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Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
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Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"

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parte 5:



LA PERSONA DEL PADRE

Logicamente passiamo ora a trattare delle singole persone in particolare [cf. q. 29, Prol.]. E in primo luogo della persona del Padre.
A questo proposito si pongono quattro quesiti:
1. Se il Padre possa denominarsi principio;
2. Se la persona del Padre sia indicata in modo proprio col nome di Padre;
3. Se, parlando di Dio, si usi la parola Padre più come termine personale che come termine essenziale;
4. Se sia proprio del Padre essere non generato.

Articolo 1
Se il Padre possa dirsi principio
Sembra che il Padre non possa dirsi principio del Figlio o dello Spirito Santo. Infatti:
1. Secondo il Filosofo [Met. 3, 2], principio e causa sono la stessa cosa. Ma non diciamo che il Padre è causa del Figlio. Quindi non si deve neppure dire che ne sia principio.
2. Principio si dice in rapporto al principiato. Se dunque il Padre è principio del Figlio, ne segue che il Figlio è principiato, e per conseguenza creato. Ma ciò è falso.
3. La denominazione di principio si fonda su una priorità. Ma in Dio, come dice S. Atanasio [Symb.], "non c'è né prima né poi". Quindi parlando di Dio non dobbiamo usare il nome di principio.

In contrario: S. Agostino [De Trin. 4, 20] afferma che "il Padre è il principio di tutta la divinità".

Rispondo: Il termine principio non significa altro che ciò da cui qualcosa procede: infatti tutto ciò da cui procede qualcosa in qualunque modo lo diciamo principio, e viceversa. Ora, siccome il Padre è uno da cui altri procedono, ne segue che è principio.

Soluzione delle difficoltà: 1. I Greci, parlando di Dio, usano indifferentemente i nomi di causa e di principio.
I Dottori latini invece non usano il termine causa, ma solo quello di principio. E la ragione sta in questo, che principio è più generico di causa, come causa è più generico di elemento. Il primo punto o la prima parte di una cosa si dice infatti suo principio, ma non sua causa.
Ora, come si è detto [q. 13, a. 11], quanto più un nome è generico, tanto meglio si presta a indicare le realtà divine: perché quanto più i nomi sono precisi, tanto più accentuano il modo di essere delle creature.
Per cui il termine causa implica una diversità di natura e la dipendenza di una cosa da un'altra: [dipendenza] che non è inclusa nel termine principio. Infatti in ogni genere di causa si trova sempre una distanza in perfezione o virtù tra la causa e ciò di cui essa è causa. Invece usiamo il termine principio anche dove non c'è questa differenza, ma soltanto un certo ordine. Come quando diciamo che il punto è il principio della linea, o anche quando diciamo che la prima parte della linea è il principio della linea.
2. I Greci usano dire che il Figlio e lo Spirito Santo sono principiati: questo però non è l'uso dei nostri Dottori. Perché sebbene noi attribuiamo al Padre una certa autorità in quanto principio tuttavia, al fine di evitare ogni occasione di errore, non attribuiamo al Figlio e allo Spirito Santo nulla che possa significare subordinazione o inferiorità. E in questo senso S. Ilario [De Trin. 9, 54] scrive: "Il Padre è maggiore per la dignità di donatore, ma il Figlio, al quale il Padre dà il suo stesso essere, non è minore".
3. Sebbene il termine principio, quanto alla sua etimologia, possa sembrare desunto da una priorità, tuttavia non significa priorità, ma origine. Come infatti si è spiegato [q. 13, a. 2, ad 2; a. 8], il senso di una parola non corrisponde sempre alla sua etimologia.

