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Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
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Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"



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Parte 6:


LA PERSONA DEL FIGLIO

Passiamo a considerare la persona del Figlio [cf. q. 33, Prol.].
Ad essa sono dati tre nomi: Figlio, Verbo e Immagine. Però il termine Figlio è già chiarito in quello di Padre.
Quindi non restano da considerare che i termini di Verbo e di Immagine.
A proposito del Verbo si pongono tre quesiti:
1. Se Verbo in Dio sia un nome essenziale o personale;
2. Se sia un nome esclusivo del Figlio;
3. Se nel termine Verbo sia incluso anche un rapporto con le creature.

Articolo 1
Se in Dio il nome Verbo sia personale
Sembra che Verbo in Dio non sia un nome personale. Infatti:
1. I nomi personali, come Padre e Figlio, vengono attribuiti a Dio presi nel loro senso proprio. Invece, come dice Origene [In Ioh. 1], il verbo è attribuito a Dio solo in senso metaforico. Quindi in Dio non è un nome personale.
2. Secondo S. Agostino [De Trin. 9, 10], "il Verbo è conoscenza con amore". E secondo S. Anselmo [Monol. 63], "per lo Spirito sommo il dire non è che un intuire pensando". Ma conoscenza, pensamento e intuito vengono attribuiti a Dio come termini essenziali. Quindi il verbo non è attribuito a Dio come termine personale.
3. È proprio del verbo essere detto. Eppure, come insegna S. Anselmo [Monol. 62], allo stesso modo in cui intende il Padre, intende il Figlio e intende lo Spirito Santo; e così dice il Padre, dice il Figlio e dice lo Spirito Santo. E parimenti ciascuno di essi è detto. Quindi il nome di verbo si dice dell'essenza divina e non di una persona.
4. Nessuna delle persone divine è fatta. Ma il verbo divino è qualcosa di fatto, poiché nei Salmi [148, 8] sta scritto: "Fuoco, grandine, neve, nebbia, vento di bufera, che fanno il suo verbo". Quindi verbo non è il nome di una persona divina.

In contrario: Insegna S. Agostino [De Trin. 7, 2]: "Come il Figlio dice relazione al Padre, così anche il Verbo a colui di cui è il Verbo". Ma Figlio è un nome personale, perché relativo. Quindi anche Verbo.

Rispondo: Se il termine Verbo è preso in senso proprio, in Dio è un nome personale, e in nessun modo essenziale.
Per capire questo si deve notare che noi prendiamo il termine verbo in tre sensi propri, mentre un quarto senso è improprio o metaforico.
Più comunemente, e in modo più ovvio, chiamiamo verbo [cioè parola] ciò che viene espresso con suoni vocali.
Ma esso proviene dal nostro interno quanto ai due elementi che si riscontrano nel verbo esterno, cioè la voce stessa e il suo significato.
Infatti, secondo il Filosofo [Periherm. 1, 1], la voce significa il concetto della mente; ed essa ancora nasce dall'immaginazione [cf. De anima 2, 8]. Invece i suoni vocali che non significano nulla non possono essere detti parola [verbo].
Quindi la voce esteriore è detta verbo [o parola] perché esprime il concetto interiore della mente.
Di qui si ha che in primo luogo e principalmente si dice verbo il concetto interno della mente, secondariamente la voce che lo esprime e in terzo luogo il fantasma [o immagine sensibile interiore] della voce [che servirà ad esprimerlo].
E queste tre accezioni del verbo sono indicate dal Damasceno [De fide orth. 1, 13] quando egli afferma che "si chiama verbo quel moto naturale della mente per cui essa è in atto, pensa e intende, e che ne è come la luce e lo splendore": prima accezione.
"Ancora, il verbo è ciò che" non si proferisce con la bocca, ma "si pronuncia nel cuore": terza accezione.
"Finalmente il verbo è ancora l'angelo", cioè il nunzio, "dell'intelligenza": seconda accezione.
In senso traslato poi, o metaforico, si dice verbo [o parola], quarta accezione, la stessa cosa significata o fatta mediante la parola: come quando per indicare semplicemente un fatto o per accennare a un comando siamo soliti dire: questo è il verbo che ti ho detto, o [il verbo] che fu comandato dal re.
Ora, in Dio il verbo in senso proprio indica il concetto dell'intelletto. Quindi S. Agostino [De Trin. 15, 10] afferma: "Chi è in grado di capire che cosa sia il verbo non solo prima che risuoni, ma anche prima che il suono si rivesta di un'immagine nella fantasia, può già intravvedere una certa sembianza di quel Verbo di cui fu detto: In principio era il Verbo".
Ora, lo stesso verbo mentale ha la proprietà di procedere da altro, cioè dalla conoscenza di chi lo ha concepito. Se quindi il verbo si applica a Dio in senso proprio significa qualcosa che procede da altro: e questa è una caratteristica dei nomi personali, poiché le persone divine si distinguono appunto in base alle origini, come si è già spiegato [q. 27, Prol.; q. 32, a. 3].
Quindi si deve dire che il nome Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un nome non essenziale, ma solo personale.

