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Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
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Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"

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Parte 4:




LA NOSTRA CONOSCENZA DELLE PERSONE DIVINE

Logicamente passiamo ora a trattare della conoscenza che possiamo avere delle divine Persone.
E a questo riguardo si pongono quattro quesiti:
1. Se con la ragione naturale si possano conoscere le Persone divine;
2. Se si debbano attribuire alle Persone divine delle nozioni;
3. Sul numero di queste nozioni;
4. Se circa le nozioni si possano avere opinioni differenti.

Articolo 1
Se la trinità delle divine Persone possa essere conosciuta con la sola ragione naturale
Sembra che con la sola ragione naturale si possa conoscere la Trinità delle Persone divine. Infatti:
1. I filosofi non giunsero alla conoscenza di Dio se non con la ragione naturale: ora, risulta che essi hanno detto molte cose sulla Trinità delle Persone.
Infatti Aristotele [De caelo 1, 1] afferma: "Con questo numero", cioè col tre, "ci industriamo di magnificare il Dio uno, superiore a tutte le perfezioni delle realtà create". - E S. Agostino [Conf. 7, 9] riferisce: "E io vi lessi", cioè nei libri dei Platonici, "non con queste parole, ma in sostanza, che vi sono molte e molteplici ragioni per persuadersi che in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio", e altre simili cose egli riporta con cui viene indicata esattamente la pluralità delle Persone divine.
Anche la Glossa [interlin. su Rm 1, 20; Es 8, 19] [spiegando il fatto] che i maghi del Faraone fallirono al terzo segno [aggiunge]: cioè mancarono nella conoscenza della terza Persona, ossia dello Spirito Santo: dunque ne conobbero almeno due.
Anche Trismegisto [Poemand. 4] disse: "La monade generò la monade e rifletté in se stessa il suo calore": con le quali parole si viene a indicare la generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. Quindi con la sola ragione si possono conoscere le Persone divine.
2. Afferma Riccardo di S. Vittore [De Trin. 1, 4]: "Ritengo per indubitato che qualsiasi verità possa essere provata non solo con argomenti probabili, ma anche con ragioni apodittiche".
Per cui alcuni vollero provare anche la Trinità delle Persone appellandosi all'infinita bontà di Dio, che [soltanto] nella processione delle Persone divine si comunica in modo infinito.
Altri invece si rifecero al principio che "senza la compagnia di altri non può essere veramente gioioso il possesso di un bene qualsiasi" [Seneca, Epist. 6]. E anche S. Agostino [De Trin. 9, 4 ss.] spiega la Trinità delle Persone con la processione del verbo e dell'amore nella nostra anima: ed è la via che anche noi abbiamo seguìto [q. 27, aa. 1, 3].
Quindi la Trinità delle Persone può essere conosciuta con la sola ragione naturale.
3. Sarebbe superfluo rivelare all'uomo ciò che non può essere conosciuto con la ragione umana. Ma non si può dire che la divina rivelazione del mistero della Trinità sia superflua. Quindi la Trinità delle Persone divine può essere conosciuta dalla ragione umana.

In contrario: Dice S. Ilario [De Trin. 2, 9]: "Non pensi l'uomo di poter penetrare con la sua intelligenza il mistero della [eterna] generazione".
E S. Ambrogio [De fide 1, 10]: "È impossibile capire il mistero della generazione [divina]: la mente viene meno, la voce tace".
Ma come si è dimostrato [q. 30, a. 2], è appunto in base alle origini per generazione e processione che si distinguono le Persone divine.
Quindi si conclude che la Trinità delle Persone non può essere conosciuta con la ragione, dal momento che l'uomo non è in grado di conoscere e di raggiungere con la sua intelligenza se non ciò che offre la possibilità di una dimostrazione cogente.