Articolo 2
Se il nome Padre sia il nome proprio di una persona divina
Sembra che il nome Padre non sia il nome proprio di una persona divina. Infatti:
1. Padre è un nome che indica relazione. Ma la persona è una sostanza individuale. Quindi padre non sta a indicare il nome proprio di una persona.
2. Generante è più generico di padre: poiché ogni padre è generante, ma non viceversa. Ora, come si è già detto precedentemente [a. prec., ad 1], i nomi più comuni e più indeterminati sono più adatti, quando parliamo delle realtà divine. Quindi per indicare una persona divina sono più adatti i termini di generante e di genitore che non quello di padre.
3. Un'espressione metaforica non può essere il nome proprio di nessuno. Ma nell'uomo soltanto per metafora il verbo [mentale] viene chiamato parto o prole [della mente], per cui soltanto in senso metaforico si chiama padre chi lo produce. Quindi neppure in Dio si può chiamare Padre in senso proprio colui che è il principio del Verbo.
4. Ciò che è attribuito alla divinità in senso proprio si predica di Dio prima che delle creature. Ma la generazione va attribuita alle creature prima che a Dio: poiché si ha generazione in senso più proprio quando una cosa deriva da un'altra e si distingue da essa non soltanto in forza di una relazione, ma anche per la sostanza. Quindi il nome di Padre, che viene desunto dalla generazione, non sembra che possa essere il nome proprio di una persona divina.

In contrario: È detto nei Salmi [88, 27]: "Egli mi invocherà: Tu sei mio Padre".

Rispondo: Il nome proprio di una persona significa ciò che la distingue da tutte le altre. Come infatti nel concetto di uomo rientrano l'anima e il corpo, così nel concetto di questo uomo rientrano questa anima e questo corpo, come dice Aristotele [Met. 7, 10]: poiché in forza di essi questo uomo si distingue da tutti gli altri. Ora, ciò che distingue la persona del Padre da tutte le altre è la paternità.
Quindi il termine Padre, che esprime la paternità, è il nome proprio della persona del Padre.

Soluzione delle difficoltà: 1. In noi la relazione non è una persona sussistente: perciò nelle creature il nome padre non significa una persona, ma solo una relazione della persona. Invece in Dio non è così, come falsamente credettero alcuni: infatti la relazione indicata dal termine Padre è [in questo caso] una persona sussistente. Per cui sopra [q. 29, a. 4] abbiamo detto che in Dio il termine persona significa la relazione in quanto sussistente nella natura divina.
2. Ogni cosa, come dice il Filosofo [De anima 2, 4], va denominata specialmente in base alla perfezione e al fine. Ora, la generazione indica semplicemente il divenire, mentre la paternità significa la generazione già completa. Quindi è più adatto per la persona divina il nome di Padre che non quello di generante o genitore.
3. Il nostro verbo [mentale] non è un sussistente di natura umana, per cui non può essere detto propriamente generato o figlio. Invece il Verbo divino è un sussistente di natura divina: per cui in senso proprio, e non per metafora, viene chiamato Figlio, e Padre il suo principio.
4. I nomi di generazione e di paternità, come tutti gli altri nomi che vengono attribuiti a Dio in senso proprio, vanno riferiti prima a Dio che alle creature se si guarda al significato, sebbene non [sia così] se si guarda al loro modo di significare. Quindi l'Apostolo [Ef 3, 14 s.] dice: "Piego le ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ogni paternità in cielo e in terra prende nome". Il che può vedersi così. È chiaro che la generazione viene specificata dal suo termine, che è la forma [o natura] dell'essere generato. E quanto più questa è vicina alla natura del generante, tanto più vera e perfetta risulta la generazione: infatti la generazione univoca è più perfetta di quella non univoca proprio perché appartiene al concetto di generante produrre un essere di forma [o natura] simile alla propria. Quindi anche il fatto che nella generazione divina la forma del generante e del generato sia la stessa numericamente, mentre nelle creature non è la stessa di numero, ma solo di specie, dimostra che la generazione, e di conseguenza la paternità, si trova prima in Dio che nelle creature. Per cui il fatto stesso che in Dio la distinzione tra generante e generato sia data solo da [una diversità di]
relazioni fa vedere meglio quanto sia vera la generazione e la paternità divina.