Soluzione delle difficoltà: 1. Gli Ariani, che fanno capo a Origene [cf. q. 32, a. 1, ad 1], sostennero che il Figlio è diverso dal Padre nella sostanza.
Quindi si sforzarono di dimostrare che il Figlio di Dio non viene detto Verbo in senso proprio, per non essere costretti a riconoscere che il Figlio di Dio, procedendo come verbo, non è estraneo alla sostanza del Padre: infatti il verbo interiore procede da chi lo esprime in modo da rimanere in lui.
Ma se si ammette in Dio un verbo in senso metaforico bisogna anche ammetterne uno in senso proprio.
Infatti una cosa non può essere detta metaforicamente verbo se non a motivo di una manifestazione: cioè o perché manifesta come manifesta il verbo, oppure perché è da questo manifestata. Ma se è manifestata dal verbo, allora è necessario ammettere il verbo che la manifesta.
Se invece viene detta verbo perché manifesta esteriormente, allora ciò che è così esteriormente manifestato non può essere detto verbo se non in quanto esprime l'interiore concetto della mente, che uno manifesta anche con segni esteriori. Quindi, sebbene qualche volta, parlando di Dio, il verbo sia preso in senso metaforico, tuttavia bisogna porre in lui un Verbo in senso proprio, che viene detto in modo personale.
2. Nulla di quanto appartiene all'intelletto è attribuito a Dio in senso personale, eccetto il solo Verbo: poiché soltanto il verbo significa una cosa che emana da un'altra.
Infatti il verbo è ciò che l'intelletto forma in se stesso nell'intendere.Invece l'intelletto stesso in quanto è in atto mediante la specie intelligibile è da concepirsi come qualcosa di assoluto.
E altrettanto si deve dire dell'intendere, il quale sta all'intelletto in atto come l'essere sta alle cose attualmente esistenti: infatti l'intendere significa un'azione che non esce dal soggetto, ma resta in esso.
Quando dunque si dice che il Verbo è notizia [o conoscenza], notizia qui non sta per l'atto dell'intelletto che conosce o per qualche suo abito, ma per ciò che l'intelligenza concepisce nel conoscere. Per cui anche S. Agostino [De Trin. 7, 2] afferma che il Verbo è "la sapienza generata": che poi si identifica con il concetto di chi conosce, concetto che a sua volta può essere detto "notizia generata".
E allo stesso modo si può spiegare [l'espressione di S. Anselmo] che dire, per Dio, è "un intuire pensando ", cioè nel senso che mediante l'intuizione del pensiero divino viene concepito il Verbo di Dio. Però, propriamente parlando, al Verbo di Dio non si può applicare con proprietà il termine pensiero. Dice infatti S. Agostino [De Trin. 15, 16]: "Il Verbo di Dio è detto Verbo, e non pensiero: affinché non si creda che in Dio ci sia qualcosa di mutevole, che ora prenda una forma per diventare verbo e ora la lasci, e così cambi di forme senza ritenerne alcuna". Il pensare, infatti, consiste nella ricerca del vero, e questa non si può trovare in Dio. Quando invece è giunto alla verità, l'intelletto non ricerca più, ma si ferma a contemplarla. Quindi Anselmo prende il pensare in senso improprio, come sinonimo di contemplare.
3. In Dio sia il Verbo, sia il dire, si riferiscono, come termini propri, alle persone e non all'essenza.
Come quindi il Verbo non è comune al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, così non è vero che il Padre, e il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo dicente. Per cui S. Agostino [De Trin. 7, 1] afferma: "In Dio non si deve intendere che ciascuno sia il dicente di quel Verbo coeterno ". Invece l'essere detto conviene a ogni persona, poiché non si dice soltanto il verbo, ma anche la cosa che con tale verbo è intesa e significata.
Così dunque in Dio l'essere detto come verbo conviene a una sola persona; invece l'essere detto come cosa intesa nel verbo e col verbo conviene a tutte e tre le divine persone. Il Padre infatti, intendendo se stesso, il Figlio e lo Spirito Santo e ogni altra cosa contenuta nella sua scienza, concepisce il Verbo: e così tutta la Trinità e ogni creatura viene detta con il Verbo; come l'intelletto umano dice la pietra con il verbo che ha concepito intendendo la pietra.
S. Anselmo invece prende dire in senso improprio, come equivalente di intendere.
E tuttavia sono cose diverse.
L'intendere infatti indica soltanto un rapporto di chi intende alla cosa intesa; rapporto che non include alcuna idea di origine, ma solo una certa informazione, in quanto il nostro intelletto diviene attualmente intelligente mediante la forma della cosa intesa.
Ora, in Dio [l'intendere] comporta un'assoluta identità: poiché in Dio, come si è detto sopra [q. 14, aa. 2, 4], l'intelletto e ciò che esso intende sono assolutamente la stessa cosa. Invece dire comporta principalmente un rapporto al verbo mentale: infatti dire non è altro che proferire il verbo; tuttavia mediante il verbo implica un rapporto alla cosa intesa, la quale nella parola [o verbo] si manifesta a chi intende.
E così in Dio solo la persona che proferisce il Verbo dice, mentre le singole persone e intendono e sono intese, e di conseguenza sono dette nel Verbo.
4. Nel passo citato verbo è preso in senso metaforico, in quanto si dice verbo anche ciò che da esso è significato e fatto. Si dice infatti che le creature fanno il verbo [o la parola] di Dio in quanto eseguiscono effetti a cui sono state ordinate dal Verbo concepito dalla divina sapienza: come si dice che uno fa la parola del re quando compie ciò che gli è stato intimato dalla parola del re.

