CAP. XVII (ULTIMO)
fede nella resurrezione:
«se dio è con noi chi sarà contro di noi?»
Abbiamo parlato tanto di resurrezione fin dalla prima pagina.
Ci è venuta una curiosità:
«che cosa significa per noi la fede nella resurrezione?»
Tante cose si possono dire, e in tante maniere, a rispetto della resurrezione.
Non diremo tutto e neppure ne saremmo capaci.
Diremo solo quanto basta per rispondere alla domanda che è sorta:
«che cosa significa per noi oggi fede nella resurrezione?»
1. Posizioni che ci rendono difficile capire la resurrezione.
Oggigiorno si parla molto di resurrezione.
Molte sono le domande:
che farà Dio nel giorno della resurrezione?
Il corpo sarà lo stesso di ora?
Grande così?
Chi è brutto, brutto rimane?
E i bambini che muoiono?
Restano sempre bambini?
Se tutti risorgeranno in età matura, chissà che monotonia sarà la vita eterna senza la grazia dei bambini!
E quell'uomo che è morto bruciato e del suo corpo non è rimasto neppure un pezzettino?
Come se la caverà Dio con lui?
Tante domande sorgono e provocano discussioni inutili e insolubili.
Una domanda ne suscita un'altra.
Come il bimbo che va dietro ad un fiore dopo l'altro, e intanto si allontana sempre più da casa.
Quando finalmente si ferma, già si è perduto e non sa più da dove è venuto né dove sta andando.
Scoppia in un pianto dirotto.
Le domande sulla resurrezione sono simili al pianto di quel bambino.
Ci dicono che ci siamo perduti lontano da casa nostra, lontani dal vero senso della verità.
Ci siamo perduti non lungo i difficili sentieri della fede ma nella tela di ragno dei nostri pensieri che
hanno travisato del tutto il senso della resurrezione.
Non sappiamo più che farcene per vivere.
Il buon senso ha fatto capire a tanta gente che certe difficoltà non possono venire da Dio.
Non servono ad altro che a complicare sempre di più la vita già di per sé tanto difficile.
Altri non credono nella resurrezione perché non trovano prove sufficienti, capaci di convincerli.
Dicono che è impossibile provare con la scienza storica il fatto della resurrezione di Cristo, essendo troppi
i problemi implicati nella questione.
Altri ancora si mettono a studiare la resurrezione e vogliono sapere per filo e per segno cosa accadde
in quella domenica di Pasqua, come era il corpo glorioso di Gesù, come si dettero le apparizioni e come si spiegano le contraddizioni registrate nei Vangeli a questo proposito.
Altri infine studiano la resurrezione cercando di difenderla dalle difficoltà.
Cercano insomma di rendere la verità della resurrezione un po' più accettabile per l'uomo di oggi.
2. Come abbordare lo studio sulla fede nella resurrezione?
Credo che con un cristiano, che afferma di aver fede non si debba incominciare da un'esposizione sulla
resurrezione, tentando di documentare il fatto della resurrezione di Gesù con argomenti scientifici e cercando di sfatare gli argomenti contrari.
La resurrezione è una realtà che incide così profondamente nella vita ed ha ripercussioni così profonde su tutto
quello che facciamo che non è possibile farla dipendere da alcuni argomenti incerti, neppure tutti accettabili.
Bisogna partire da una base più solida.
Inoltre chi si mette in questa posizione già va al di sopra della resurrezione, almeno dal punto di vista psicologico,
perché essa viene a dipendere dalla spiegazione che lui darà.
Quando la verità della resurrezione viene a dipendere dalla mia spiegazione io per un momento divento padrone della verità.
La verità esiste e continua ad esistere in forza dei miei argomenti. Difficilmente permetterò allora che la resurrezione,
che è stata sotto il mio dominio e dipende da me, passi al di sopra di me con le esigenze radicali che comporta nella mia vita.
Anzi la Bibbia non colloca affatto la difesa della resurrezione come punto di partenza della sua dimostrazione.
Cominciare lo studio della resurrezione dall'analisi di quello che successe nella domenica di Pasqua ci sembra che
sarebbe come entrare per la porta che non ci introduce in casa.
Così facendo ridurremmo a priori la resurrezione ad un fatto isolato del passato, di un tempo completamente finito.
Ci allontaneremmo sempre di più dalla resurrezione.
Difficilmente si potrebbe in seguito capire che cosa essa significhi nella nostra vita.
I primi cristiani non fecero così.
