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Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
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Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"


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Parte 3:






I MODI DI ESPRIMERE L'UNITÀ E LA PLURALITÀ IN DIO

Consideriamo ora, dopo quanto si è detto, i modi di esprimere l'unità e la pluralità in Dio [cf. q. 29, Prol.].
Su tale argomento si pongono quattro quesiti:
1. Sul nome stesso di trinità;
2. Se si possa dire: il Figlio è un altro rispetto al Padre;
3. Se a un termine essenziale si possa aggiungere una voce restrittiva che esclude altri;
4. Se si possa fare tale aggiunta ai termini personali.

Articolo 1
Se in Dio vi sia una trinità
Sembra che in Dio non vi sia una trinità. Infatti:
1. Ogni nome in Dio significa o l'essenza o la relazione. Ma il termine trinità non significa l'essenza: perché altrimenti si potrebbe predicare delle singole persone. E non significa neppure le relazioni: poiché non è un termine relativo. Quindi il termine trinità non va usato parlando di Dio.
2. Il termine trinità, significando una moltitudine, è un nome collettivo. Ma nessun nome simile si addice a Dio, poiché l'unità espressa dai nomi collettivi è minima, mentre in Dio c'è l'unità massima.
Quindi il termine trinità non va usato parlando di Dio.
3. Tutto ciò che è trino è triplice. Ma in Dio non si dà una triplicità: poiché questa è una specie di disuguaglianza.
Quindi non si dà neppure una trinità.
4. Tutto ciò che è in Dio partecipa dell'unità dell'essenza divina, essendo Dio la sua stessa essenza. Se dunque ci fosse una trinità in Dio, questa dovrebbe essere nell'unità stessa dell'essenza divina.
E così vi sarebbero in Dio tre unità essenziali: il che è eretico.
5. In tutto ciò che si dice di Dio, il concreto può essere predicato dell'astratto: la deità è Dio, la paternità è il Padre. Ma la trinità non si può dire trina: perché allora in Dio ci sarebbero nove entità reali, il che è falso.
Quindi parlando di Dio non si deve usare il termine trinità.
In contrario: Dice S. Atanasio [Symb.] che "si deve venerare l'unità nella trinità e la trinità nell'unità".

Rispondo: Il termine trinità in Dio significa un determinato numero di persone.
Quindi, come si ammette la pluralità delle persone, così si deve ammettere la loro trinità: poiché ciò che il termine pluralità indica in modo indeterminato, [lo stesso, ma] in modo determinato, lo significa il termine trinità.

Soluzione delle difficoltà: 1. Il termine trinità, secondo la sua etimologia, pare che significhi l'unità di essenza delle tre persone, poiché trinità suona come trium unitas [unità di tre].
Tuttavia secondo il significato proprio della parola esprime piuttosto il numero delle persone di un'unica essenza. E per questo non possiamo dire che il Padre sia trinità, poiché non è tre persone. Non significa però le relazioni stesse delle persone, ma piuttosto il numero delle persone così riferite l'una all'altra. Per cui ne deriva che trinità, in forza del suo significato, non appartiene al genere dei termini relativi.
2. Il nome collettivo include nel suo significato due elementi, cioè la pluralità dei soggetti e una certa unità di un qualche ordine: infatti popolo è una moltitudine di uomini compresi sotto un certo ordine. Ora, quanto al primo elemento il termine trinità rientra nei nomi collettivi; quanto al secondo però ne differisce, poiché nella trinità divina non c'è solo unità di ordine, ma anche unità di essenza.
3. Trinità è un nome assoluto: poiché significa il numero ternario delle persone. Triplicità invece significa un rapporto di disuguaglianza: poiché, come si ricava dall'Aritmetica di Boezio [1, 23], è una specie di proporzione disuguale. Quindi in Dio non vi è triplicità, ma trinità.
4. Nella trinità divina c'è il numero e ci sono le persone numerate. Quando dunque diciamo trinità nell'unità non poniamo il numero nell'unità dell'essenza, quasi che questa sia tre volte una, ma poniamo le persone numerate nell'unità della natura, come quando diciamo che i soggetti di una natura sono in quella natura. Viceversa parliamo di unità nella trinità come di una data natura nei suoi soggetti.
5. L'espressione la trinità è trina, in ragione del numero che vi è implicito, indica che tale numero si moltiplica per se stesso, dato che trino include già la molteplicità delle realtà a cui viene applicato.
Quindi non si può dire che la trinità è trina: poiché se la trinità fosse trina ne verrebbe che vi sarebbero tre suppositi in ciascuno dei quali si troverebbe la trinità: come dall'espressione Dio è trino segue che tre sono i suppositi della Deità.