Rispondo: È impossibile giungere alla conoscenza della Trinità delle Persone divine con la sola ragione naturale.
Si è infatti dimostrato sopra [q. 12, aa. 4, 11, 12] che l'uomo con la sola ragione non può giungere alla conoscenza di Dio se non per mezzo delle creature. Ora, queste conducono a Dio come gli effetti alle loro cause.
Quindi con la ragione naturale si possono conoscere di Dio soltanto quei dati che necessariamente gli convengono per il fatto di essere egli il principio di tutte le cose; e su questo criterio ci siamo basati nel trattato su Dio [q. 12, a. 12]. Ora, la virtù creatrice è comune a tutta la Trinità: quindi appartiene all'unità dell'essenza e non alla pluralità delle persone.
Perciò con la ragione naturale si può conoscere solo quanto fa parte dell'essenza, e non ciò che appartiene alla pluralità delle Persone.
Quelli poi che tentano di dimostrare la Trinità delle Persone con la ragione naturale compromettono la fede in due modi.
Primo, ne compromettono la dignità, poiché la fede ha per oggetto cose del tutto invisibili, che superano la capacità della ragione umana. L'Apostolo infatti [Eb 11, 1] afferma che "la fede è di cose che non si vedono". E altrove [1 Cor 2, 6]: "Tra i perfetti parliamo sì di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta".
Secondo, ne compromettono l'efficacia nell'attirare altri alla fede. Se infatti per indurre a credere si portano delle ragioni che non sono cogenti, ci si espone alla derisione di coloro che non credono: poiché costoro penseranno che noi ci appoggiamo su tali argomenti per credere.
Per tale motivo dunque tutto ciò che è di fede va provato soltanto con i testi [della Scrittura], per coloro che la riconoscono.
Per gli altri invece basta difendere la non assurdità di quanto la fede insegna.
Quindi Dionigi [De div. nom. 2] ammonisce: "Se qualcuno non cede all'autorità della parola di Dio, è del tutto estraneo e lontano dalla nostra filosofia. Se invece ammette la verità della parola", cioè di quella divina, "è con noi, giacché noi pure ci serviamo di tale regola".

Soluzione delle difficoltà: 1. I filosofi non conobbero il mistero della Trinità delle divine Persone per quello che è ad esse proprio, cioè la paternità, la filiazione e la processione, secondo le parole dell'Apostolo [1 Cor 2, 6]: "Parliamo di una sapienza divina, che nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscere", cioè nessuno dei filosofi, come spiega la Glossa [interlin.].
Conobbero tuttavia alcuni attributi essenziali che vengono appropriati alle varie persone, come la potenza al Padre, la sapienza al Figlio e la bontà allo Spirito Santo, come vedremo più avanti [q. 39. a. 7].
Perciò l'espressione di Aristotele: "Ci industriamo di magnificare Dio con questo numero" non va intesa nel senso che egli ponesse il numero tre in Dio, ma vuole soltanto dire che gli antichi usavano il tre nei sacrifici e nelle preghiere per una certa sua perfezione.
Nei libri dei Platonici poi l'espressione: "In principio era il verbo" non sta a indicare il verbo che in Dio è una persona generata, ma soltanto il verbo che è l'idea astratta [e archetipa della realtà], secondo la quale tutte le cose furono fatte, e che viene attribuita per appropriazione al Figlio.
E sebbene [i filosofi] abbiano conosciuto gli attributi appropriati alle tre persone, si dice tuttavia che fallirono al terzo segno, cioè nella conoscenza della terza Persona, perché deviarono dalla bontà che viene appropriata allo Spirito Santo quando, come dice S. Paolo [Rm 1, 21], pur avendo conosciuto Dio, "non lo glorificarono come Dio". Oppure perché i Platonici ponevano un primo essere, che chiamavano padre di tutto l'universo, e dopo di lui un'altra sostanza a lui soggetta, che chiamavano mente o intelletto del padre, nella quale c'erano le idee di tutte le cose, come riferisce Macrobio [Super somn. Scip. 1, cc. 2, 6]: però non parlavano in alcun modo di una terza sostanza distinta che potesse in certo qual modo corrispondere allo Spirito Santo.
Noi invece non ammettiamo che il Padre e il Figlio differiscano in tal modo per natura, ma questo fu l'errore di Origene e di Ario, che in ciò si lasciarono guidare dai Platonici.
Quanto poi all'affermazione di Trismegisto, che cioè "la monade generò la monade e rifletté in se stessa il suo calore", essa non va riferita alla generazione del Figlio e alla processione dello Spirito Santo, ma all'origine del mondo, poiché il Dio unico produsse un unico universo per l'amore di se medesimo.
2. Si può portare un argomento per due scopi.
Primo, per provare in modo rigoroso un dato principio: come nelle scienze naturali si portano argomenti rigorosi per dimostrare che il moto dei cieli ha sempre una velocità uniforme.
Secondo, si può portare un argomento non per dimostrare scientificamente un dato principio, ma soltanto per far vedere come siano legati intimamente al principio, posto [come assioma], gli effetti che ne derivano: come in astronomia si ammettono gli eccentrici e gli epicicli perché, accettata questa ipotesi, si può dare ragione delle irregolarità che nel moto dei corpi celesti appaiono ai sensi; tuttavia questo argomento non è cogente, poiché forse [tali irregolarità] potrebbero essere spiegate anche ammettendo un'altra ipotesi.
Sono dunque del primo genere le ragioni che si portano per provare l'unità di Dio e altre simili verità.
Invece gli argomenti con i quali si vuole provare la Trinità appartengono all'altro genere: supposta infatti la Trinità, quelle ragioni ne mostrano la congruenza, ma non sono sufficienti a provare la Trinità delle Persone.
E ciò appare chiaramente esaminando i singoli argomenti.
Infatti l'infinita bontà di Dio si manifesta anche nella sola produzione delle creature: poiché solo una potenza infinita è capace di produrre dal nulla. Perché infatti Dio si comunichi con infinita bontà non è necessario che da lui proceda un infinito, ma basta che la cosa prodotta partecipi la bontà divina secondo tutta la propria capacità. -Così quel detto: "Senza compagnia non è del tutto gioioso il possesso di un bene", è vero quando in una persona non si trova la bontà nella sua perfezione, e quindi essa ha bisogno della bontà di un altro a sé associato per raggiungerne il pieno godimento. - La somiglianza poi del nostro intelletto con quello divino non prova nulla in modo cogente, dato che l'intelletto non è univoco in Dio e in noi. - Per questo dunque S. Agostino [In Ioh. ev. tract. 27, 7] dice che la fede dà la scienza, ma la scienza non dà la fede.
3. La conoscenza delle Persone divine ci fu necessaria per due motivi.
Primo, per avere un giusto concetto della creazione. Dicendo infatti che Dio ha fatto le cose mediante il Verbo si evita l'errore di quanti dicevano che Dio le ha create per necessità di natura.
E con il porre in Dio la processione dell'amore si indica che egli non ha prodotto le creature per qualche sua indigenza o per qualche causa [a lui] estrinseca, ma solo per amore della sua bontà. Per cui Mosè, dopo aver detto [Gen 1, 1] che "in principio Dio creò il cielo e la terra", aggiunge: "Dio disse: Sia la luce", per far conoscere il Verbo. E continua: "Vide Dio che la luce era cosa buona", per mostrare l'approvazione dell'amore divino. E così [sta scritto] per le altre creature.
Secondo, e principalmente, perché si abbia una giusta idea della redenzione del genere umano, avvenuta con l'Incarnazione del Figlio e l'effusione dello Spirito Santo.