Nelle lettere di Paolo, che sono anteriori ai Vangeli, si parla quasi ad ogni pagina della resurrezione.. ma quasi mai si parla,
ad eccezione di una sola volta(I Cor. 15, 1-4) delle circostanze storiche in cui si realizzarono le apparizioni e gli avvenimenti della domenica di Pasqua.
Quanto alle domande che siamo soliti fare oggi sulla resurrezione, Paolo risponderebbe così:
«Idiota! Quando mai si è visto un albero o una pianta uguale ad un seme?
Hai visto mai seminare piante ed alberi?
Si semina il seme da cui nasceranno piante ed alberi!
Così tu, che vivi oggi con la tua vita, sei come un seme dal quale, quando muore, nascerà un corpo nuovo, differente,
spirituale per virtù di Dio.
Tu incaricati del seme e al resto ci penserà Dio» (citazione sintetica e libera della I Cor. 15, 35-50).
Resta ancora una domanda:
«Ma allora che significava per Paolo fede nella resurrezione?».
3. Differenza tra noi e i primi cristiani
Molto grande è la differenza tra la nostra maniera di situarci oggi davanti alla resurrezione e la maniera dei primi cristiani
che incarnavano nella vita la stessa verità.
Per la maggior parte di coloro che credono nella resurrezione la fede nella resurrezione si riferisce tanto al passato
come al futuro.
Al passato:
perché diciamo nel «Credo»:
«credo che Gesù Cristo fu crocefisso morì e fu sepolto;
scese nella regione dei morti e risuscitò il terzo giorno».
In forza della fede nella resurrezione accettiamo che quasi 2.000 anni fa un sepolcro fu trovato vuoto e che Gesù risuscitò
apparendo molte volte agli apostoli.
Al futuro:
perché recitiamo nel «Credo»:
«credo nella resurrezione della carne».
In forza della fede nella resurrezione ammettiamo che un giorno, non si sa quando, i morti risusciteranno tutti.
La fede nella resurrezione tiene i piedi ben saldi su questi due pilastri, uno nel passato e uno nel futuro.
E il presente?
C'è qualche filo che leghi un palo all'altro passando sul nostro presente, che illumini la lampada della vita,
che ci faccia vedere la strada dove mettiamo i piedi e metta in marcia il motore dell'esistenza?
Chi vive oggi, che se ne fa della sua fede nella resurrezione?
Esiste qualche resurrezione nella sua vita?
Per la maggior parte di noi cristiani di oggi, sembra che la resurrezione abbia poco a che vedere col presente che viviamo.
È uno di quei misteri della fede difficili e nascosti nella voragine del passato e del futuro, del quale non sappiamo
bene che uso fare nella vita di ogni giorno.
Il modo di esprimere questa stessa verità nel Nuovo Testamento è molto differente.
La prospettiva è un'altra.
Perché io possa parlare della vita devo pur averla questa vita, devo pur essere vivo!
Un marziano, ammesso che esista, potrebbe benissimo studiare la nostra vita terrestre, ma la sua sarebbe sempre
una conoscenza di chi sta al di fuori di quello che studia.
Per quanto intelligente fosse quel marziano, un qualsiasi contadino della più abbandonata regione saprebbe parlare della
vita umana sul globo terrestre con più autorità di lui.
Un cieco che non ha mai visto la luce può ben immaginar si che cosa sia la luce, fare calcoli esatti e complicati,
ma il bambino che ha gli occhi per vedere la luce del giorno ne sa più del cieco, anche se non riesce a dire tutto quello che vive e sente a rispetto della luce.
La stessa cosa succede nel Nuovo Testamento quando si parla di resurrezione.
La fede nella resurrezione era la condizione necessaria per parlare della vita che ne deriva.
I primi cristiani non si mettevano al di sopra della resurrezione per arrivare a dimostrarla né se ne distanziavano
per meglio apprezzarla.
Non si preoccupavano, almeno nei primi tempi, di sapere esattamente quello che successe la domenica di Pasqua
e neppure cominciavano a studiare la resurrezione difendendola.
Chi vive non ha bisogno di dimostrare che è nato.
E neppure ha bisogno di dimostrare che i suoi genitori sono esistiti.
La resurrezione non ha bisogno di difesa.
Era la luce che faceva vedere e leggere la vita.
La fede nella resurrezione era l'ambiente della vita nel quale si viveva e si parlava.
Era come l'aria che respiravano.
Tanto chi parlava di resurrezione come chi ne sentiva parlare, tutti vivevano immersi nella stessa atmosfera nuova.