Articolo 3
Se parlando di Dio il nome Padre sia usato in primo luogo come nome personale
Sembra che parlando di Dio non si usi il nome Padre primariamente come nome personale. Infatti:
1. Ciò che è comune, nel nostro modo di intendere, precede quanto è proprio. Ora il termine Padre, preso come nome personale, è il nome proprio della persona del Padre; invece preso come nome essenziale è comune a tutta la Trinità, poiché a tutta la Trinità diciamo: Padre nostro.
Dunque il termine Padre è usato in primo luogo come nome essenziale e non personale.
2. Un termine che si applica secondo la stessa nozione a più cose non può essere attribuito primariamente [all'una] e secondariamente [all'altra]. Ma la paternità e la filiazione sembra che si dicano sia in quanto una persona divina è Padre del Figlio, sia in quanto tutta la Trinità è Padre di noi o della creatura: poiché al dire di S. Basilio [Hom. 15 de fide] il ricevere è comune alle creature e al Figlio.
Quindi in Dio il termine Padre non viene usato come nome personale prima che come nome essenziale.
3. Non si possono confrontare tra loro attribuzioni non fondate sullo stesso motivo. Ora, il Figlio viene confrontato con le creature a motivo della filiazione o della generazione, secondo le parole di S. Paolo [Col 1, 15]: "Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura". Quindi in Dio non si può considerare la paternità prima come termine personale e poi come termine essenziale, ma allo stesso modo.

In contrario: L'eternità precede il tempo. Ma da tutta l'eternità Dio è Padre del Figlio, mentre soltanto dal principio del tempo è Padre delle creature. Quindi la paternità si attribuisce a Dio prima rispetto al Figlio e poi rispetto alle creature.

Rispondo: Un termine viene attribuito al soggetto che ne esaurisce appieno tutto il significato prima che ad altri soggetti che ne partecipano solo in una certa misura: ad essi infatti viene applicato per la somiglianza [che hanno] con quello in cui si trova in tutto il suo significato, poiché ogni imperfetto deriva da ciò che è perfetto.
Come il termine leone si dice primariamente dell'animale, in cui si trova appieno tutto ciò che è incluso nel concetto di leone, e che quindi viene detto leone in senso proprio; gli uomini invece, nei quali si trova solo qualche qualità del leone, come l'audacia, la forza e simili, vengono detti leoni solo in senso metaforico.
Ora, come si è detto [q. 27, a. 2; q. 28, a. 4], il concetto di paternità e di filiazione si trova perfettamente in Dio Padre e in Dio Figlio, poiché identica ne è la natura e la gloria. Invece nella creatura la filiazione rispetto a Dio non si riscontra secondo una modalità perfetta, non essendo identica la natura del Creatore e della creatura, ma secondo una certa quale somiglianza. E quanto più è perfetta questa [somiglianza], tanto più si avvicina al vero concetto di filiazione.
Infatti di alcune creature, cioè delle irrazionali, Dio è detto padre solo per quella somiglianza che è un semplice vestigio; come ad es., leggiamo nella Scrittura [Gb 38, 28]: "Ha forse un padre la pioggia? o chi ha generato le stille della rugiada?". Di altre invece, cioè delle creature razionali, è padre per quella somiglianza che è un'immagine, secondo quelle parole [Dt 32, 6]: "Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito?".
Di alcune creature inoltre è padre per quella somiglianza che è la grazia, e [tali creature] sono anche chiamate figli adottivi, in quanto sono ordinate all'eredità della gloria eterna mediante il dono di grazia ricevuto, come dice l'Apostolo [Rm 8, 16 s.]: "Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio; e se figli, anche eredi". Di alcuni infine [è padre] per quella somiglianza che è la gloria [eterna], in quanto essi possiedono già l'eredità della gloria, secondo quelle altre parole di S. Paolo [Rm 5, 2]: "Ci vantiamo nella speranza della gloria dei figli di Dio". Così dunque è chiaro che in Dio la paternità si dice primariamente in quanto è relazione di Persona a Persona, e non in quanto indica un rapporto di Dio alle creature.