Articolo 2 Se in Dio si debbano ammettere delle nozioni
Sembra che in Dio non si debbano ammettere delle nozioni. Infatti:
1. Dionigi [De div. nom. 1, 1] scrive: "Non si deve avere l'ardire di attribuire a Dio qualcosa all'infuori di ciò che è espresso nella Scrittura". Ma nella Scrittura non si fa cenno delle nozioni. Quindi queste non vanno attribuite a Dio.
2. Tutto ciò che viene attribuito a Dio appartiene o all'unità dell'essenza o alla trinità delle persone. Ora, le nozioni non appartengono né all'unità dell'essenza, né alla trinità delle persone. Infatti non si predicano delle nozioni gli attributi dell'essenza, poiché non si dice che la paternità è sapiente o che crea; e neppure quelli delle persone: poiché non diciamo che la paternità genera o che la filiazione è generata. Perciò le nozioni non vanno attribuite a Dio.
3. Essendo ciò che è semplice conosciuto per se stesso, non gli si devono attribuire dei termini astratti [come le nozioni], che sono [soltanto] mezzi per conoscere. Ora, le persone divine sono semplicissime. Non si devono quindi ammettere delle nozioni nella divinità.

In contrario: Dice S. Giovanni Damasceno [De fide orth. 3, 5]: "Noi rileviamo la differenza delle ipostasi", cioè delle persone, "dalle tre proprietà della paternità, della filiazione e della processione". Quindi in Dio vanno ammesse le proprietà e le nozioni.