Articolo 2
Se Verbo sia un nome proprio del Figlio
Sembra che Verbo non sia un nome proprio del Figlio. Infatti:
1. In Dio il Figlio è una persona sussistente. Ma come si vede anche in noi, il verbo non è qualcosa di sussistente. Quindi Verbo non può essere un nome proprio del Figlio.
2. Il verbo deriva per una certa emissione da chi lo esprime. Se dunque il Figlio è Verbo in senso proprio, procede dal Padre soltanto come emissione. Ma questa è precisamente l'eresia di Valentino, come riferisce S. Agostino [De haeres. 11].
3. I nomi propri di una persona esprimono qualche proprietà della medesima. Se dunque Verbo è un nome proprio del Figlio deve indicare una sua proprietà, e allora verrebbero a esserci in Dio più proprietà di quelle che abbiamo già determinato [q. 32, a. 3].
4. Chiunque intende, intendendo produce il verbo. Ora, [anche] il Figlio intende. Quindi vi sarà anche un verbo del Figlio. E allora essere Verbo non sarà una qualifica propria del Figlio.
5. S. Paolo [Eb 1, 3] afferma che il Figlio "tutto sostiene con il verbo della sua potenza": dalle quali parole S. Basilio [Adversus Eunom. 5, 11] deduce che lo Spirito Santo è il verbo del Figlio. Quindi l'essere Verbo non è una proprietà esclusiva del Figlio.