La fede nella resurrezione era la radice di tutto, come la vita che abbiamo è la radice di tutto quello che si fa nella vita.
Un ramo non può staccarsi dall'albero per vederlo meglio da lontano.
Sarebbe lo stesso che morire.
E neppure gli è necessario dimostrare agli altri che è unito al tronco.
Basta che dia frutti.
Sono questi la prova della sua unione col tronco e con la radice.
Quando il sole è alto nel cielo, nessuno si preoccupa di dimostrare e di difendere l'esistenza del sole.
Si preoccuperà piuttosto, questo si, di godere della sua luce e del suo calore, per migliorare la sua salute.
Da questa seconda preoccupazione è nato il Nuovo Testamento.
Sono due modi molto differenti di affrontare e di vivere la stessa verità.
Noi oggi collochiamo l'oggetto della nostra fede nella resurrezione nel passato e nel futuro.
I primi cristiani lo mettevano nel presente.
Se riflettiamo come il Nuovo Testamento parla della resurrezione, troviamo molti argomenti che possono aiutarci a fare
una revisione della nostra maniera di vedere e vivere la resurrezione.
L'irrompere della fede nella resurrezione è qualcosa di cosi nuovo che non entra nelle nostre teste.
Per cui, prima di studiare questa verità, prima di criticarla e di porle interrogativi, prima ancora di volerla difendere con i
nostri argomenti, conviene dare la parola al Nuovo Testamento ed ascoltare da esso che cosa intenda per fede nella resurrezione e come si incarni nella vita.
Altrimenti potremmo creare difficoltà dove non esistono e potremmo difendere cose che non hanno bisogno di difesa,
perché non hanno niente a che fare con la fede nella resurrezione.
4. Punto di partenza della fede nella resurrezione:
percepire i limiti dell'esistenza, barriere che uccidono la vita e la speranza dell'uomo
Per cogliere tutta la portata della novità di una cosa che irrompe nella vita, bisogna anzitutto esaminare la situazione precedente.
Proprio nel confronto tra il «prima» e il «dopo» si fa evidente il valore della cosa nuova che si è fatta presente.
Perciò ci proponiamo di esaminare prima la terra dove fu piantato e crebbe il seme della fede nella resurrezione, per vedere poi
se questa terra esiste ancora oggi in mezzo a noi.
Quei due tali discepoli di Gesù, Cleofa e il suo collega, che camminavano per la strada di Emmaus (Lc. 24, 13 seg.),
erano l'espressione di quello che accadde nella vita degli apostoli dopo la morte di Gesù.
Essi erano anche espressione di quello che si verificava nella vita dei cristiani che camminavano lungo la strada della storia nel tempo in cui
Luca registrò questo episodio nel suo vangelo, gente perseguitata che non riusciva più ad integrare nella sua vita la fede nella resurrezione,
perché la morte uccideva in loro la speranza e non incontravano più quel Cristo vivo in cui credevano.
Espressione di quello che accade anche oggi nella vita di molta gente.
«Speravamo che fosse il liberatore ma oggi è già il terzo giorno...»
(Lc. 24, 21).
Questo l'amaro lamento dei due.
Con la morte di Gesù qualcosa morì nella vita degli apostoli, qualcosa che aveva importanza fondamentale.
La vita per loro era ormai senza senso.
Prima di allora era cresciuta tanto la loro unione con Gesù che non avrebbero potuto concepire l'esistenza senza di Lui (cf. Gv. 6, 68-69).
Erano disposti a morire con Lui (cf. Mc. 14, 31), a soffrire per Lui, a morire per Lui, perché senza di Lui nulla avrebbe avuto più senso.
Per amore di Lui avevano abbandonato tutto quanto possedevano
(cf. Mt. 10, 28).
Gesù era l'asse della ruota nella loro vita.
La morte di,Gesù spezzò l'asse.
Si impose tragicamente come una barriera intrasponibile tra la situazione presente e l'ideale futuro che avevano alimentato.
Era meglio uscire da Gerusalemme (cf. Lc. 14, 13) e tornarsene ciascuno al suo lavoro ed al suo buco.
Niente più da fare.
Era stata un'illusione, un'utopia, una alienazione credere a questo Gesù e al messaggio che Lui predicava.
È finito tutto;. «... era già il terzo giorno...».
La Sua morte li riportò alla dura terra della realtà.
D'altra parte, poiché il velo del futuro era stato alzato ed essi avevano potuto intravedere le immense possibilità della vita umana
durante i tre anni di convivenza con Gesù, il desiderio non si spegneva.