Rispondo: Il Prevostino, badando alla semplicità delle Persone divine, pensò che a Dio non si dovessero attribuire le nozioni, e dove le trovava prendeva l'astratto per il concreto: come infatti usiamo dire prego la tua benignità invece che [prego] te benigno, così quando si dice paternità in Dio si intenderebbe Dio Padre.
Però, come si è già dimostrato [q. 3, a. 3, ad 1; q. 13, a. 1, ad 2], nel parlare di Dio non si pregiudica affatto alla sua semplicità con l'uso dei termini astratti e concreti, poiché noi denominiamo le cose nel modo in cui le conosciamo. Ora, il nostro intelletto non può giungere alla semplicità divina considerata in se stessa, e quindi le realtà divine le apprende e le denomina secondo la sua natura, cioè al modo delle realtà sensibili dalle quali dipende il suo conoscere. Ora in queste per indicare le sole forme usiamo termini astratti, mentre per indicare le realtà sussistenti usiamo termini concreti.
Quindi, come si è detto [ib.], anche le realtà divine a motivo della loro semplicità le designamo con termini astratti, e a motivo della loro sussistenza e completezza con termini concreti.
È poi necessario esprimere all'astratto o al concreto non solo i termini essenziali, dicendo deità e Dio, o sapienza e sapiente, ma anche quelli personali, dicendo paternità e Padre.
E a questo ci obbligano principalmente due motivi.
Primo, le obiezioni degli eretici. Infatti noi professiamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un Dio solo e tre Persone; allora, come alla domanda: che cos'è che li fa essere un solo Dio?, si risponde che è la natura o deità, così si dovette ricorrere ad altri termini astratti per spiegare in forza di che cosa le persone si distinguono. E tali sono appunto le proprietà o nozioni, espresse all'astratto, come la paternità e la filiazione. Per questo in Dio la natura viene espressa come un quid [o sostanza], la persona invece come un quis [o soggetto] e la proprietà come un quo [cioè come una forma].
Secondo, perché in Dio una stessa persona, il Padre, si riferisce a due persone, cioè al Figlio e allo Spirito Santo. Ora, non [può farlo] con una sola relazione: perché allora anche il Figlio e lo Spirito Santo si riferirebbero al Padre con una stessa relazione, e così ne seguirebbe che il Figlio e lo Spirito Santo non sarebbero due persone distinte, poiché le sole relazioni distinguono le persone della Trinità.
E non si può neppure dire con il Prevostino che, come Dio ha riferimento alle creature in un modo solo, mentre le creature si riferiscono a lui in modi diversi, così il Padre con un'unica relazione si riferisce al Figlio e allo Spirito Santo, mentre questi due si riferiscono a lui con due relazioni. Infatti non si può dire che due relazioni sono specificamente diverse se nel termine correlativo corrisponde loro una sola relazione, dato che la relazione consiste essenzialmente nel suo riferirsi all'altro termine: è infatti necessario che le relazioni di padrone e di padre siano specificamente distinte secondo la diversità della servitù e della filiazione.
Ora, tutte le creature si riferiscono a Dio con la stessa relazione specifica, quella cioè di sue creature; invece il Figlio e lo Spirito Santo non si riferiscono al Padre con delle relazioni di identica natura: per cui non è la stessa cosa.
Di più, come si è già spiegato [q. 28, a. 1, ad 3], non c'è motivo di porre che la relazione fra Dio e le creature sia reale; che poi quelle di ragione siano molte non presenta inconvenienti. Invece la relazione del Padre al Figlio e allo Spirito Santo deve essere reale.
Per cui è necessario che alle due relazioni del Figlio e dello Spirito Santo verso il Padre corrispondano nel Padre due relazioni, una verso il Figlio e l'altra verso lo Spirito Santo
. Di conseguenza, essendo unica la persona del Padre, si dovettero indicare separatamente con termini astratti le relazioni, denominate appunto proprietà e nozioni.