In contrario: S. Agostino [De Trin. 6, 2] dice: "Verbo indica solo il Figlio".

Rispondo: Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un termine o nome proprio della persona del Figlio. Infatti esso significa una emanazione intellettuale, e la persona che in Dio procede per emanazione intellettuale è detta Figlio, e tale emanazione è detta generazione, come si è già spiegato [q. 27, a. 2]. Resta quindi che in Dio soltanto il Figlio è detto propriamente Verbo.

Soluzione delle difficoltà: 1. In noi non è la stessa cosa il nostro essere e il nostro intendere: quindi ciò che in noi ha la natura di intelligibile non appartiene alla nostra essenza.
Invece in Dio il suo essere si identifica con il suo intendere: per cui il Verbo di Dio non è un suo accidente o effetto, ma appartiene alla sua stessa natura. E così è necessario che sia qualcosa di sussistente, poiché tutto ciò che si trova nell'essenza divina è sussistente. Quindi il Damasceno [De fide orth. 1, 13] dice che il Verbo divino "è sostanziale ed ente ipostatico: gli altri verbi invece", cioè i nostri, "sono proprietà dell'anima".
2. L'errore di Valentino, secondo quanto riferisce S. Ilario [De Trin. 6, 9], non fu condannato perché costui aveva detto che il Figlio è dal Padre per emissione, come calunniosamente dicevano gli Ariani, ma per il modo speciale di emissione che egli poneva, come risulta da S. Agostino [l. cit.].
3. Nel nome di Verbo è indicata la stessa proprietà che in quello di Figlio: per cui S. Agostino può affermare: "È detto Verbo per lo stesso motivo per cui è detto Figlio". La stessa nascita infatti, che è la proprietà personale del Figlio, viene indicata con diversi nomi per esprimere sotto vari aspetti tutta la sua perfezione.
Così per indicare che [il Figlio] è consostanziale al Padre è detto Figlio; per indicare che è eterno come il Padre è detto splendore; per mettere in evidenza la perfetta somiglianza [con il Padre] è detto immagine; per sottolineare la perfetta immaterialità della sua generazione è detto Verbo. Poiché non era possibile trovare un nome che da solo esprimesse tutti questi aspetti.
4. L'intendere appartiene al Figlio come gli appartiene di essere Dio: poiché, come si è detto [a. prec., ad 2, 3], l'intendere è un attributo divino essenziale.
Però egli è Dio generato e non Dio generante. E così il Figlio intende, ma non quale generatore di un verbo, bensì quale verbo procedente: in Dio infatti il Verbo non si distingue realmente dall'intelletto divino, ma si distingue solo per la relazione [di origine] da colui che è il principio del Verbo.
5. Quando si dice che il Figlio "tutto sostiene col verbo della sua potenza", qui verbo va preso in senso figurato come effetto del verbo [o della parola]. Quindi la Glossa [interlin. e ord.] dice che qui verbo sta per comando, in quanto cioè è effetto della virtù del Verbo che le cose siano conservate nell'essere, come fu un effetto della potenza del Verbo che venissero prodotte. S. Basilio poi, nell'usare il termine verbo per lo Spirito Santo, si espresse con una parola impropria e metaforica, chiamando cioè verbo di un soggetto tutto ciò che serve a manifestarlo: e in questo senso lo Spirito Santo, manifestando il Figlio, può essere detto verbo del Figlio.