Articolo 2
Se il Figlio sia un altro rispetto al Padre
Sembra che il Figlio non sia un altro rispetto al Padre. Infatti:
1. Altro è termine relativo indicante diversità di sostanza. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, sembra che sia diverso dal Padre; ma ciò è contro S. Agostino [Trin. 7, 4], il quale afferma che con l'espressione tre persone "non vogliamo intendere alcuna diversità".
2. Tutti i soggetti che si distinguono per essere tra loro altri e altri, differiscono in qualcosa. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, ne segue che è differente dal Padre. Ora, ciò è contrario a quanto dice S. Ambrogio [De fide 1, 2]: "Il Padre e il Figlio sono una stessa cosa nella deità, e non c'è tra loro differenza di sostanza, né alcun'altra diversità".
3. Alieno [estraneo] deriva dal latino alius [altro]. Ma il Figlio non è alieno rispetto al Padre: infatti S. Ilario [De Trin. 7, 39] afferma che nelle persone divine "non c'è nulla di diverso, nulla di alieno, nulla di separabile". Quindi il Figlio non è un altro rispetto al Padre.
4. Alius [altro] e aliud [altra cosa] hanno lo stesso significato e differiscono solo per il genere diverso. Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, pare che sia anche un'altra cosa rispetto al Padre. In contrario: S. Agostino [De fide ad Petrum 1] dice: "Una è l'essenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale non è altra cosa il Padre, altra cosa il Figlio, altra cosa lo Spirito Santo; sebbene come persona altro sia il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo".

Rispondo: Siccome, al dire di S. Girolamo [cf. P. Lomb., Sent. 4, 13], col parlare impreciso si finisce col cadere nell'eresia, parlando della SS. Trinità bisogna procedere con cautela e modestia: poiché, secondo S. Agostino [De Trin. 1, 3], "in nessun altro argomento l'errore è più pericoloso, più faticosa la ricerca, più fruttuosa la scoperta". Ora, quando trattiamo della Trinità dobbiamo evitare, stando nel giusto mezzo, due opposti errori: quello di Ario, che poneva con la trinità delle persone anche una trinità di nature, e quello di Sabellio, che poneva con l'unità di natura anche l'unità di persona.
Per sfuggire all'errore di Ario dobbiamo evitare, parlando di Dio, i termini diversità e differenza, per non compromettere l'unità dell'essenza; possiamo invece usare il termine distinzione, data l'opposizione relativa [delle persone]. Per cui, se in qualche testo autentico della Scrittura ci imbattiamo nelle parole diversità o differenza applicate alle persone divine, le dobbiamo intendere come significanti distinzione. - -> Per non ledere dunque la semplicità dell'essenza divina sono da evitare i termini separazione e divisione, proprie di un tutto suddiviso in parti. Per non compromettere poi l'uguaglianza è da evitare la parola disparità.
E infine per non sopprimere la somiglianza si devono evitare i termini alieno e discrepante. S. Ambrogio [De fide 1, 2] infatti dice che nel Padre e nel Figlio "vi è un'unica divinità senza discrepanza". E S. Ilario, come si è riferito [ob. 3], afferma che in Dio "non c'è nulla di alieno e nulla di separabile". Per non cadere poi nell'errore di Sabellio dobbiamo evitare il termine singolarità, al fine di non negare la comunicabilità dell'essenza divina: per cui, secondo S. Ilario [l. cit.], "è sacrilego dire che il Padre e il Figlio sono un Dio singolare [isolato]". E dobbiamo anche evitare il termine unico, per non escludere il numero delle persone: per cui S. Ilario [l. cit.] afferma che "da Dio si esclude il concetto di singolarità e di unicità". Possiamo tuttavia dire unico Figlio: poiché in Dio non ci sono più Figli; non possiamo però dire unico Dio: poiché la deità è comune a più [persone]. Evitiamo anche l'aggettivo confuso, per non togliere l'ordine di natura tra le persone: cosicché S. Ambrogio [l. cit.] può affermare: "Né ciò che è uno è confuso, né può essere molteplice ciò che non ammette differenza".
Si deve anche evitare il termine solitario, per non distruggere la società delle tre persone. Dice infatti S. Ilario [De Trin. 4, 18]: "Dobbiamo confessare che Dio non è solitario, né diverso".-> Ora, il termine alius [altro], usato al maschile, non comporta se non la distinzione del soggetto: perciò possiamo correttamente dire che il Figlio è un altro rispetto al Padre: poiché è un altro soggetto della natura divina, come è un'altra persona e un'altra ipostasi.