Da quando si era chiuso il futuro con la morte di Gesù, la realtà si era fatta ancora più buia di prima.
Un altro futuro non li attraeva.
La morte aveva distrutto tutti i desideri uccidendo radicalmente qualunque aspirazione verso l'avvenire.
La morte di cui si parla non era solo la morte della croce.
Era tutta una situazione che culminava nella croce e che portava alla croce chi volesse fare lo stesso cammino di Gesù.
Le forze della morte erano più vive di sempre:
l'imperialismo romano, che con una sola parola ratificò la condanna a morte;
i soldati, che misero in atto la sentenza del governatore Pilato senza che vi fosse nessuna possibilità di impedirlo;
gli scribi, che se ne rallegrarono;
i farisei e il farisaismo, che la provocarono manipolando l'opinione pubblica;
la mentalità fluttuante del popolo e tanti altri fattori.
Tutto questo si unì in un 'unica forza contro Gesù (cf. Atti 4, 24-28) e riuscì a vincerlo.
Uccidendo Cristo, uccisero il futuro nel cuore degli apostoli.
La morte era personificata in questa situazione come una forza orribile che minacciava qualsiasi eventuale tentativo degli apostoli
di continuare a fare quello che faceva Gesù.
Tutto era finito.
Le ombre della morte erano sulla vita, soffocando qualsiasi speranza e minacciando e opprimendo' tutto e tutti.
Gli apostoli ebbero paura di fronte a questa forza, e fuggirono.
(Mc. 14, 50-52).
Sprangarono perfino le porte di casa. (Gv.20, 19).
Contro uomini atterriti nessuno poteva pensare di far nulla.
Erano stati sconfitti dalla realtà che li schiacciava.
La morte di Gesù uccise qualcosa negli apostoli, come la morte del marito uccide qualcosa nella moglie.
Come la morte dell'amico uccide qualcosa nell'amico che sopravvive.
Gli apostoli erano morti più dello stesso Cristo.
Si era inaridita la fonte e l'acqua era finita.
Avevano distrutto la turbina e si era spenta la luce.
Questa era anche la situazione dei cristiani che camminavano lungo la strada della vita verso l'anno 75, quando Luca scrisse il suo vangelo.
Avevano in cuore una grande frustrazione.
Avevano creduto per molto tempo a Gesù Cristo.
Si diceva che era vivo, che stava in mezzo alla comunità.
Avrebbe riportato vittoria sulla morte, e chi credesse in lui avrebbe partecipato della forza che vince la morte.
Ma dove era Gesù?
Dove questa vittoria?
L'impero romano continuava a perseguitare coloro che credevano in Cristo.
Non permetteva che i cristiani aprissero una nuova strada verso il futuro, dando un nuovo senso alla vita umana.
I cristiani stavano morendo come criminali comuni nelle prigioni e nell'arena.
Dov'era il Cristo?
«Pensavamo che lui fosse il Liberatore, ma oramai...».
Tra la realtà e il futuro si alzava una barriera insuperabile.
La morte, personificata nelle strutture dell'impero romano, uccideva la speranza nel cuore dei cristiani.
Perché continuare a credere?
Anche oggi molta gente se ne va per le strade della vita:
gente senza speranza, sconfitta dalla realtà che soffoca e uccide la speranza e distrugge il futuro.
Forze davanti alle quali l'individuo si sente impotente, che non riesce a dominare che lo superano di molto e mantengono la vita
in catene senza possibilità di espandersi.
Sembrano trascinare tutta l'umanità verso una totale schiavitù.
Qual è l'individuo che può fare qualcosa contro il potere economico, contro il potere della propaganda e dell'opinione pubblica,
contro il potere dell'ideologia e dello stato totalitario?
contro il potere della mentalità fluttuante del popolo, contro il potere della moda e delle convenzioni sociali,
contro il potere dell'ironia e del sarcasmo, contro il potere dell'organizzazione che ad alcuni accorda privilegi ed emargina altri, contro il potere della mistica dello
sviluppo molte volte contraddittoria?
Si fa tutto per l'uomo'.
«L'uomo è la meta» si va dicendo, mentre nel cuore dell'uomo muore la speranza:
innumerevoli sono le barriere ed i limiti contro i quali sbarra la vita sia personale che familiare, sociale ed internazionale.
Cresce la coscienza ma allo stesso tempo cresce il torpore.
