo, quasi ad ogni pagina.

Poco dicono, però, di quello che Gesù visse, prima della sua passione, morte e resurrezione.

Parlano di Gesù, come di Qualcuno che sta in mezzo ai fedeli, come di Qualcuno che vive.

Questa presenza viva e attuante di Cristo in mezzo alla comunità è per loro il «Vangelo», la grande «Buona Notizia».

II fondamento della sua presenza è la passione, morte, e resurrezione.

II Vangelo di Marco, per esempio, si interessa soltanto di quello che è successo a Gesù prima della passione, perché comincia con la narrazione dal battesimo di Giovanni Battista, il che vuol dire, dall'inizio della vita apostolica di Gesù.

I vangeli di Matteo e Luca, scritti dopo quello di Marco, allargano il loro campo d'interesse e cominciano dall'infanzia e dalla nascita di Gesù.

II vangelo di Giovanni, l'ultimo di tutti risale alle origini del mondo, e si apre con la frase: «In principio era il Verbo...
(Gv. 1, 1).

Questo verbo di Dio è Gesù Cristo, che si fece carne» (Gv. 1, 14).

Pertanto, man mano che andiamo verso il futuro, l'interesse per Gesù Cristo si spinge sempre più dentro il passato.

Ne deriva una conclusione:
la radice dell'interesse degli evangelisti non fu la dottrina, né la storia, né la verità, né la morale, né la redazione del libro, né la cerimonia, ma la persona di Gesù risuscitato, vivo in mezzo a loro.

Per i primi cristiani, Cristo non è Qualcuno che è morto, è risuscitato e poi se ne è andato in cielo.

I primi cristiani, quando parlavano di Cristo, non pensavano al passato.

Per loro Cristo era presente, stava lì con loro, nella loro vita, vivo come loro erano vivi, grazie alla forza di Lui.

L'interesse fondamentale si fermava qui:
in questa presenza amica di Cristo nella vita: «Per me vivere è Cristo» (Fil.1, 21).

Se poi, nei Vangeli scritti, cercavano di informarsi sulle cose, sui fatti, sui discorsi, sugli avvenimenti del passato, era solo per approfondire attraverso queste notizie la conoscenza di Cristo, vivo in mezzo a loro.

Lo stesso succede quando si fa amicizia con qualcuno.
Quello che ci interessa è la persona dell'Altro.

Ma, col crescere dell'amicizia, cresce anche il desiderio di conoscere meglio l'amico.

Ed allora, è molto naturale che si entri in contatto con la sua famiglia, con i suoi genitori, che si cerchi di sapere come viveva, che studi ha fatto, quale sia stata la sua infanzia.

Tutto questo, però, ha un solo scopo:
conoscere meglio l'amico, le sue esigenze, le sue aspirazioni, per rendere più intensa l'amicizia con lui, 'oggi'.

Perciò le lettere di san Paolo e gli Atti degli Apostoli, che ci tramandano il modo di vivere dei primi cristiani, nei primi tempi, rispetto a Cristo, ci dicono che si polarizzavano in Cristo e nella sua presenza, viva in mezzo a loro.

Per loro era sufficiente questa presenza viva e amica, che conquistava il cuore di tutti.

Era la Buona Novella, il Vangelo.

Mano a mano, però, che l'esperienza di fede in Cristo si faceva più profonda, vollero sapere di più su di lui e incominciarono a ricercare, nel passato, quello che lui aveva detto, aveva fatto e insegnato.

Erano spinti a farlo dalle difficoltà della vita cristiana, dal momento che l'incontro con Cristo vivo aveva imposto alla vita una nuova direzione, trasformando tutto e provocando in loro una vera e propria 'conversione'.

Avevano bisogno di sapere come comportarsi nella vita nuova.

Incominciarono allora a spingersi nel passato di Cristo, non a causa del passato in se stesso, ma a causa del presente, in cui si scontravano con tante difficoltà e condividevano la vita con Cristo.

Era il bisogno di sapere meglio che cosa Cristo volesse, chi fosse, da dove venisse e che cosa promettesse.

Questa indagine sul passato ebbe il suo momento alto nel vangelo di san Giovanni, che andò a ritroso, fino a prima della creazione del mondo (Gv. 1, 1), illuminando il significato di quel Gesù, vivo in mezzo a loro, non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini e per l'universo intero.

Chi si mette a leggere i Vangeli, con il solo scopo di trovarvi storia, dottrina, verità, morale e alcuni elementi per le cerimonie, non li sta leggendo con la stessa ottica con cui furono scritti.