Soluzione delle difficoltà: 1. Altro, poiché suona come un nome individuale, sta a indicare un soggetto: perciò a giustificarne l'uso basta la distinzione di sostanza presa nel significato di ipostasi o persona. La diversità invece richiede la distinzione di sostanza presa nel senso di essenza [o natura]. Quindi non possiamo dire che il Figlio è diverso dal Padre, quantunque sia un altro rispetto al Padre.
2. La differenza comporta una distinzione di forma. Ora, in Dio c'è solo una forma, come è chiaro dalle parole di S. Paolo [Fil 2, 6] [che, parlando del Figlio, dice]: "il quale, sussistendo nella forma di Dio...". Quindi l'aggettivo differente propriamente non può convenire a Dio, come risulta dal testo riportato [nell'ob.]. - Tuttavia il Damasceno [De fide orth. 3, 5], parlando delle persone divine, usa il termine differenza, in quanto le proprietà relative possono essere indicate come forme [differenti]: e perciò afferma che le ipostasi non differiscono tra di loro per la sostanza, ma per delle proprietà determinate. Però [in questo caso] differenza è presa nel senso di distinzione, come si è spiegato [nel corpo].
3. Alieno è ciò che è estraneo e dissimile. Ma tale significato non è incluso nella voce altro: perciò diciamo che il Figlio è un altro rispetto al Padre, sebbene non si possa affermare che sia alieno.
4. Il neutro è un genere indeterminato mentre il maschile, come pure il femminile, è determinato. Per questo giustamente si usa il neutro per indicare l'essenza comune, e il maschile e il femminile per indicare un certo soggetto determinato in una natura comune. Infatti, anche parlando dell'uomo, se si chiede: chi è questo?, si risponde, Socrate, che è il nome di un supposito; se invece si domanda: che cosa è questo?, si risponde: un animale razionale e mortale.
Quindi, siccome in Dio la distinzione riguarda le persone e non l'essenza, noi diciamo che il Padre è alius [altro] rispetto al Figlio, ma non aliud [cioè altra cosa]; e all'opposto diciamo che essi sono unum [una stessa cosa], ma non unus [un solo soggetto].

Articolo 3
Se in Dio a un termine essenziale si possa aggiungere la voce restrittiva solo
Sembra che in Dio ai termini essenziali non si possa aggiungere la voce restrittiva solo. Infatti:
1. Secondo il Filosofo [Elench. 2, 3], solo è "chi non è con altri". Ma Dio è con gli angeli e con le anime sante: perciò non possiamo dire che Dio è solo.
2. Tutto ciò che in Dio si aggiunge a un termine essenziale può essere attribuito tanto alle singole persone quanto a tutte e tre insieme: infatti, siccome con verità si può dire che Dio è sapiente, così possiamo dire: il Padre è Dio sapiente, e la SS. Trinità è Dio sapiente. Ora, S. Agostino [De Trin. 6, 9] afferma: "Va presa in considerazione la sentenza secondo cui il Padre non è il solo vero Dio". Quindi non si può dire Dio solo.
3. Se la voce solo viene aggiunta a un termine essenziale, ciò viene fatto in rapporto a un predicato o personale o essenziale. Ora, non [lo si può fare] in rapporto a un predicato personale: infatti la proposizione: solo Dio è Padre è falsa, poiché anche l'uomo è padre. E neppure in rapporto a un predicato essenziale. Perché se fosse vera la proposizione: solo Dio crea, sarebbe vera anche quest'altra: solo il Padre crea, poiché tutto ciò che si può dire di Dio si può dire anche del Padre. Ma quest'ultima proposizione è falsa, perché anche il Figlio è creatore.
Quindi, parlando di Dio, la voce solo non può essere aggiunta a un termine essenziale.

In contrario:S. Paolo [1 Tm 1, 17] dice: "Al Re dei secoli, al solo incorruttibile, invisibile e unico Dio [onore e gloria nei secoli dei secoli]".