Soluzione delle difficoltà: 1. Sebbene nella Sacra Scrittura non si parli delle nozioni, tuttavia vi si nominano le Persone, nelle quali queste nozioni si trovano come l'astratto nel concreto.
2. Le nozioni in Dio non stanno a indicare delle realtà concrete, ma [soltanto] delle forme ideali che servono a far conoscere le Persone, sebbene queste nozioni o relazioni esistano realmente in Dio, come si è spiegato [q. 28, a. 1].
Quindi tutto quanto dice ordine a qualche atto essenziale o personale non può essere attribuito alle nozioni, poiché il significato particolare di queste ultime non lo comporta. Per cui non si può dire che la paternità genera o crea, e neppure che è sapiente o intelligente.-> Invece si possono attribuire alle nozioni gli attributi essenziali che non hanno uno stretto rapporto con un atto, ma escludono soltanto da Dio le condizioni delle creature: così possiamo dire che la paternità è eterna o immensa, e altre simili affermazioni. E allo stesso modo, data la loro identità reale, i sostantivi personali o essenziali si possono predicare delle nozioni: infatti si può dire: la paternità è Dio, la paternità è il Padre.
3. Quantunque le Persone divine siano semplicissime, tuttavia, senza pregiudicare tale loro semplicità, si possono esprimere in termini astratti le ragioni [o i costitutivi] delle persone, come si è già detto [nel corpo].

Articolo 3
Se le nozioni siano cinque
Sembra che le nozioni non siano cinque. Infatti:
1. Le nozioni proprie delle Persone sono le relazioni che le distinguono; ma queste sono soltanto quattro, come si è detto [q. 28, a. 4]: quindi anche le nozioni sono soltanto quattro.
2. Dio è detto uno perché l'essenza è una, e trino perché le persone sono tre. Se dunque in Dio vi sono cinque nozioni, egli dovrebbe dirsi cinquino: ma ciò è inammissibile.
3. Se essendo tre le persone le nozioni sono cinque, è necessario che in qualche persona vi siano due o più nozioni: come nella persona del Padre si ammette la innascibilità, la paternità e la spirazione comune.
Ora, queste tre nozioni differiscono o realmente o concettualmente.
Se differiscono realmente, allora la persona del Padre è composta di più cose.
Se invece differiscono soltanto concettualmente, allora una potrà predicarsi dell'altra, e come diciamo che la bontà di Dio è la sua sapienza, non differendo realmente l'una dall'altra, così potremmo dire che la spirazione comune è la paternità: ma ciò non può essere ammesso. Quindi le nozioni non possono essere cinque.

In contrario: 4. Pare che siano più [di cinque].
Come infatti ammettiamo la nozione di innascibilità per il fatto che il Padre non procede da nessuno, così si deve ammettere una sesta nozione per il fatto che dallo Spirito Santo non procede un'altra persona.
5. Come è comune al Padre e al Figlio che da essi proceda lo Spirito Santo, così è comune al Figlio e allo Spirito Santo il procedere dal Padre. Come quindi si ammette una nozione comune al Padre e al Figlio [la spirazione comune], così se ne deve ammettere anche una comune al Figlio e allo Spirito Santo [la comune processione].

Rispondo: Si chiama nozione la ragione formale che serve a fare conoscere una persona divina. Ora, la pluralità delle persone divine dipende dall'origine. Ma il concetto di origine comporta un principio [a quo alius] e un termine [qui ab alio]: e da questi due lati si può conoscere una persona.
Quindi non si può conoscere la persona del Padre perché deriva da un altro, ma perché non deriva da nessuno.
E da questo lato la sua nozione è l'innascibilità.
In quanto poi da lui derivano altri, [il Padre] si manifesta in due modi. Poiché in quanto da lui procede il Figlio si rende noto mediante la nozione di paternità, e in quanto da lui procede lo Spirito Santo si rende noto mediante la nozione di spirazione comune. Si viene invece a conoscere il Figlio per il fatto che deriva da un altro nascendo: e così egli si rende noto mediante la filiazione. In quanto poi un altro, cioè lo Spirito Santo, procede da lui, si rende noto allo stesso modo del Padre, cioè mediante la spirazione comune. Si viene infine a conoscere lo Spirito Santo in quanto procede da un altro o da altri: e così egli si rende noto mediante la processione. Non [lo si viene invece a conoscere] per il fatto che un altro sia da lui: poiché nessuna persona divina procede da lui.
Dunque in Dio vi sono cinque nozioni, cioè,
# l'innascibilità,
# la paternità,
# la filiazione,
# la spirazione comune e
# la processione.
Di queste solo quattro sono relazioni, poiché l'innascibilità è una relazione solo per riduzione, come si dirà in seguito [q. 33, a. 4, ad 3].
Quattro sole sono anche le proprietà: poiché la spirazione comune, per ciò stesso che conviene a due persone, non è una proprietà.
Tre soltanto poi sono nozioni personali, cioè costitutive delle persone, e precisamente la paternità, la filiazione e la processione: infatti la spirazione comune e l'innascibilità sono nozioni di persone, ma non personali, come vedremo meglio in seguito [q. 40, a. 1, ad 1].

