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La pessima figura di Delemme - Una stele di infamia per Philippos

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2011 19:54
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II PARTE


“Afferma che nessuno ha saputo controbattere sull'argomento "omosessualità" e che ha avuto ragione su tutti i fronti.
Ora "Vanna Marchi" vorrebbe venderci altra "fuffa". Le argomentazioni presentate da questo tizio non hanno dimostrato nulla. Ha semplicemente tagliato il pelo in mille parti ha accatastato milioni di parole citando questo e quello, ma di fatto ha chiuso gli occhi sulla condanna dell'omosessualità nella Bibbia. "Uomini che giacciono con uomini", grandi o piccoli che fossero, sempre di omosessualità si tratta. Che non fosse conosciuto il termine è ininfluente, noi che non siamo filologi non guardiamo al termine ma ALL'AZIONE. L'azione omosessuale è condannata dalla Bibbia”



Cercherò dunque di spiegare scendendo al livello della vostra limitata capacità deduttiva in ambito antichistico, capacità limitata dalla vostra assenza di una formazione antropologica che vi permetta di uscire dai vostri schemi mentali di occidentali del XXI secolo. Il vostro problema, miei cari, è che pensate in italiano e date per scontata la percezione che voi avete delle cose non rendendovi conto che quello che voi percepite dipende dai concetti pregressi che avete delle cose. Faccio un esempio con una nozione che può sembrare scontata ma invece non lo è, cioè quella di “corpo”. Se io vedo una persona accanto a me, posso dire di vedere un corpo? Certamente direte voi, eppure, per il greco di epoca omerica, il concetto di “corpo” non esisteva. E’ infatti un’idea astratta il fatto che le varie membra di un essere umano siano unite in qualcosa chiamato “corpo”. Se leggiamo infatti i poemi omerici vediamo che non c’è una soggettività centralizzata, e che gli esseri umani infatti non sono percepiti come “corpi” bensì come insiemi di parti accidentalmente assemblate. Questo perché i greci dell’epoca omerica credevano che le singole parti di quello che noi chiamiamo “corpo” avessero una vita autonoma, sicché le reni avevano una vita autonoma, e quella vita era altro ed indipendente rispetto alle ginocchia. Il termine “soma” in Omero infatti designa solo il cadavere, proprio perché essendo venuta meno la vita delle singole parti noi diventiamo un’unità solo nella morte, quando tutto il cadavere è un unicum di materia inerte legata dalla carne. Un greco dell’età omerica dunque davanti ad una persona viva non vedeva un corpo né poteva percepirlo come tale, sicché se gli aveste chiesto “ma quello è un corpo?” vi avrebbe risposto di no, perché per i greci di allora quello che noi chiamiamo corpo vivente non era un unicum bensì un insieme di entità eterogenee ciascuna con vita propria. Non bisogna dunque scambiare le cose con la nostra percezione delle cose, perché prima di chiedere se x rientra nella definizione di y bisogna vedere se abbiamo la stessa definizione di y.
Ora, per l’ennesima volta, ribadisco che non sto parlando dell’inesistenza del termine “omosessualità”, ma dell’inesistenza del concetto di omosessualità. Siete in grado di capire la differenza tra “termine” e “concetto” o siete troppo plebei per riuscirci? Suppongo che abbiate fatto le scuole medie e dunque la differenza tra “termine” e “concetto” vi sia nota, dunque siete pregati di non mettermi in bocca concetti da me mai espressi. Infatti cos’è l’omosessualità? L’omosessuale non è chi va a letto con altri uomini, ma chi va a letto con altri uomini ed è attratto da loro. In linea di principio infatti anche un eterosessuale potrebbe andare a letto con altri uomini, magari perché si prostituisce e lo fa per soldi, ma il fatto che si dia ad attività sessuali con altri maschi non lo rende omosessuale, resta infatti un eterosessuale che semplicemente sceglie di andare a letto con persone del suo stesso sesso. Ciò che rende una persona gay non è l’atto ma la sua psiche, cioè il fatto che abbia quella che noi oggi chiamiamo “un inclinazione sessuale”, cioè che sia attratto da persone dallo stesso sesso. Ora, questa categoria di pensiero, cioè “l’orientamento sessuale”, risale ad appena 200 anni fa, ed è frutto della psichiatria. Infatti l’orientamento sessuale di una persona non è qualcosa che si possa vedere, non è qualcosa di empiricamente rilevabile, è qualcosa che sta dentro la sua