La lettura dei vangeli esige, in coloro che li leggono, una disposizione fondamentale:
la convinzione dell'amicizia con Cristo vivo, oggi, in pieno secolo XXI. Per conoscere questo Cristo, per sapere che cosa lui vuole da me, ho bisogno di leggere i Vangeli.

Il Vangelo, o «Buona Notizia», non è anzitutto dottrina, non è cerimonia, non è un libro, non è morale, non è storia, non è un insieme di verità, ma è Qualcuno:
Gesù Cristo; «per me, vivere è' Cristo», questa è la radice, il resto è ramo e fiore.

Senza la radice, tutto il resto secca e imputridisce.

Ma, anche una radice senza ramo e senza fiore, non esiste!

La dottrina ha senso solo in rapporto con la persona di Cristo, da cui è nata.
Altrimenti, diventa un insieme astratto di verità, imparate a memoria, senza sapere a che servano.

La morale cristiana ha senso ed è cristiana, solo se sta in rapporto con questo amico, vivo e presente nella nostra vita.

Altrimenti, diventa un insieme di odiosi precetti.

Perché si è impegnato con Cristo, il cristiano compie il suo dovere.

La storia suscita interesse solo quando parla di un amico.

Chi si interessa, per esempio, di insegnare a tutti la storia di Giulio Cesare?

La cerimonia ha senso, solo se siamo amici di quella persona.

Non si festeggia il compleanno di uno sconosciuto.

Ma, se si tratta di un amico, non manca nessuno.

Il libro ha senso, solo se parla di una persona conosciuta.

Non si conservano fotografie di uno sconosciuto.

Infine la verità interessa soltanto quando mi rivela qualche cosa che si riferisce a un amico.
Conferma l'amicizia che ci lega.

La radice e il tronco da cui deriva tutto il resto, è la persona di Gesù Cristo.
L'interesse lo provoca lui.

Soltanto la persona è capace di portare alla conversione ed alla trasformazione, non la dottrina astratta.

Il Vangelo, prima ancora di essere un libro scritto, è una realtà viva e personale.

Gli scritti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni si propongono soltanto di illuminare il Vangelo vivente.

Se il Vangelo non è vivo nella vita, a poco o niente servono i quattro vangeli.

Sarebbero come le corde della chitarra senza la cassa di risonanza, come la carta geografica che segnasse i contorni di una regione inesistente.

Sarebbero una cosa fittizia.

Forse, sta proprio qui la ragione dell'attuale crisi:
ci manca l’esperienza della radice; insistiamo troppo sui rami, dei quali non si vede chiaro il punto d'innesto sulla radice.

Una 'notizia' diventa 'buona', quando corrisponde ad una speranza, viva dentro di noi.

Chi ha tutto, chi non ha bisogno di niente, chi è pienamente soddisfatto, per costui nessuna notizia è buona, perché non aspetta più nulla.

Non è capace di vibrare con niente.

Forse il fatto di vivere tranquilli e accomodati, in una religione che ci va a genio, pensando che va tutto bene, è proprio la causa per cui la 'notizia' di Cristo, vivo tra noi, non è più, per noi, la «buona notizia».

Anzi, diventa 'scomoda', perché mette in evidenza, deficienze e limitazioni nella vita personale e sociale, che preferiremmo ignorare.

In questo caso, la «Buona Nuova» si rivolta contro di noi e diventa causa di giudizio, come lo fu per i Farisei (cf. Gv. 3, 19, 21).



SEGUE..





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origine dei quattro vangeli:
dal «vangelo» ai quattro «vangeli»







4. Paragone tra i quattro Vangeli


Un altro aspetto curioso dei quattro Vangeli merita la nostra attenzione e può aiutarci a capirne meglio la finalità, rispetto alla nostra vita.

Molte frasi, discorsi, fatti e miracoli di Gesù sono raccontati contemporaneamente nei quattro Vangeli o, almeno, nei tre così detti sinottici (Mt. Mc. Lc.).

Mettendo a confronto queste descrizioni, si notano molte differenze, come abbiamo detto sopra.

Alcuni esempi!

II Padre nostro:
Matteo lo considera parte del Sermone della Montagna (Mt. 6, 9-13), mentre Luca lo riferisce ad un'altra occasione (Lc. 11, 1-4).

Chi ha ragione?
In Matteo prevale la preoccupazione catechetica.
Si potrebbe dire che scrive per aiutare i professori di religione.

Per questo ha facilitato le cose, ed ha riunito, in un unico discorso, tutto quello che si riferisce alla preghiera (Mt. 6, 5-150).

La parabola della pecorella smarrita è raccontata da Matteo,come espressione dello zelo apostolico (Mt. 18, 12-14) e, da Luca, come espressione dell'amore misericordioso di Dio, che va in cerca dei peccatori (Le. 15, 3-7).