Cresce la gente, ma aumenta il vuoto, la disperazione, la solitudine.
Quanto più aumenta il potere delle acque, tanto più aumenta la resistenza della diga che cerca di dominarle.
Queste ed altre sono oggi le sentinelle avanzate della morte che stende le sue braccia sulla vita, tutto coprendo
col suo velo di lutto e tutto minacciando di oppressione.
Non abbiamo forze per affrontare una simile realtà.
La morte, questa morte personificata nella situazione concreta, ci supera.
Si spegne all'orizzonte l'ultima lampada che ancora brillava.
Ognuno si arrangia come meglio può per non essere inghiottito dal niente e dalla totale frustrazione.
Ciascuno si cerca un posticino al sole.
Tanta gente non crede più a niente e a nessuno.
Giudicano ridicole ed infantili le timide iniziative che si fanno per spezzare il cerchio di ferro dentro il quale la vita muore asfissiata.
Si accomodano e diventano schiavi soddisfatti, contenti, tranquilli, chiusi in una gabbia d'oro, ma senza coscienza.
Si ripete oggi, benché a livello più elevato e più civilizzato l'antica «lotta per la vita».
Sopravvivere a qualunque costo... Ha ancora senso credere a qualcosa?
In mezzo a tutto ciò cammina il cristiano con la sua fede nella resurrezione, legata a un fatto del passato e ad uno del futuro.
Che se ne fa della sua fede per suscitare la speranza nel cuore degli uomini?
La nostra situazione attuale non è poi tanto differente da quella degli apostoli dopo la morte di Cristo.
Come al tempo di Luca, ce ne andiamo con la fede sotto il braccio, senza sapere bene che farcene.
Non troviamo una breccia per innestarla nella vita per cui... una muda tanto preziosa finisce col morire anche lei senza dare frutti.
Il fatto è che non abbiamo coscienza dei limiti e dell'oppressione in cui viviamo.
C'è chi risolve il problema così:
la resurrezione si riferisce solo alla situazione che verrà dopo la morte.
Cercando di lavorare in questa vita per garantirsi la resurrezione in cielo dopo la morte.
Vedono il mondo solo come una grande officina, dove si aggiustano le macchine della vita perché possano entrare in cielo.
Ma in un'officina non si può vivere, non è nata per questo!
Neppure passa loro per la testa che la fede possa influire su qualche aspetto della vita che viviamo oggi qui.
5. Il nuovo che nasce tra gli uomini per la fede nella resurrezione
Ma, e qui sta la novità assoluta della resurrezione, il terzo giorno dopo la morte di Gesù, quegli 11 uomini fecero l'esperienza sicura ed
inconfondibile che Gesù era vivo (Lc. 24, 5.34).
Era proprio Lui, Lui in persona, quel Gesù col quale avevano convissuto durante tre anni (Atti l0, 40-41).
Le apparizioni lo confermavano (Lc. 16, 9-14; I Cor. 15, 1-4).
Era Lui!
Gesù superò una barriera che nessun uomo mai aveva superato.
Il Cristo vittorioso sulla morte stava adesso con loro, come un amico!
L'evidenza era lampante, anche se avevano incontrato qualche difficoltà nel credere subito all'avvenimento nuovo e inatteso
(Lc. 24, 10-11.37-43; Gv. 20, 25).
Non c'era più nessun motivo per sentirsi sconfitti dalla realtà.
Anche loro erano risuscitati.
Il velo del futuro si squarciò di nuovo per non chiudersi mai più.
Nacque una speranza nuova.
Nella loro vita entrò una forza nuova, la forza di Dio, una forza così grande che riuscì a far nascere la vita dalla morte (Ef. 1, 19-20).
Forza legata alla persona viva di Gesù Cristo, invisibile in sé ma visibile nei suoi effetti.
Forza più forte di tutto quello che prima era capace di uccidere in loro la speranza.
Tutte le barriere che impedivano la vita e soffocavano la speranza, tutte erano vinte per sempre:
la forza dell'imperialismo romano; del farisaismo, dell'opinione pubblica, della mentalità fluttuante del popolo.
Le forze della morte furono sconfitte.
La guerra era debellata, anche se la battaglia continuava ancora.
Era solo questione di tempo.
Niente più avrebbe oramai potuto spaventarli:
affrontavano il popolo, i giudei, il sinedrio, i romani, i farisei, la tortura, la prigione. (cf. Atti 2, 14; 4, 8.19.23-31; 5, 29.41; ecc.).