Soluzione delle difficoltà: 1. Oltre alle quattro relazioni bisogna ammettere, come si è spiegato [nel corpo], un'altra nozione [l'innascibilità].
2. L'essenza divina e le persone divine sono espresse come certe realtà; le nozioni invece sono espresse come ragioni formali che notificano le persone. Quindi, sebbene si dica che Dio è uno per l'unità dell'essenza e trino per la trinità delle persone, non si può dire cinquino per le cinque nozioni.
3. Siccome soltanto l'opposizione delle relazioni produce una pluralità reale in Dio, più proprietà di una stessa persona non si distinguono realmente, poiché tra loro non esiste opposizione di relazioni. Tuttavia non si predicano l'una dell'altra, dato che stanno a indicare formalità diverse della stessa persona: come anche non diciamo che l'attributo della potenza è l'attributo della scienza, sebbene diciamo che la scienza è la potenza.
4. [S. c.]. Come si è visto [q. 29, a. 3, ad 2], la persona comporta dignità, perciò non si può ritenere come nozione dello Spirito Santo il fatto che non proceda da lui un'altra Persona. Ciò infatti non conferisce nulla alla sua dignità, come [invece] il non essere da altri mette in evidenza l'autorità del Padre.
5. [S. c.]. Il Figlio e lo Spirito Santo non hanno in comune un unico e speciale modo di essere originati dal Padre, come [invece] il Padre e il Figlio hanno in comune un modo speciale di produrre lo Spirito Santo. Ora, ciò che è causa della conoscenza [di una persona] deve essere qualcosa di speciale: perciò il paragone non regge.

Articolo 4
Se siano permesse opinioni contrastanti circa le nozioni
Sembra che non siano permesse opinioni contrastanti circa le nozioni. Infatti:
1. S. Agostino [De Trin. 1, 3] dice che "in nessun altro caso è tanto pericoloso l'errore" come in materia di Trinità, alla quale materia certamente appartengono le nozioni. Ma non si danno opinioni in contrasto senza che si abbia l'errore. Quindi non è lecita la libertà di opinione sulle nozioni.
2. Mediante le nozioni si conoscono le persone, come si è spiegato [aa. 2, 3]. Ma circa le persone non è lecito seguire opinioni contrastanti. Quindi neppure circa le nozioni.

In contrario: Negli articoli di fede non vi è nulla che riguardi le nozioni. Quindi a proposito delle nozioni è lecito pensare in un modo o in un altro.

Rispondo: Una cosa può appartenere alla fede in due modi.
Primo, direttamente, in qualità di oggetto principale della rivelazione divina, come l'unità e la trinità di Dio, l'incarnazione del Figlio di Dio e simili. E [naturalmente] è un'eresia sostenere un'opinione erronea su tali argomenti, specialmente se vi si unisce l'ostinazione.
Indirettamente invece appartengono alla fede quelle cose dalla cui negazione deriva qualche conseguenza contraria alla fede: come ad es. se qualcuno negasse che Samuele fu figlio di Elcana: infatti ne verrebbe che la divina Scrittura contiene degli errori.
Quindi su quanto appartiene alla fede in questo secondo modo uno può seguire opinioni erronee senza pericolo di eresia prima che venga considerato o sia stato determinato che da ciò segue qualcosa di contrario alla fede; e tanto più se non vi aderisce con ostinazione.
Se però è chiaro, e specialmente se è stato determinato dalla Chiesa, che da tali idee deriva qualcosa di contrario alla fede, in tal caso il ritenerle sarebbe eresia.
Per questo molte sentenze che prima non venivano ritenute eretiche, ora invece lo sono, poiché adesso si vedono più chiaramente le conseguenze che ne derivano.
Perciò si deve concludere che anche circa le nozioni alcuni, senza pericolo di eresia, poterono seguire opinioni contrastanti, non intendendo essi sostenere con ciò nulla di contrario alla fede. Se però uno ne avesse un'opinione sbagliata avvertendo che ne deriva qualcosa di contrario alla fede, costui cadrebbe nell'eresia. E con ciò risulta evidente la risposta alle difficoltà.


SEGUE....





Una stretta di [SM=g1902224]




Pierino





[Modificato da mlp-plp 10/03/2010 15:20]
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