La Trasfigurazione:
Matteo parla di volto splendente come il sole e di nuvola luminosa (cf. Mt. 17, 2-5).

Ci ricorda Mosè quando, sul Monte Sinai, avvolto da una nuvola luminosa, aveva il volto splendente e dettava al popolo la legge antica.

Matteo, dunque, presenta Gesù come un nuovo Mosè, che dà agli uomini la legge nuova.

La legge è Gesù Cristo, presentato dal Padre, che dice:
«questo è il mio Figlio amato:
ascoltatelo!» (Mt. 9, 31).

Luca, invece, a proposito della trasfigurazione, dice che Elia e Mosè parlavano con Gesù della passione e morte (Lc. 9, 31) e racconta il sonno degli apostoli (Lc. 9, 32).

Pensa all'agonia del Getsemani, quando Gesù si confrontava con la passione e gli apostoli se la dormivano (cf. Lc. 22, 40-46).

La passione di Cristo ebbe inizio quando Egli stesso decise di soffrire, al momento della trasfigurazione.

E potremmo continuare, moltiplicando gli esempi.

Ma l'importante è che gli evangelisti non si propongono di tramandarci letteralmente le parole di Gesù.

A loro importano, soprattutto, i lettori, che leggeranno le parole di Gesù.

La vita di questi deve essere raggiunta dalla Parola di Dio!
Perciò ogni evangelista presenta le cose nel modo che crede più efficace, per raggiungerli.

Per conseguenza non è possibile leggere i Vangeli, come se non avessero niente a che vedere con la nostra vita.

Non possiamo limitarci a spiegare i testi e fermarci lì.
Bisogna legarli alla vita che viviamo.

C'è chi pensa che la fedeltà consista nel conservare la verità cosi come sta, senza cambiare nulla.

Basta ripetere sempre le stesse cose.

Se, poi, la verità corrisponde o no alle esigenze della vita, poco importa.
A loro interessa solo di conservare la verità ortodossa.

Si perdono in discussioni, il più delle volte inutili. Non servono a niente, se non riflettono la verità della vita!

Per gli evangelisti, professare la vera fede significava:
essere sempre pronti a cambiare la vita, se Gesù lo avesse chiesto.

Fedeltà, non era solo il contenuto del 'credo', con cui si faceva
la professione di fede.

Proprio per questo, agli evangelisti non importa tanto di copiare, scrupolosamente, alla lettera, le parole e i fatti della vita di Gesù, ma di presentarli in modo tale che il lettore possa capire che questo fatto o questa parola sta in stretto rapporto con la vita.

Chi legge i Vangeli per istruirsi e non per viverli, si trova fuori dalle finalità del Vangelo.

La prima preoccupazione degli evangelisti è stata inserire il messaggio di Cristo nella vita del lettori.

E poiché i lettori dell' Asia sono differenti da quelli dell'Italia o della Palestina, ogni evangelista esponeva i fatti della vita di Gesù in modo differente.

Non si preoccupavano della storia o del passato, ma della vita presente dei cristiani.

Non ebbero, certo, molti scrupoli nel modificare un po' il senso letterale delle parole di Gesù, purché i lettori arrivassero a coglierne il messaggio.

Come loro, misero in costante collegamento la 'realtà' di chi leggerà e il «messaggio del Vangelo»;
così chi oggi vuole leggere i Vangeli deve necessariamente avere la stessa preoccupazione:
collegare «la realtà di chi legge» e il «messaggio dato dai Vangeli».

Altrimenti, saremo come colui che «ascolta la parola di Dio e non la mette in pratica» (Mt. 7, 26).






5. Origine dei Vangeli: dal Vangelo ai quattro Vangeli


Dopo tutto quello che abbiamo visto fin qui, possiamo, con più facilità, descrivere l'origine dei vangeli.

Non si deve pensare che un bel giorno lo Spirito Santo sia sceso giù e abbia chiamato quei quattro uomini, perché scrivessero, sotto dettatura.

Tutto il contrario.

Gesù ordinò loro di non scrivere niente, ma li inviò a predicare e ad annunciare la Buona Novella della sua morte e resurrezione:
si fece uomo come noi, amico ,di tutti, per portare tutti sulla strada della vita e manifestare a tutti il vero senso della vita quotidiana.

Ne abbiamo certezza, perché Lui risuscitò e vive in quelli che credono in lui.

Questa è la Buona Notizia, è questo il Vangelo.

Gli apostoli lo predicavano e lo annunciavano a tutti:
Cristo è vivo in mezzo a noi, per aiutarci a scoprire il senso della vita.