Rispondo: La dizione solo può essere presa come categorematica e come sincategorematica.
Si dice categorematica quella dizione che in modo assoluto afferma di un soggetto il suo significato: come bianco è affermato dell'uomo nell'espressione l'uomo è bianco.
Se dunque la dizione solo è presa in questo senso, in Dio non può essere assolutamente aggiunta ad alcun termine: poiché ne affermerebbe la solitudine in senso assoluto, e così Dio sarebbe solitario; il che è contro quanto abbiamo già spiegato [a. prec.].
Si dice invece sincategorematica quella dizione che implica il rapporto del predicato col soggetto, come ogni o nessuno.
E così è per la dizione solo: poiché esclude ogni altro soggetto dalla partecipazione di quel predicato.- Come quando si dice: solo Socrate scrive, non si vuole intendere che Socrate sia solitario, ma che nessuno gli è compagno nello scrivere; quantunque si trovi in compagnia di molti. Ora, nulla impedisce di aggiungere a un termine essenziale in Dio la voce solo presa in questo senso, in quanto si esclude ogni altra cosa che non sia Dio dalla partecipazione di un predicato: come quando diciamo che solo Dio è eterno, poiché nient'altro all'infuori di Dio è eterno.

Soluzione delle difficoltà: 1. Sebbene gli angeli e le anime sante siano sempre con Dio, tuttavia senza la pluralità delle persone Dio sarebbe solo, cioè solitario. La solitudine infatti non è tolta dalla presenza di soggetti di diversa natura: come si usa dire che uno è solo nel giardino, sebbene vi siano molte piante e molti animali. E allo stesso modo, nonostante la presenza degli angeli e degli uomini, si potrebbe affermare che Dio è solo o solitario nella natura divina se non ci fossero più persone.
Quindi la compagnia degli angeli e delle anime non esclude da Dio la solitudine presa in senso assoluto; e molto meno la solitudine in senso relativo, cioè in rapporto a un predicato.
2. Propriamente parlando, l'aggettivo solo non si riferisce al predicato, che si applica come una forma: [solo] si riferisce infatti al soggetto, in quanto esclude altri soggetti da ciò a cui è aggiunto. Invece l'avverbio soltanto, essendo semplicemente restrittivo, può stare unito tanto al soggetto quanto al predicato. Infatti possiamo dire: soltanto Socrate corre, cioè nessun altro [corre], e anche: Socrate corre soltanto, cioè non fa nient'altro.
Perciò, volendo parlare con proprietà, non si può dire: il Padre è il solo Dio, oppure: la Trinità è il solo Dio, a meno che non si voglia sottintendere un'aggiunta nel predicato, p. es.: la Trinità è il Dio che è il solo Dio. E in tal modo potrebbe essere vera anche la proposizione: il Padre è quel Dio il quale solo è Dio, se il pronome relativo [il quale] si riferisce al predicato [Dio] e non al soggetto [Padre]. Ora, quando S. Agostino afferma che non il Padre, ma la SS. Trinità è il solo Dio, parla da commentatore, come se dicesse che il testo: "Al Re dei secoli, al solo invisibile Dio" non va riferito alla persona del Padre, ma a tutta la Trinità.
3. In ambedue i modi l'aggettivo solo può essere aggiunto a un termine essenziale. Infatti la proposizione solo Dio è Padre ha due significati. Poiché Padre può indicare la persona del Padre; e allora la proposizione è vera, dato che l'uomo non è quella persona. Oppure può indicare soltanto la relazione, e allora la proposizione è falsa, poiché la relazione di paternità si trova, sebbene non in senso univoco, anche in altri soggetti. - Così pure è vera anche quest'altra proposizione: solo Dio crea; ma non ne viene la conclusione: dunque solo il Padre. Poiché, come dicono i dialettici, la dizione restrittiva immobilizza il termine a cui viene applicata, in modo che non si possono sostituire ad esso i soggetti particolari [contenuti sotto quel termine universale]. Infatti dall'affermazione: solo l'uomo è un animale razionale mortale non si può concludere: dunque solo Socrate.