La vita che era nata in loro già aveva passato le frontiere della morte, era una vita nuova e vittoriosa. (cf. Ef. 2, 6).
Anche se fossero caduti sotto i colpi della morte, la vita non poteva oramai più morire (cf. I Cor. 15, 54-58).
Ora sì aveva senso resistere, non conformarsi alla situazione e far qualcosa per trasformarla!
I cristiani, camminando lungo la strada della vita, perseguitati dall'impero romano, lanciavano la domanda:
«Dove incontrare questo Cristo vivo?
Dove scoprire la forza che Lui ci comunica?»
Risponde Luca col racconto dei due Tizi che se ne andavano lungo la strada di Emmaus.
Scoprirono il Cristo e lo «riconobbero allo spezzar del pane»
(Lc. 24.35).
Nell'ora in cui i cristiani si riuniscono intorno all'eucarestia, quando il pane è spezzato e distribuito, quando celebrano
e fanno memoria della morte e resurrezione del Signore (I Cor. 11, 26), proprio lì sta la fonte da dove sgorga o dovrebbe sgorgare l'acqua nuova che irriga l'albero della vita
e lo rende capace di dare frutti.
Questa convivenza intorno alla mensa apre gli occhi (Lc. 24, 31) e fa sentire la voce di Cristo sia nella parola della Bibbia
(Lc. 24, 32) sia in quella del compagno anonimo che cammina con me lungo la strada della vita (Lc. 24; 15-16.35).
Luca indica questi tre canali di comunicazione con Cristo e con la forza che emana di Lui:
il fratello che cammina con noi, la parola di Dio e il convivio degli amici intorno alla stessa fede e allo stesso ideale, nell'Eucarestia.
Si capisce allora quanto cammino manchi ancora prima che la rinnovazione liturgica in corso possa realmente raggiungere il suo fine.
Servendosi di questi tre canali, i cristiani troveranno il modo di vincere la crisi e scoprire nella loro vita il senso della loro
fede nella resurrezione, ossia del1a loro fede in Cristo vivo in mezzo a loro. Credere nella resurrezione non è solo accettare un fatto del passato ed un altro del futuro, ma è anzitutto
un modo di vivere che nasce dalla scoperta di un amico vivo nella mia vita per la forza di Dio.
6. La resurrezione non è solo avvenuta ma avviene ed avverrà
La resurrezione di Gesù Cristo non è un fatto che circa 2000 anni fa dette corda ad un motore che funziona fino ad oggi.
La resurrezione non è un fatto che è successo e poi è finito.
Potremmo dire che Gesù ad ogni istante ascolta la voce di Dio che lo chiama alla vita (cf. Gv. 19-21; 6, 57).
Dio lo risuscita e gli dà una vita nuova con un agire incessante.
È come la luce:
funziona mentre la turbina del generatore continua a girare.
Nel momento in cui la turbina si ferma, la luce si spegne nelle case del popolo.
Nel momento in cui Dio, per ipotesi assurda e impossibile, cessasse di chiamare alla vita Gesù Cristo, luce del mondo,
(cf. Gv. 9, 5) si spegnerebbe la Chiesa, il popolo di Dio, i Sacramenti, la Fede; tutto cesserebbe di esistere.
L'azione di Dio che risuscita Gesù Cristo si può paragonare alla sua azione creatrice:
il giorno in cui cessasse di pronunciare la parola creatrice, noi tutti cadremmo nel nulla, sapendolo o no.
Il giorno in cui Dio cessasse di pronunciare la sua parola di salvezza che culmina nella resurrezione, la nostra fede non avrebbe più senso.
(cf. I Cor. 15, 14-15.17-19).
L'azione di Dio che risuscita Gesù Cristo non è come l'azione che dà corda all'orologio o accende il motore.
L'orologio o il motore, una volta messi in moto, camminano da soli, indipendenti dal loro padrone.
Ma è come il campanello, che suona se io premo il dito sul pulsante.
È come l'antenna trascontinentale via satellite, che capta le onde di altri continenti.
Se la trasmittente tace, l'antenna non capta più niente non trasmette più, e il video della televisione diventa nero.
Nel momento in cui Dio smettesse di dire la parola che risuscita Gesù Cristo, Cristo finirebbe.
Non sarebbe più niente, non rivelerebbe più niente e lo schermo della nostra fede si oscurerebbe, la nostra parola e la nostra
testimonianza di fede sarebbero vuote ed atone.
Una menzogna, uno chèque a vuoto (cf. I Cor. 15, 15).