testa. Sicché, prima dell’ottocento, si sapeva certamente che c’erano uomini che andavano a letto con altri uomini, ma quel che non si sapeva era che questo dipendesse da un orientamento sessuale, si credeva cioè che tutti fossero “eterosessuali”, per usare un termine improprio. Infatti dire “eterosessuali” implica che prima dell’ottocento si sapesse almeno che esisteva l’orientamento sessuale verso un sesso diverso. Ma neppure questo invece si sapeva. Certamente esistevano, come sono sempre esistiti, uomini che andavano a letto con le donne, ma quel che non si sapeva era che questo dipendesse da ciò che noi chiamiamo oggi “orientamento sessuale”, il che se ci pensate è un concetto astratto. Il fatto che non ci fosse la categoria di orientamento sessuale faceva sì che tutti credessero che le persone siano normalmente attratte dal sesso opposto, cioè, come diremmo oggi, eterosessuali. La prima considerazione da fare dunque è che San Paolo non sa cosa sia un omosessuale, nel senso che non sa che esistono persone con un orientamento sessuale che le fa sentire attratte dal proprio stesso esso. San Paolo vede cioè persone che fanno atti omoerotici, ma non li percepisce come omosessuali, poiché la categoria concettuale era inesistente, e dunque li percepisce invece come individui normalmente attratti dalle donne come suppongo lo fosse lui, e che tuttavia, pur essendo attratti dalle donne, andavano con uomini. Semplificando in maniera molto impropria dunque dobbiamo dire che San Paolo in quel “uomini che giacciono con uomini” non vede due gay, ma due eterosessuali che fanno sesso per puro gusto di sperimentale, e di perversione. Sicché una prima spiegazione, ma non certo esaustiva, è che San Paolo condanna questo rapporto perché crede che questi due individui, che egli non percepisce come gay, siano normalmente attratti dalle donne, e tuttavia essi, non seguendo la loro inclinazione naturale per le donne, vanno con uomini magari per celebrare uno rito pagano, e dunque contravvengono la loro propria natura eterosessuale andando con dei maschi. Questo fa sì che San Paolo veda non un gay ma un etero che va contro natura perché la sua natura è per l’appunto etero, ma egli, andando cogli uomini, non si comporta da etero. La condanna di Paolo è dunque in ciò che egli percepisce: un etero che va cogli uomini, e così facendo perverte il suo desiderio. Paolo invece non condanna i gay, cioè quelli attratti dagli uomini, e che dunque andando cogli uomini non pervertono la propria natura, ma anzi la seguono, e non li condanna per la banalissima ragione che non sa neppure esistano. Quel “uomini che giacciono cogli uomini” non è dunque comprensivo di tutto ma solo di ciò che San Paolo è in grado di percepire, cioè degli eterosessuali.
Questa spiegazione tuttavia non è sufficiente. Il problema del gesto omoerotico che condanna Paolo infatti si situa per i fatti che a quel tempo a quel gesto erano indissolubilmente legali. Faccio un esempio: sarebbe come se noi fossimo una religione chiamata “A”, e il testo sacro della nostra religione condannasse gli uomini che portano i capelli lunghi con la frase “l’uomo che porta i capelli lunghi, sia dannato”. Il testo poi, non dice altro, e le religioni ispirate a quel testo per secoli e secoli continuarono a proibire agli uomini di avere i capelli lunghi. Gli archeologi però, magari 10 secoli dopo che il testo fu scritto, quando la civiltà che lo originò era già scomparsa, scoprirono che in quella società portare i capelli lunghi era un segno di riconoscimento per i prostituti, e che solo loro portavano i capelli lunghi, mentre gli uomini onesti li portavano tutti corti. Ora, sarebbe veramente da sciocchi se, 10 secoli dopo, in una società diversa, dove portare i capelli lunghi non significa affatto identificarsi come prostituti, si continuasse a vietare sulla base di questo testo sacro di portare i capelli lunghi tra gli uomini. Significherebbe rispettare la lettera e tradire lo spirito, come si suol dire, proprio perché dire agli uomini “non portate i capelli lunghi” in realtà voleva dire “non prostituitevi”, sicché, se X secoli dopo portare i capelli lunghi non implica più la prostituzione, si potrà ben capire è inutile insistere sul fatto che lo scrittore sacro parli proprio di “portare i capelli lunghi vietandolo”, perché ciò che scandalizzava lo scrittore sacro in realtà non era quell’acconciatura, ma la pratica di prostituzione ad essa irrimediabilmente connessa.