La predicazione cominciò con la Pentecoste.

Basta scorrere appena gli Atti degli Apostoli per farsi un'idea di come andarono le cose.

Molta gente aderiva al messaggio, aderiva alla persona di Gesù Cristo che apriva una prospettiva nuova di vita.

Si manifestava concretamente nell'esperienza dell'amore e della carità.

Da ogni parte sorgevano comunità ferventi di persone chiamate «cristiani» (Atti 1l, 26) perché credevano in Cristo.

I ‘cristiani' si trasformarono, radicalmente, nel modo di affrontare la vita.

Proprio per questo erano carichi di un'infinità di problemi e di necessità:
come fare per comunicare la fede agli altri (perché chi scopre una cosa buona sente il bisogno di comunicarla agli altri)?

Come giustificare la fede, di fronte alle accuse degli altri giudei e pagani?

Possiamo continuare ancora ad osservare l'antica legge?

Come risolvere i problemi interni della comunità:
possiamo ricorrere ai tribunali civili?

Come organizzare il nostro culto?

Come celebrare, in comune, le cose che ci interessano e che costituiscono, adesso, la gioia della nostra vita?

Quale deve essere il rapporto fra i membri della comunità?

Soprattutto, dal giorno in cui aderirono a Cristo, nacque in loro un grande amore per lui e un bisogno di conoscerlo meglio, per scoprire, sempre di più, la sua funzione nel piano di Dio.

Cercavano risposte a tutte queste domande ben concrete, che si riferivano alla vita concreta di ogni giorno.

Ricorrevano agli apostoli, e questi si ricordavano delle cose che Gesù diceva e faceva.

Fu così che, dentro la comunità dei cristiani, incominciarono a circolare un gran numero di racconti su Gesù:
pezzi di discorsi, storie di miracoli, descrizioni di fatti della vita di lui e frasi isolate, che Lui aveva detto, in differenti occasioni.

Con questi racconti, fatti dagli apostoli, in risposta alle loro domande, i cristiani cercavano di orientarsi nella vita nuova.

Poco a poco, come succede sempre, ci fu chi mise insieme le frasi di Gesù, per facilitarne la memorizzazione e per conservarle.

Qualcuno fece la collezione dei miracoli, altri cercarono di catalogare le discussioni di Gesù con i farisei (servivano da falsa-riga, per risolvere le loro discussioni con i giudei).

Più tardi, quando gli apostoli incominciarono a sparire, morendo, uno dopo l'altro, i cristiani sentirono il bisogno di fissare sulla carta quello che correva, di bocca in bocca, sulla vita di Gesù, tramandata
dagli apostoli.

Fino a che, finalmente, quattro persone, in luoghi ed epoche differenti, (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) decisero di mettere insieme, ciascuno per conto suo, in un solo volume, tutto, quello che potevano raccogliere e ricordarsi a riguardo di Gesù (cf. Lc. 1, 1-4).

Nel loro lavoro, la nostra fede riconosce l'azione dello Spirito Santo, fino al punto di vedere, nella parola dei Vangeli, la Parola di Dio.

Si deduce, allora, che gli evangelisti non solo descrivono i fatti della vita di Gesù, ma riflettono, allo stesso tempo, la preoccupazione dei primi cristiani, che cercavano risposte ai loro problemi di ogni giorno, riguardanti la testimonianza della fede.

Senza l'interesse, che i primi cristiani avevano di vivere la loro fede nella pratica della vita, i Vangeli non sarebbero mai stati scritti.






6. Risposta alla domanda iniziale


Le informazioni del dizionarietto popolare hanno ragione o no?

Come definire il Vangelo?

Dottrina?

Libro?

Cerimonia?

Morale?

Verità o Storia?

La risposta è già stata data e possiamo riassumerla così:
il Vangelo è, anzitutto, una vita nuova, sbocciata nell'uomo dalla sua adesione a Cristo.

Questa è la grande verità che provoca una conversione, da cui deriva un nuovo comportamento morale.

Dalla riflessione su questa realtà deriva la dottrina, che, messa per scritto, genera il libro e, dalla celebrazione della vita comunitaria, sorge il culto con la cerimonia.

Fondamento di tutto è la storia di Gesù di Nazareth, che nacque e visse durante 33 anni, morì assassinato e risuscitò.

Continua oggi, presente e attuante in coloro che si aprono a Lui
con la fede.

La storia è il fondamento, ma non solo la storia di Gesù.

Anche la nostra storia oggi, qui.