In questo caso meglio sarebbe «mangiare e bere perché domani moriremo». (I Cor. 15, 32).
Ma Dio non leva il dito dal pulsante del campanello, non interrompe la trasmissione, non cesserà mai di chiamare alla vita Gesù.
Dio non inganna, non frustra.
Dio è fedele ed è abbastanza forte per continuare a fare quello che ha incominciato.
Non c'è forza che glielo impedisca.
Lui sempre vince.
È la nostra convinzione di fede.
Su che cosa si basa?
7. L'ultimo fondamento della fede nella resurrezione
L'ultimo fondamento, la radice stessa della nostra fede nella resurrezione è la buona volontà di Dio, la buona volontà di
Qualcuno che si è impegnato con noi in modo irrevocabile.
La fede nella resurrezione non dipende da una legge cieca e impersonale, non ha niente a che vedere con gli argomenti
filosofici che difendono l'immortalità dèll'anima, non si basa sul dinamismo irresistibile dell'evoluzione dell'universo che tende
al bene, e neppure si fonda su un calcolo nostro, basato in ricerche storiche che riescano a provare la storicità della resurrezione
di Gesù, e neppure dipende dalle prove che confutano gli argomenti contrari.
La fede nella resurrezione nasce dalla parola amica che Qualcuno pronuncia in nostro favore.
Così come la parola dell'amico può confermare una persona, restituirle la coscienza di sé e rianimarla ad una nuova speranza,
la parola amica di Dio raggiunge la persona umana alla radice, le ridà la coscienza di sé, la risuscita ad una nuova vita e la fa vivere per sempre.
Risuscitando Gesù dai morti, Dio dimostrò concretamente la sua buona volontà con gli uomini, espresse il potere irresistibile
della sua volontà di salvezza e di liberazione, ne affermò la fedeltà e ci fece sapere fino a che punto nel nostro agire possiamo confidare nella sua buona volontà verso di noi:
fino al punto di diventare capaci di fare l'impossibile, ossia fino al punto di sperare che dalla morte possa nascere la vita.
Dio ha cominciato a dimostrare la sua buona volontà fin da quando cominciò a lavorare con gli uomini, chiamando Abramo e liberando il popolo dall'Egitto.
Ci ha dimostrato, lungo il corso della storia, che l'uomo, quando ha il coraggio di impegnarsi con lui, trova quello che cerca, trova la felicità.
Il contenuto pieno della parola che cominciò a risuonare alle orecchie di Abramo e la forza totale che essa possiede apparvero nella resurrezione di Cristo.
In Cristo, un uomo come noi, che visse nella totale apertura e obbedienza al Padre e raggiunse la meta finale nella sua resurrezione;
Dio non solo lo risuscitò ma lo mise a parte della sua vita, dandogli tutto il potere, e gli consegnò il destino dell'umanità
(cf. Fil. 2, 8-11).
D'ora in poi, per sempre, un nostro fratello si trova presso Dio,
come prova capitale e definitiva che Dio prende sul serio la parola che ci ha dato un giorno (cf. Is. 40, 7-8) e che si può davvero contare su ciò che Lui dice e promette (cf. Ebr. 4, 14-16; 5, 5-10).
La risurrezione di Cristo è l'espressione permanente dell'impegno irrevocabile di Dio con noi.
È la prova permanente e suprema della garanzia che segue la promessa.
È la «nuova e eterna alleanza» di Dio con gli uomini.
Pertanto credere alla resurrezione non è credere a una cosa, non è credere ad argomenti, ma credere a Qualcuno che opera
in noi e per noi con potere immenso, capace di far uscire la vita dalla morte, di far diventare nuovo quello che è vecchio, orientandoci verso un futuro di dimensioni smisurate.
Credere nella resurrezione vuol dire:
oltrepassare fin d'ora con la speranza che anticipa il futuro i limiti già superati e abbattuti dalla resurrezione di Gesù crocefisso.
Nessun limite, nessuna barriera, nessuna difficoltà, nessuna cosa di questo mondo sarà capace di uccidere la vita e la
speranza che è nata nel cuore dell'uomo.
Credere nella resurrezione non ha niente a che vedere con fuga o alienazione dal mondo verso l'aldilà, o con un cristallizzarsi
intorno ad un fatto del passato già chiuso del tutto.
L'oggetto della fede nella resurrezione non sta né nell'eternità del cielo né nell'impenetrabilità del passato, ma nel futuro
della terra su cui fu piantata ed è piantata fino ad oggi la croce di Cristo.