Faccio un altro esempio: nella nostra società occidentale gli uomini non si truccano, e non portano gonne, farlo è segno di poca virilità, di effeminatezza, di travestitismo addirittura. Sicché, se qualcuno producesse un libro sacro nella nostra epoca, e l’autore di questo libro sacro avesse a cuore come centro della sua dottrina la virilità del maschio, potrebbe scrivere una riga in cui dice: “al maschio non s’addice truccarsi e portare gonne”. Ma cosa si dovrebbe fare qualora predicassimo questo testo fra gli indiani d’America del Cinquecento, oppure in Scozia? In Scozia ad esempio il gonnellino, il kilt, non è un simbolo di femminilità, al contrario, è un simbolo prettamente mascolino, e dunque, se l’intendo dell’autore sacro era salvaguardare la virilità maschile, chi abbia capito il senso del versetto (e cioè che esso è così formulato perché da noi le gonne non sono virili), riterrà che, per rispettare lo spirito del versetto, al contrario in Scozia gli uomini debbano portare il Kilt scozzese. Tra gli indiani d’America poi il truccarsi, cioè il riempirsi la faccia di segni rossi, non è simbolo di femminilità, al contrario, i maschi si truccano per andare in guerra con dei segni che tutti noi conosciamo grazie ai film di Hillywood, sicché sarebbe da pazzi impedire a queste persone di truccarsi, perché, siccome noi sappiamo che il nostro testo sacro vietava il trucco perché ove venne scritto quel testo esso era un simbolo di femminilità, allora, poiché invece al contrario il trucco tra gli indiani è un simbolo di mascolinità, è opportuno non vietare agli uomini che si trucchino, ben sapendo a cosa era dovuta la condanna del trucco nel nostro testo sacro, cioè alle modalità in cui nella società dell’autore vivevano gli uomini che si truccavano.
Dobbiamo dunque indagare, dopo questo preambolo, chi fossero gli “uomini che giacciono con uomini” di cui parla Romani e a che cosa fosse legata la pratica omoerotica nel mondo antico, e badate che ho scritto “omoerotica” ma non “omosessuale”, in quanto come ripeto questi atti non venivano percepiti come compiuti da omosessuali. Se facciamo quest’indagine vedremo che nel capitolo 1 di Romani San Paolo sta facendo un discorso contro l’idolatria, e infatti poche righe prima parlava contro persone che “hanno cambiato” l’ordine del creato adorando la creatura al posto del creatore, in quanto hanno fatto di alcuni animali degli dèi (si pensi ad esempio l’Anubis degli egizi, dio sciacallo).Tutto il capitolo è una condanna contro l’idolatria e le forme in cui essa viene praticata, Paolo scrive cioè ai cristiani di Roma: i pagani fanno tutte queste cose assurde, mentre voi siete diversi. Nello specifico l’atto omoerotico di cui parla Paolo in Romani è l’atto praticato all’interno di un rituale idolatrico, cioè una condanna della prostituzione sacra. Ma, in realtà, la condanna di Paolo di questi uomini che giacciono con altri uomini va oltre il semplice fatto che in quel contesto stesse parlando di questa pratica così come avveniva nei culti pagani, e la condanna si riallaccia al fatto che nell’antichità le pratiche omoerotiche non erano concepite come un rapporto di coppia da vivere in esclusiva, bensì l’amante “omosessuale” era sempre qualcosa che andava a fianco del matrimonio eterosessuale. Nel mondo antico greco e romano infatti la fedeltà coniugale era un dovere solo femminile, e dunque gli uomini cercavano tranquillamente avventure, con uomini o donne, fuori dal matrimonio, senza che nessuno si sognasse che queste avvenute omoerotiche potessero assurgere a “rapporto esclusivo” o che si potesse costruire una vita insieme in una coppia dello stesso sesso. Era proprio lo statuto del rapporto omo-erotico ad essere diverso: mentre oggi le coppie gay vogliono essere monogame, e condurre spesso una vita assieme, a quel tempo invece il rapporto omoerotico era semplicemente una pratica di svago extra-matrimoniale, canonizzata dalla società con dei limiti ben precisi, tra i quali il fatto che l’altro partner non poteva essere un cittadino libero parigrado, vale a dire che il partner doveva necessariamente essere o uno schiavo, o, se libero, un ragazzino. Questo perché nell’antichità si riteneva umiliante la posizione del partner che nel coito assume il ruolo passivo poiché, in quanto viene penetrato, assume un ruolo femminile inadatto alla dignità del maschio libero adulto. Per questo il rapporto omoerotico così come concepito nell’antichità non era un rapporto di coppia come lo intendiamo noi adesso, cioè di coppia che abbia un progetto di vita in comune, bensì era un rapporto di svago, necessariamente affiancato dal matrimonio, e che implicava non condivisione e amore ma al contrario una carica di violenza e sottomissione, proprio perché si riteneva che uno