La nostra storia attesta la veracità del Vangelo in cui crediamo.
Non occorre parlare molto, se poi, nella vita, non si vede niente, se poi noi non risuscitiamo ad una vita nuova, che tutti possono vedere.



SEGUE.....




[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. XII (prima parte) [SM=g6198] [SM=g6198]

il discorso della montagna:
consiglio, legge o ideale?







1. Alcune notizie per ambientare il discorso di Gesù


Il cosiddetto «discorso della montagna» si trova nei capitoli 5, 6, 7 del Vangelo di Matteo.

Si chiama «discorso della montagna» perché, secondo Matteo, Gesù usò come pulpito un'altura che si trovava in quei paraggi.

Dice il Vangelo:
«Gesù, vedendo la folla, salì sulla montagnola.

Si sedette, e i discepoli gli si strinsero intorno.

Prese allora la parola, e li educava dicendo...» (Mt. 5, 1).
Con queste poche parole l'evangelista dipinge lo sfondo del quadro, su cui si stagliano le lettere luminose del discorso rivoluzionario.

«Il discorso della montagna», che invita tutti a leggerlo, ad ascoltarlo, meditarlo.

Il discorso della montagna è il primo dei 5 grandi discorsi di Gesù, nel Vangelo di Matteo.

Matteo vi ha raccolto tutto quanto si riferisce all'entrata nel regno di Dio:
chi può entrare nel Regno, a quali condizioni, come ci si deve comportare per appartenervi.

Gli altri discorsi trattano rispettivamente della diffusione del Regno attraverso la predicazione apostolica (Mt. 10), del «Mistero del Regno» nascosto nelle parabole (Mt. 13), della convivenza reciproca nel Regno (Mt. 18) e della manifestazione finale del Regno (Mt. 24-25).

Il discorso della montagna si divide in tre parti:

1/ Le Beatitudini (Mt. 5,1-12), che definiscono i membri del Regno di Dio.

2/ Il modo di vivere degli uomini, che fanno parte del Regno (Mt. 5, 13 fino 7, 2).

3/ Le conclusioni finali (Mt. 7, 13-27), in cui Gesù insiste molto sulla prassi e non solo sulla mentalità e l'intenzione.

Quanto al modo di vivere, descritto nella seconda parte, si distingue così:

1/ funzione dei membri del Regno, in mezzo al mondo: essere sale della terra e luce del mondo (Mt. 5, 13-16).

2/ Lo spirito che li muove dev'essere differente dallo spirito che anima i farisei (Mt. 5, 17-20).

3/ Con 6 esempi contrari, Gesù definisce la vita del cristiano, rispetto all'Antico Testamento (Mt. 5, 21-48).

4/ Gesù precisa quale spirito deve animare i 3 grandi esercizi di pietà: elemosina, preghiera, digiuno (Mt. 6, -1-18).

5/ Spiega come ci si deve comportare rispetto ai beni di questo mondo (Mt. 6, 19-34).

6/ Descrive i rapporti reciproci (Mt. 7, 1-5) con quelli che «non sono niente» (Mt. 7, 6) e con Dio (MI. 7, 1-5).

Finisce con la cosiddetta «regola d'oro» (MI. 7, 12).






2. Tre difficoltà per chi legge il discorso della montagna


1/Sembra che Gesù metta tutto a testa in giù:
per Lui la felicità è dei poveri e degli afflitti, degli umili e dei perseguitati.(Mt. 5, 3-12).

Dice che è venuto per completare la legge (Mt.5, 17) e allo stesso tempo ordina cose impossibili (cf. Mt. 5, 22.48).

2/ Se è vero che il discorso della montagna indica la strada della felicità, possiamo pure rinunciarci:

non arrabbiarsi mai con gli altri (Mt. 5, 22);

non offendere mai il fratello (Mt. 5, 22);

non rimanere alla messa se un altro ha qualcosa contro di me ma, prima, fare la pace (Mt. 5, 23-24);

non guardare mai una donna con desiderio di possederla (Mt. 5, 28);

non giurare mai (Mt. 5, 37);

non opporre resistenza al malvagio e, se ti dà, uno schiaffo sulla guancia destra, presentagli l'altra guancia (MI. 5, 39);

dare anche la camicia a chi vuol portarti via la giacca (Mt.
5, 40);

amare i nemici (Mt. 5, 44);

perdonare sempre (Mt. 6, 12);

non fare niente per essere visto dagli altri (Mt. 6, 1);

avere tanta fiducia in Dio che diventino superflue perfino le parole della preghiera (Mt. 6, 5-8);

non mettere da parte denaro (Mt. 6.19);

scegliere tra Dio e il denaro (Mt. 6, 24);

non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito e vivere come i passerotti, senza alcuna preoccupazione (Mt. 6, 25-31);

non giudicare mai nessuno (Mt. 7, 1-2);

fare agli altri quello che vorresti che fosse fatto a te (Mt. 7, 12);

insomma essere perfetto come è perfetto il Padre che sta nel cielo
(Mt.5, 48).