Articolo 4
Se una voce esclusiva possa essere aggiunta a un termine personale
Sembra che una voce esclusiva possa essere aggiunta a un termine personale, anche se il predicato è comune. Infatti:
1. Il Signore parlando al Padre dice [Gv 17, 3]: "Affinché conoscano te, solo vero Dio". Quindi solo il Padre è il vero Dio.
2. È detto nel Vangelo [Mt 11, 27]: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre", il che è come dire: solo il Padre conosce il Figlio. Ma conoscere il Figlio è una proprietà comune [a tutta la divinità]. Quindi vale la conclusione precedente.
3. La voce esclusiva non esclude quanto è racchiuso nel concetto stesso del termine a cui si unisce: per cui non ne esclude né la parte, né l'universale. Infatti se dico: solo Socrate è bianco, non posso concludere: dunque la sua mano non è bianca, oppure: dunque l'uomo non è bianco. Ora, una persona è inclusa nel concetto dell'altra: il Padre, p. es., nel concetto del Figlio e viceversa.
Quindi, per il fatto che si dice: il solo Padre è Dio non si esclude il Figlio o lo Spirito Santo. E così sembra che questo modo di esprimersi sia legittimo.
4. Inoltre la Chiesa canta: "Tu solo l'altissimo, Gesù Cristo".

In contrario: L'espressione, solo il Padre è Dio può essere spiegata in due maniere, cioè: il Padre è Dio, oppure: nessun altro fuorché il Padre è Dio. Ma questa seconda espressione è falsa: poiché il Figlio, che pure è Dio, è distinto dal Padre.
Quindi anche la proposizione: solo il Padre è Dio è falsa. E lo stesso si dica di altre proposizioni simili.

Rispondo: L'espressione: solo il Padre è Dio può essere intesa in più modi.
Se l'aggettivo solo afferma la solitudine del Padre, la proposizione è falsa, perché allora tale aggettivo è preso in senso categorematico [cf. a. 3].
Se invece è preso in senso sincategorematico, allora l'espressione può essere di nuovo intesa in vari modi.
Se [solo] esclude altri dalla partecipazione della forma del soggetto, allora [la proposizione solo il Padre è Dio] è vera, così da risultarne questo significato: colui con il quale nessun altro è Padre, è Dio. E così la spiega S. Agostino [De Trin. 6, 7] quando afferma: "Diciamo solo il Padre non perché sia separato dal Figlio o dallo Spirito Santo, ma perché, dicendo così, vogliamo intendere che essi insieme con lui non sono il Padre".
Tuttavia nel modo comune di parlare non si dà questo senso, a meno che non si sottintenda qualcosa, come se si dicesse: colui che solo è detto Padre, è Dio.
Nel suo significato proprio invece [l'aggettivo solo] esclude altri dal partecipare al [medesimo] predicato. E presa così la proposizione è falsa se esclude un altro al maschile [alium]; è vera invece se esclude altro al neutro [aliud]: poiché il Figlio è un altro rispetto al Padre, ma non un'altra cosa. E lo stesso si dica dello Spirito Santo.
Tuttavia, come si è detto [a. prec., ad 2], siccome l'aggettivo solo propriamente riguarda il soggetto, esso tende a escludere più alius che aliud. Per cui un tale modo di dire non va generalizzato, ma piamente spiegato se si trova in qualche testo autentico della Scrittura.

Soluzione delle difficoltà: 1. L'espressione te solo vero Dio non va intesa del solo Padre, ma di tutta la Trinità, come spiega S. Agostino [De Trin. 6, 9].
Oppure, se viene intesa della persona del Padre, non esclude le altre persone, data l'unità dell'essenza: cioè quel solo esclude, come si è detto [nel corpo], solamente aliud [al neutro, cioè un'altra cosa].
2. Altrettanto si dica a proposito della seconda difficoltà. Data infatti l'unità dell'essenza, quando si dice qualcosa di essenziale del Padre non si esclude il Figlio, né lo Spirito Santo. - Si deve però badare che nel testo riferito il termine nessuno, contrariamente a quanto potrebbe far credere la parola, non equivale a nessun uomo (poiché in tal caso non ci sarebbe motivo di eccettuare la persona del Padre): invece, secondo l'uso ordinario della lingua, esso è preso in senso distributivo per qualunque natura razionale.
3. Una voce esclusiva non esclude le varie cose che rientrano nel concetto del termine a cui si unisce purché esse, come le parti e l'universale, non differiscano quanto al soggetto. Ma il Figlio e il Padre sono due soggetti distinti: quindi il paragone non regge.
4. Non si dice in modo assoluto che solo il Figlio è l'altissimo, ma che è "il solo altissimo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre".


SEGUE.....





Una stretta di [SM=g1902224]



Pierino





[Modificato da mlp-plp 10/03/2010 14:52]
contatto skype: missoltino 1
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