dei due partner fosse sfruttato, cioè quello passivo, e che il rapporto in definitiva doveva fare i comodi di solo uno dei due amanti, quello attivo. Ciò spiega perché la maggior parte delle città greche tollerava il rapporto omoerotico solo finché il ragazzo che faceva la parte passiva diventava adulto, perché, una volta diventato grande e dunque parigrado al suo amante, non poteva continuare ad essere sottomesso a lui, in quanto la posizione del passivo era concepita come quella di colui che veniva sfruttato, e dunque, anziché passivo, doveva diventare attivo, ovviamente lasciando il suo amante e mettendosi a sua volta, ormai adulto, a corteggiare un nuovo giovinetto, il quale, a sua volta, una volta diventato grande, avrebbe lasciato lui. Sicché la condanna di questi “uomini che giacciono con uomini” dipende dalle condizioni in cui questa “giacenza” avveniva nel mondo antico: non in una situazione di amore e di parità e condivisione, cosa inconcepibile per allora, bensì, questi rapporti, erano caratterizzati dalla disparità di età o di condizione sociale (l’amato era o un ragazzino o uno schiavo), dal fatto di essere rapporti adulteri perché l’amante adulto era sempre sposato, e dal fatto che il rapporto era concepito come qualcosa che implicasse la sottomissione e l’umiliazione momentanea di uno dei due partner, che poi sarebbe divenuto a sua volta sfruttatore una volta divenuto adulto. Sicché la condanna di questi “uomini che giacciono con uomini” in Paolo è senz’altro infallibile, ma appunto è la condanna di quegli uomini che giacciono con altri uomini, cioè gli uomini che aveva in mente Paolo scrivendo la lettera e facenti parte della tipologia che v’ho appena descritto, l’unica che allora esisteva, perché questo era l’unico modo in cui questi rapporti venivano condotti. Sicché essi, poiché implicavano la perdita di dignità di una delle due parti, e non avevano nulla a che fare col costruire una vita insieme di coppia, non potevano che essere condannati, e ancora oggi lo sarebbero, se si replicassero nelle modalità in cui Paolo li conobbe e di conseguenza li condanna. Oggi però il rapporto omoerotico non ha nulla a che fare con la situazione in cui si trovava quando fu condannato da Paolo, e perciò, sapendo lo storico da cosa dipendeva tale condanna, cioè dalla modalità in cui tali rapporti avvenivano, si può ben dire che oggi i presupposti di tale condanna non esistano più.
Bisogna poi analizzare il lessico paolino per evitare di pensare in italiano quando si leggono i suoi testi. Ad esempio è noto che la pratica omoerotica venga definita “contro natura”, e dunque alcuni sciocchi ne potrebbero arguire che l’omosessualità sia peccaminosa a prescindere dalle modalità sociali con cui veniva praticata per il semplice fatto che sarebbe “naturale” per gli uomini andare con le donne, e innaturale andare cogli uomini, sicché, se anche fosse un rapporto paritario di amore, diverso da quello praticato nell’antica Roma, cionondimeno l’omosessualità sarebbe da condannare perché “contro natura” e così definita da Paolo. Questa obiezione ovviamente si sbriciola facendo un po’ di storia delle parole: anche qui il problema è solo in chi legge, cioè nel fatto che le persone ignoranti di storia del pensiero pensano che la parola “natura” abbia avuto lo stesso significato da sempre, quando invece il significato che noi diamo a “natura” ha solo 400 anni, e risale al periodo detto giusnaturalismo. Da noi “natura” è ciò che si oppone alle convenzioni sociali, sicché le convenzioni sociali possono variare da cultura a cultura, ma esisterebbe una natura umana uguale ovunque, e da questa discenderebbero alcune regole uguali per tutti a qualunque latitudine e longitudine siano nati, in qualsiasi epoca siano vissuti. Ma questo concetto di “natura” come contrapposto ad “usanze locali” non è per nulla scontato, ed ha avuto un iter travagliato prima di imporsi. In San Paolo infatti è proprio il contrario: dire “secondo natura” equivale a dire “secondo le consuetudini”, e dunque non c’è una chiara distinzione tra i due piani. San Paolo ad esempio dice che una cosa connotata culturalmente e socialmente come la lunghezza dei capelli è invece un dato di “natura”, al punto che afferma che la natura dice che gli uomini debbono portare i capelli corti. “Non è forse la natura stessa (ἡ φύσις) a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere?” (1Cor 11,14-15)
Se ne deduce che per il lessico paolino l’uomo coi capelli lunghi è contro natura, così come del resto è definita contro natura l’omosessualità. Perché? Perché il termine “natura” non fa ancora riferimento all’essenza dell’uomo ma anche alle consuetudini sociali. “L’uso naturale” nel lessico paolino è dunque semplicemente l’uso dettato dalla consuetudine.