È mai possibile osservare tutto questo?

È possibile che si arrivi al punto di dire:
«ho fatto tutto.
Sono perfetto, come è perfetto il mio Padre?».

3/Luca riferisce lo stesso discorso.
Ma in modo molto differente da Matteo.

Leggiamo nel Vangelo di Luca 6,20-49:

1/ Non fu su di una collina, ma in pianura (Lc. 6, 17).

2/ Le beatitudini sono 4 e non 8, come dice Matteo (Lc. 6, 20.22).

3/ Inoltre, ci sono 4 maledizioni, che mancano in Matteo (Lc. 6.24, 26).

4/ Molte cose che Matteo registra, Luca le omette, per esempio:
manca il Padre Nostro e non ci sono neppure certi esempi che si esprimono per contrasto, non dice niente del sale della terra e della luce del mondo (ne parla altrove) ecc.

Si tratta proprio dello stesso discorso?

In caso affermativo, quale dei due evangelisti ha ragione?







3. Soluzioni proposte


Prima difficoltà:
«Gesù colloca tutto a testa in giù».

Non solo nel discorso della montagna, ma in molte altre cose dette da Gesù:

gli ultimi saranno i primi, i primi saranno gli ultimi (Mc.10, 13);

il più piccolo è il più grande (Lc. 9, 4-8);

perdere la vita per guadagnarla, ma perde la vita chi vuol guadagnarla (Mt. 16, 25);

peccatori, pubblicani e prostitute, alle porte del Regno, hanno la precedenza sui farisei, sui giusti (Mt. 21, 31) ecc.

Siamo così abituati a queste espressioni, che neppure ci accorgiamo della minaccia che nascondono contro la nostra sicurezza, che si appoggia su cose e valori, da noi stessi creati e tenuti in piedi.

Le abbiamo già sentite tante volte, e così poca gente le prende sul serio!

Sembra perfino che non siano vere!

Conservano la parola di Gesù, come si conservano nei musei spade e cannoni:
belli a vedersi e ad ammirarsi, ma, oramai, non fanno più paura a nessuno.

Sono stati messi fuori combattimento.

La stessa cosa succede al crocifisso.

Sta dappertutto;
case, bar, negozi, uffici, distributori di benzina, parlamento, luoghi dove si fa la giustizia e l'ingiustizia.

Fa parte dell'arredamento, come fa parte del pranzo il caffè espresso che si usa prendere alla fine.

Non ci accorgiamo nemmeno più che si tratta di un uomo torturato e legalmente assassinato, per un ideale che non ha voluto rinnegare.

Anche le parole del discorso della montagna sono incorniciate ad arte e riposte nel cotone.

La parola di Dio, questa spada a due tagli (Ebr. 4, 12), non ferisce più.

La sua azione è controllata e neutralizzata.

La nostra coscienza non si scomoda per lei.

Facciamo della parola di Dio quello che la pubblicità, al giorno d'oggi, fa delle idee nuove che sorgono:
se ne impadronisce e poi le butta sul mercato.

In questo esatto momento l'idea nuova non scomoda più, perché è stata messa a servizio degli interessi di coloro che non vogliono essere scomodati.

Soluzione facile e frequente, che riduce la parola di Dio alle dimensioni della nostra.

Quanto alla seconda difficoltà:

è possibile osservare il discorso della montagna?

Non è da oggi che i cristiani vedono il problema e cercano di risolverlo.

Ecco alcune delle risoluzioni proposte, dai tempi antichi fino ad oggi.

1/Il discorso della montagna è solo per una piccola élite.

C'è chi pensa così:
«quello che Gesù dice nel discorso della montagna non può essere per tutti!

È impossibile».

Ne deducono che il discorso della montagna deve essere inteso, non come legge universale, valida per tutti, ma come consiglio diretto ai più generosi, a quelli che ne sentono la vocazione.

Il gruppo scelto si limiterebbe ai vescovi, ai preti, ai religiosi e a qualche laico di azione cattolica.

Per la grande massa della gente comune basterebbero i dieci comandamenti, che sono anche troppo.

Non si dovrebbe esigere dai laici quello che Gesù propone nel suo discorso.

Opinione molto comune tra i cattolici, non come teoria ufficiale, ma come pratica della vita.

2/Il sermone della montagna deve essere spiegato e osservato} come qualunque altra legge.