Il fatto del passato testimoniato dagli apostoli ne è il fondamento.
Ma su queste fondamenta si alza l'immensa costruzione della vita che non muore e che rinasce dalle ceneri della morte,
anticipando il nuovo che sboccia sotto le mani di chi crede in lei.
Credere nella resurrezione è ciò che Paolo sintetizza con le parole.
«Se Dio è a nostro favore, chi sarà contro di noi?..
Chi potrà separarci dall'amore di Cristo?
Tribolazione?
Angustia?
Persecuzione?
Fame?
Nudità?
Pericolo?
Spada? ...
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori, a causa della forza di Colui che ci amò.
Sono convinto davvero che né la morte né la vita né gli angeli né i principati né le cose presenti né le future, né le potestà
né le altezze né gli abissi né qualsiasi altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio che sta in Cristo Gesù» (Rom. 8, 31.35-39).
L'enumerazione è completa:
niente può separare l'uomo da Dio e dal suo futuro, perché Cristo, che per la resurrezione vinse tutte le forze, sta a fianco di Dio
e intercede per l'uomo che crede in Lui (Rom. 8, 32-34; Ebr. 5, 7-9).
8. Conclusione: una sfida
La visione che i primi cristiani avevano della resurrezione dimostra che il problema fondamentale della fede nella resurrezione
non si trova fuori di noi, in possibili difficoltà di ordine scientifico.
È proprio dentro di noi:
siamo o non siamo capaci di aver coraggio di credere che Dio libera e salva con un potere superiore alle forze della morte?
La forza della resurrezione si caratterizza per il fatto che opera e si manifesta soltanto nella misura della fede che si ha in lei.
Non esiste un tasto automatico per mettere in moto il potere di Dio, potere gratuito a nostra disposizione.
È come il potere dell'amicizia:
funziona solo in forza della fiducia reciproca e della fede che l'uno ha nell'altro.
Paolo, volendo che i cristiani ne prendano coscienza, prega per loro e chiede al Padre che tutti arrivino a comprendere
«qual’è la suprema grandezza del suo potere che agisce in noi uomini di fede, l'efficacia della sua forza che Egli dimostrò in Cristo, risuscitandolo
dai morti e facendolo sedere alla sua destra in cielo, al di sopra di ogni principato, virtù, dominazione e di ogni altro nome, sia di questo che di quell'altro mondo» (Ef. 1, 19-21).
Quando nell'uomo nasce una coscienza simile, si mette in moto un potere irresistibile che non cesserà di agire, finché le forze
della morte non saranno sconfitte dalle forze della vita.
Il momento alto della fede nella resurrezione non è nel passato, né nel futuro, ma nel presente.
È l'albero che è nato dal seme piantato nel passato che oggi promette un raccolto copioso per il futuro.
Radica la vita dell'uomo in una pace profonda, ma agita i suoi rami in un non-conformismo intransigente a rispetto della situazione
del mondo attuale, non-conformismo che non riesce a far pace col mondo dove si è installato il potere della morte che opprime.
La chiave di volta della fede nella resurrezione sta nell'uomo, che scopre nella sua vita la forza attuante e permanente di Dio, che è il Dio dei viventi.
Solo così l'uomo, proprio lui in persona, risuscita e risuscitando si accorge della portata della sua fede nella resurrezione.
Non saranno certo gli argomenti scientifici che daranno valore alla fede nella resurrezione, ma sarà l'esperienza concreta della resurrezione
che darà valore agli argomenti che possono difenderla.
L'unica prova reale della resurrezione, quella che convince, è la vita che oggi risuscita e si rinnova, che oggi vince le forze della morte,
facendo sì che le forze represse e oppresse della vita siano scoperte e liberate per la gioia e la speranza di tutti.
Ciò prova che nell'uomo agisce una forza più forte della morte, la forza di Cristo risuscitato.
Dove sono i segni di resurrezione nella nostra vita, per cui la nostra parola sulla resurrezione di Cristo possa esserne confermata?
Molte altre cose potrebbero e dovrebbero dirsi per una esposizione completa sulla resurrezione.
Basta per tutte la finestra che abbiamo aperto, anche se piccola, per farci un'idea della tremenda portata della fede
nella resurrezione che trasforma la vita degli uomini.
FINE.
Seguirà un’introduzione “iniziale”, appena possibile.
Ringrazio tutti per l’attenzione.
Una stretta di
Pierino
[Modificato da mlp-plp 17/01/2010 16:03]