Ricapitolando dunque possiamo dire che per vedere come mai la Bibbia condanna un’azione bisogna vedere come quell’azione veniva percepita (e in questo caso non viene percepita come compiuta da omosessuali), e in più bisogna vedere, per sapere come un’azione viene percepita, COME a quel tempo quell’azione di svolgeva. Se ad esempio io fosse il fondatore di una religione vegetariana, e proibissi di mangiare carne perché nella mia epoca per produrre carne occorre uccidere degli animali innocenti, allora è ovvio che gli appartenenti della mia religione sarebbero invece liberissimi di mangiare carne se in futuro, come avviene in Star Trek, si trovasse il modo di produrre della carne sintetica combinando atomi grazie ad un raggio. In quel caso infatti sarebbe scemo non capire che, se c’è scritto sul libro sacro della religione vegetariana “non mangiare carne” questo è perché a quel tempo il mangiare carne si accompagnava all’uccisione degli animali, ma se oggi questo non avviene più, allora il divieto decade perché ne decadono i presupposti. Allo stesso modo chi conosce le modalità e i presupposti con cui veniva concepita la “coppia” omoerotica nel mondo antico può sia capire le giuste ragioni della condanna paolina, sia stabilire che nessuna di quelle sacrosante ragioni sussiste oggi, e dunque non ha più senso sostenere alcuna condanna della pratica omoerotica, perché la condanna di allora dipendeva dai modi e dal contesto con cui l’atto omoerotico veniva praticato.


“Davanti ad un morto, "Vanna Marchi" affermerebbe che non è morto perché il termine non esiste, direbbe che è senza vita, che non respira, ma non affermare che è morto. “



Veramente si scrive Wanna, e non Vanna, ma comunque il tuo esempio è privo di senso e non è particolarmente azzeccato. Infatti nel mondo antico non solo esisteva il concetto di “morto”, ma esisteva pure la parola per dirlo. Quello che sto dicendo invece è che nel mondo antico non esiste né la parola né il concetto di “omosessualità”, cioè del fatto che andare con un uomo dipende dal fatto che la persona ha un “orientamento sessuale”. Non esiste un termine greco per dire “omosessuale”, cioè chi abbia un’inclinazione sessuale, esistono solo termini per dire chi all’interno del rapporto omoerotico abbia il ruolo attivo, e chi abbia invece il ruolo passivo: l’attivo si dice arsenokoites, il passivo malakos, e Paolo usa questi termini in Corinzi. Non a caso non esiste un termine che accomuni l’omosessuale attivo e l’omosessuale passivo, perché questi due individui non sono concepiti come facenti parti della stessa categoria, perché la divisione nel mondo antico non era tra “gay” ed “etero” ma tra “attivi” (i maschi adulti) e i “passivi” (le donne, gli schiavi, e i ragazzini). Purtroppo non esiste alcun termine per rendere il concetto di arsenokoites in italiano, e dunque dobbiamo accontentarci di renderlo con “omosessuale”, ma occorre stare all’erta e ricordare che il termine non indica chi abbia un’inclinazione sessuale ma solo chi abbia il ruolo attivo.


“Non possiamo considerarlo un filologo, semmai un corruttore della lingua parlata e scritta”



Grazie al cielo non è in vostro potere assegnarmi titoli di studio, ci ha già pensato lo Stato.

Ad maiora
[Modificato da Polymetis 11/03/2011 16:40]
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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