Gesù è un Dottore della Legge.

Sarebbe venuto per codificare, in un modo nuovo, i comandamenti della Legge di Dio.

Anzi, Lui stesso disse che era venuto, non per annullare la legge, ma per completarla (Mt. 5, 17).

Il discorso della montagna è una legge} e deve essere applicata come un'altra qualunque.

Davanti ad una legge è proprio inutile lamentarsi e dire:
«è troppo difficile per me».

Davanti al tribunale, non vale la scusa:
«io non sapevo che questa legge esistesse».

Oppure:
«non l'ho osservata, perché una legge del genere,per me, è impossibile».

Tutti i cittadini devono agire in modo da stare sempre nella legge e la legge dalla parte del cittadino.

Perché, così, chi giudica non può procedere contro di lui;
e lui, con l'osservanza della legge, ha di che difendersi contro chi giudica.

L'osservanza del discorso della montagna cominciò ad essere, per molti, un mezzo di difesa contro Dio legislatore.

Si fecero studi profondi:
come fare, perché il cristiano non si senta condannato dal discorso della montagna?

Come fare per osservarlo integralmente?

Come fare perché il cristiano possa avere sempre la coscienza tranquilla e sentirsi nella legge, ed essere difeso dalla legge?

L'eccesso del raziocinio fece cadere molta gente nel cosiddetto legalismo, o casistica.

Il discorso della montagna sarebbe come il programma della televisione, che fa propaganda dell'utilitaria a rate:

«l'automobile è tua!
portatela a casa, oggi stesso!»
ossia, «il Regno di Dio è tuo!
beati i poveri!» (Mt. 5, 3).

Ma, sia nell'uno che nell'altro caso, le cose sono così difficili che né l'utilitaria né il Regno usciranno mai dalla vetrina.

Si tratta solo di una réclame (o promessa) o nient'altro.

3/Il discorso della montagna si propone di provocare alla penitenza.

Lutero tentò di osservare il discorso della montagna come se fosse una legge, ma non ci riuscì e finì col domandarsi...
alla fine, perché Cristo è venuto?

Per facilitare o per complicare la salvezza?

Per aprirci alla speranza o per precipitarci nella disperazione?

Lutero si accorse che mai e poi mai un uomo, per quanto si sforzasse, sarebbe stato capace di osservare quello che Cristo propone nel discorso della montagna.

Ma allora, perché il Cristo pronunciò il discorso della montagna?

Lutero si rispose così:
col discorso della montagna Gesù cercò di convincere gli uomini, una volta per tutte, che noi, con le nostre forze, non riusciremo mai a realizzare quello che Lui ci chiede.

Se Dio si fosse messo a esigere da noi tutto quello che doveva, avremmo potuto rinunciare definitivamente alla salvezza e andarcene diretti alla dannazione, senza biglietto di ritorno.

Perché ce lo mettessimo bene in testa, Cristo usò la pedagogia del discorso della montagna.

Là sta scritto quello che avremmo dovuto essere, ma che non saremo mai, né potremmo esserlo.

Gesù, a bella posta, ci ha proposto un ideale divino, assolutamente impossibile a noi.

Il discorso della montagna servirebbe per farla finita con l'orgoglio dell'uomo, di fronte a Dio.

Il fine sarebbe duplice:

anzitutto, l'uomo posto davanti a tali esigenze, dispera di poter raggiungere la salvezza con le sue sole forze;

è costretto a riconoscere la sua miseria e la sua radicale impotenza a salire, da solo, la scala del cielo.

In secondo luogo, il discorso della montagna serve a portare l'uomo a gettarsi nelle braccia della misericordia di Dio e a dire col pubblicano:

«Signore, abbi pietà di me, che sono solo un povero peccatore» (Lc. 18, 13).

L'uomo deve aspettarsi la salvezza esclusivamente da Dio e non dai suoi sforzi.

Dio gliel'ha promessa, perciò, si è compromesso a dargliela.

Dio non inganna.

Perciò l'uomo non deve fidarsi delle sue forze, perché le sue forze non sono capaci di conquistare niente.

Il discorso della montagna servirebbe solo a condurre l'uomo a Cristo, riconoscendo in Lui l'unico salvatore.

4/ Gesù non ha dato una legge) ma ha insegnato una mentalità.

L'opinione è oggi accettata da molti.

Attraverso un insegnamento molto concreto, servendosi di esempi e di fatti, Gesù ci starebbe educando ad una nuova mentalità.