Soluzione delle difficoltà: 1. Secondo il nostro modo di intendere, i termini comuni assoluti precedono i termini propri, essendo inclusi in essi, e non viceversa: pensando infatti alla persona del Padre si pensa [necessariamente] a Dio, ma non viceversa.
Invece i termini comuni che esprimono relazione alle creature sono posteriori a quelli propri che indicano una relazione personale: poiché in Dio la persona che procede, procede in qualità di principio delle creature.
Come infatti l'idea concepita dall'artefice precede l'opera compiuta, che viene riprodotta a immagine e somiglianza di tale idea, così il Figlio procede dal Padre prima delle creature, alle quali poi si attribuisce la filiazione in quanto esse partecipano della somiglianza del Figlio, come attesta S. Paolo [Rm 8, 29]: "Quelli che da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo".
2. Si può dire che ricevere è comune alle creature e al Figlio non in senso univoco, ma per una lontana somiglianza, in ragione della quale egli è chiamato "primogenito delle creature".
Quindi in quel testo S. Paolo, dopo aver detto che alcuni "furono predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo", soggiunge: "perché egli sia il primogenito tra molti fratelli". Ma colui che è Figlio di Dio per natura, a differenza degli altri, ha questo di particolare, cioè di possedere per natura ciò che riceve, come dice anche S. Basilio [l. cit.]. E per questo motivo viene denominato unigenito [Gv 1, 18]: "Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato".
E così è risolta anche la terza difficoltà.

Articolo 4
Se essere ingenito sia una proprietà [esclusiva] del Padre
Sembra che non sia una proprietà [esclusiva] del Padre di essere ingenito. Infatti:
1. Ogni proprietà aggiunge qualcosa al soggetto a cui appartiene. Ora, essere ingenito [o non generato] non aggiunge, ma esclude soltanto qualcosa dal Padre. Quindi non significa una proprietà del Padre.
2. Ingenito può essere preso in senso negativo o privativo. Se è preso in senso negativo, allora tutto ciò che non è derivato per generazione può essere detto ingenito. Ora, né lo Spirito Santo né l'essenza divina derivano per generazione. Quindi appartiene anche a loro di essere ingeniti: e così non si tratta di una proprietà [esclusiva] del Padre. - Se invece è preso in senso privativo, allora ne viene che la persona del Padre dovrebbe essere imperfetta, poiché ogni mancanza significa un'imperfezione. Ma ciò è inconcepibile.
3. Il termine ingenito attribuito a Dio non significa una relazione, non essendo un termine relativo: dunque indica la natura [divina]. E allora ingenito e generato differiscono secondo la natura. Ma il Figlio, che è generato, non differisce dal Padre secondo la natura. Quindi il Padre non deve dirsi ingenito.
4. Proprietà è ciò che conviene a uno solo. Ma essendoci in Dio più di una persona a procedere da altre, pare che nulla impedisca che vi sia anche più di una persona non originata da altre. Quindi essere non-generato non è una proprietà del Padre.
5. Il Padre, come è principio della persona generata, così lo è anche di quella che procede. Se dunque per opposizione alla persona generata si ammette che sia una proprietà del Padre quella di essere non-generato, si dovrebbe ammettere che egli abbia anche come proprietà quella di essere non-procedente.

In contrario: Dice S. Ilario [De Trin. 4, 33]: "È uno da uno", cioè l'Unigenito dall'Ingenito, "per le rispettive proprietà dell'innascibilità e dell'origine".

Rispondo: Come nelle realtà create abbiamo un principio primo e un principio secondo, così nelle persone divine, tra le quali però non esiste anteriorità e posteriorità, c'è il principio non da altro principio che è il Padre, e il principio da altro principio, che è il Figlio.
Ora, nelle realtà create un principio primo si manifesta come tale in due modi:
primo, per il suo rapporto di priorità rispetto alle cose che da esso derivano;
secondo, per il fatto che non deriva da altri.
E così il Padre si manifesta [come primo principio] in rapporto alle persone che procedono da lui mediante la paternità e la comune spirazione; si manifesta invece come principio non da principio per il fatto che non deriva da altri. E ciò appartiene alla proprietà dell'innascibilità, espressa con il termine ingenito.