Per esempio:
«Chi si adira col suo fratello, dovrà comparire davanti al tribunale,) (Mt. 5, 22) non sarebbe una legge che proibisce, anzi, non arriverebbe neppure a essere una legge, ma appena una maniera concreta di dire che chi crede in Gesù dovrebbe avere una mentalità tale che gli fosse impossibile anche la più piccola mancanza contro la carità.

È molto differente considerare il discorso della montagna come legge, come consiglio, come mentalità, o come esigenza reale ma impossibile.

La differenza che esiste fra le varie opinioni dice chiaramente che non si tratta di un problema di facile soluzione.

Vedremo, più avanti, che pensare di tutto ciò.

Il fatto è che le diverse opinioni ebbero grande influenza nella vita dei cristiani e, fino a oggi, influiscono sulla vita di molta gente.

Si disse:
«È una legge».

Ne risultò quell'infinità di regole e osservanze, tutte imposte in nome di Cristo, che misero tanta gente in angustia, in ribellione, per tutta la vita, senza capire un'acca dell'amore di Dio e del senso della vita.

Per loro, il Vangelo - che vuol dire «felice notizia» - di «felice notizia» aveva solo il nome.

Invece di pace e tranquillità, causava, e causa tuttora, angustia e disperazione di coscienza.

Per questo, molta gente non ne vuol più sapere di religione.

Si disse:
«è un consiglio».

Ne risultò quell'abitudine di predicare al popolo solo la morale dei l0 comandamenti.

Poco o niente ne sa il popolo dell'ideale del Regno di Dio.

La promessa del Vangelo non lo attraeva.

Agiva più per interesse e per paura.

Per non perdere il cielo, dopo la morte.

Si disse:
«È un mezzo per chiamare a penitenza».

Ne derivò quell'atteggiamento cristiano che non vede la terra che ha sotto i piedi e guarda solo al cielo, aspettando che le cose succedano senza la sua partecipazione.

Dio faceva tutto da sé;
l'opera dell'uomo era inutile;
Dio diventa il fac-totum.

Molti cristiani non vedevano neppure il rapporto tra Vangelo e lavoro, per trasformare il mondo e renderlo migliore.

Per loro il mondo è una porcheria, non serve a niente, neppure per comprarsi il cielo.

Non si disse, ma si pensò:
«sono soltanto belle parole! ».

E la religione e la fede furono soltanto una bella cornice messa intorno alla vita.

Restarono al margine, dove realmente scomodavano la coscienza degli uomini.

Fede e vita si separarono definitivamente.

Si disse «È una mentalità».

Ne derivò un atteggiamento vago, che non significa niente.

Ciascuno va dietro al suo capriccio, con piena libertà.

Si nega il bisogno della Scrittura e delle norme;
il Vangelo è tutt'altra cosa.

Non è facile trovare il punto giusto, da cui si possa valutare e capire tutta la profondità del messaggio racchiuso nel discorso della montagna.

Quanto alla terza difficoltà:

«perché Luca fa un discorso tanto differente?»
la risposta è stata data, in parte, nel capitolo precedente.

Basta fare alcune osservazioni.

Matteo scrive per i giudei convertiti.
Per questo, mise insieme frasi e discorsi di Gesù, che formassero una sintesi del messaggio del Vangelo, accessibile a loro.

Si capisce, allora, il continuo confronto tra l'Antico e il Nuovo, nel capitolo V.
Interessava i giudei convertiti.

Luca scrive per i pagani convertiti.
Ad essi non interessava tanto il confronto tra la morale instaurata da Gesù e la morale dell'Antico Testamento, per cui Luca lo omette del tutto, e conserva appena quello che interessa ai suoi lettori.

Segue l'esempio di Matteo:
sintetizza il pensiero di Gesù, non per i giudei convertiti,
ma per i pagani convertiti.

Ambedue cercano di essere fedeli al Vangelo:
il Vangelo si propone di «convertire» e provocare un cambiamento nella vita.

La fedeltà al Vangelo esige che il messaggio di Cristo sia presentato in modo tale che raggiunga la persona nella sua vita concreta.

La vita concreta dei pagani convertiti era differente da quella dei giudei convertiti.

In nome della fedeltà, le parole di Gesù dovevano essere presentate in modo differente all'una e all'altra categoria di persone.

Inoltre, bisogna ricordarsi che Matteo aveva di mira i «professori di religione».

I professori di religione, in generale, non hanno né tempo né modo di fare una sintesi della materia.

Vanno sempre in cerca di un manuale, dove possano trovare raccolto tutto quello che si può dire su uno stesso argomento.

Matteo si incaricò di farlo, e riunì, sotto forma di discorso, tutto quello che si riferiva al comportamento necessario per entrare a far parte del Regno.


SEGUE..

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