Soluzione delle difficoltà: 1. Alcuni dicono che l'innascibilità, espressa dal termine ingenito, in quanto è una proprietà del Padre non ha solo un senso negativo, ma implica simultaneamente due cose: che cioè il Padre non è da altri e che gli altri derivano da lui; oppure implica la sua fecondità universale; o anche la sua pienezza fontale.
Però ciò non sembra vero.
Perché allora l'innascibilità non sarebbe una proprietà diversa dalla paternità e dalla spirazione, ma le includerebbe in sé, come un termine più universale include quello particolare: infatti la pienezza fontale e la fecondità non possono significare altro in Dio che il principio dell'origine.
Perciò diciamo con S. Agostino [De Trin. 5, 7] che ingenito sta a indicare la negazione della generazione passiva: infatti egli afferma che "è lo stesso dire ingenito e non figlio". Né da ciò si deve concludere che essere ingenito non sia una nozione propria del Padre: le realtà semplici e prime vengono espresse infatti mediante negazioni; il punto, p. es., viene definito come "ciò che non ha parti".
2. Qualche volta il termine ingenito è preso nel significato di pura negazione.
E in questo senso S. Girolamo dice che lo Spirito Santo è ingenito, cioè non generato.
Altre volte invece è preso in senso privativo, senza però che ciò comporti imperfezione alcuna. La mancanza può infatti verificarsi in vari modi.
Primo, quando il soggetto non ha ciò che altri possiedono per natura, ma che per lui non è naturale, come quando diciamo che la pietra è morta perché manca di quella vita che altre cose naturalmente possiedono.
Secondo, quando un soggetto non ha ciò che per natura è posseduto da altri dello stesso genere: come quando si dice che la talpa è cieca.
Terzo, quando un soggetto non ha ciò che esso stesso per natura dovrebbe avere: e in questo caso la mancanza include un'imperfezione.
Non è però in quest'ultimo senso privativo che ingenito si dice del Padre, ma nel secondo, in quanto cioè un'ipostasi di natura divina non è generata mentre un'altra è generata.
Però in questo senso ingenito si può dire anche dello Spirito Santo.
Quindi, perché sia proprio soltanto del Padre, bisogna ulteriormente includere nel termine ingenito l'idea che la Persona divina di cui viene detto sia principio di altre persone: in modo da venire a negare [implicitamente] che il Padre sia principiato come persona divina.
Oppure si può includere nel termine ingenito l'idea che [il Padre] non solo non è da altro per generazione, ma non lo è in alcun modo. Essere ingenito in questo modo infatti non conviene né allo Spirito Santo, che come persona sussistente deriva da altri per processione, né all'essenza divina, di cui si può dire che è nel Figlio e nello Spirito Santo come derivante da altri, cioè dal Padre.
3. Secondo il Damasceno [De fide orth. 1, 8], ingenito qualche volta equivale a increato: e allora è un attributo sostanziale [cioè della natura], e distingue la natura increata da quella creata.
Altre volte invece significa non derivato per generazione: e allora è un attributo relativo [cioè della persona], ma per riduzione, alla maniera in cui le negazioni si possono ridurre alle affermazioni corrispondenti: come non-uomo si riporta al genere della sostanza, e nonbianco a quello della qualità.
Quindi, siccome generato in Dio è un termine relativo, così anche ingenito è un termine relativo. E così non segue che il Padre, essendo ingenito, si distingua dal Figlio secondo la natura, ma solo secondo la relazione, in quanto cioè si nega al Padre la relazione di Figlio.
4. Come in qualsiasi genere di cose c'è un primo, così nella natura divina c'è un primo principio che non è da altri, e che è detto ingenito. Ammettere pertanto due innascibilità significa ammettere due Dèi e due nature divine. Quindi S. Ilario [De synod., can. 26] afferma: "Siccome Dio è uno solo, non possono essere due gli innascibili". E questo soprattutto perché, se fossero due, uno non potrebbe derivare dall'altro, e così non si distinguerebbero per opposizione relativa, ma dovrebbero distinguersi per diversità di natura.
5. La proprietà del Padre di non derivare da altri si indica meglio escludendo da lui la generazione del Figlio che non la processione dello Spirito Santo. Sia perché la processione dello Spirito Santo non ha un nome particolare, come si è detto [q. 27, a. 4, ad 3], sia perché presuppone naturalmente la generazione del Figlio. Quindi, escluso che il Padre, che pure è il principio della generazione, sia generato, ne viene di conseguenza che non è neppure procedente per la processione propria dello Spirito Santo: poiché lo Spirito Santo non è principio della generazione, ma procedente dal generato.


SEGUE....






Una stretta di [SM=g1902224]




Pierino





[Modificato da mlp-plp 10/03/2010 15:21]
contatto skype: missoltino 1
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