Articolo 3
Se nel nome Verbo sia incluso un rapporto alle creature
Sembra che nel nome Verbo non sia incluso un rapporto alle creature. Infatti:
1. I nomi divini che accennano a un effetto nelle creature si riferiscono all'essenza. Ora Verbo, come si è detto [a. 1], è un termine personale e non essenziale. Quindi non include alcun rapporto alle creature.
2. I nomi che esprimono una relazione alle creature si attribuiscono a Dio a cominciare dall'inizio del tempo, come ad es. Signore e Creatore. Ma Verbo si attribuisce a Dio da tutta l'eternità. Esso quindi non include un rapporto alle creature.
3. Il Verbo [necessariamente] dice relazione al soggetto dal quale procede. Se quindi il Verbo comportasse una relazione alle creature dovrebbe procedere da esse.
4. [In Dio] le idee [archetipe] sono tante quanti sono i rapporti alle creature. Se dunque il Verbo include un rapporto alle creature, ne segue che in Dio non ci sarà un solo Verbo, ma molti.
5. Se il Verbo comporta un ordine alle creature, ciò proviene soltanto dalla conoscenza che Dio ne ha. Ora, Dio non conosce solamente le cose che sono, ma anche le cose che non sono. Quindi nel Verbo sarebbe incluso anche un rapporto a ciò che non è, il che evidentemente è falso.

In contrario: S. Agostino [Lib. LXXXIII quaest. 63] afferma che nel nome di Verbo "viene indicato non solo un rapporto al Padre, ma anche a quelle cose che mediante il Verbo furono prodotte dalla potenza operativa [di Dio]".

Rispondo: Nel Verbo è incluso un rapporto alle creature. Dio infatti conoscendo se stesso conosce ogni creatura. Ora, il verbo mentale rappresenta tutto ciò che attualmente si conosce. Ed è per questo che in noi ci sono tanti verbi quante sono le cose che conosciamo.
Ma Dio con un unico atto conosce se stesso e tutte le altre cose: perciò l'unico Verbo esprime non soltanto il Padre, ma anche tutte le creature. E come la scienza divina in rapporto a Dio è soltanto conoscitiva e in rapporto alle creature è conoscitiva e operativa, così il Verbo divino in rapporto a quanto si trova essenzialmente nel Padre è soltanto espressivo, e in rapporto alle creature è espressivo e operativo. Per cui nei Salmi [32, 9] sta scritto: "Egli parla e tutto è fatto": poiché il Verbo include l'idea di modello di quanto Dio fa.

Soluzione delle difficoltà: 1. Il nome di persona include indirettamente anche la natura: infatti la persona è una sostanza individuale di natura razionale. Quindi il nome di una persona divina in quanto esprime una relazione personale non include un rapporto alle creature, ma lo include [indirettamente] per il fatto che indica anche la natura.
Ora, nulla impedisce che [la persona] in quanto implica l'essenza includa un rapporto alle creature: poiché come è proprio del Figlio di essere Figlio, così gli è proprio di essere Dio generato, ovvero Creatore generato. E in questo modo il termine Verbo include un rapporto alle creature.
2. Siccome le relazioni sorgono dalle azioni, alcuni nomi, quelli cioè che esprimono un'azione che da Dio passa negli effetti esterni, come creare e governare, indicano una relazione alle creature; e tali nomi si dicono di Dio a cominciare dall'inizio del tempo. Invece altri nomi esprimono delle relazioni nate da operazioni che non passano sugli effetti esterni, ma rimangono nel soggetto, come sapere e volere: e questi non si attribuiscono a Dio a cominciare dall'inizio del tempo [ma da tutta l'eternità].
Ora, il Verbo sta a indicare questa seconda specie di relazioni con le creature. E neppure è vero che tutti i nomi che implicano una relazione alle creature si attribuiscono a Dio a cominciare dall'inizio del tempo, ma solo quei nomi che esprimono delle relazioni originate da qualche azione di Dio che passa negli effetti esterni.
3. Le creature non sono conosciute da Dio mediante una scienza da esse desunta, ma mediante la sua stessa essenza.
Quindi, sebbene il Verbo esprima le creature, non ne segue che proceda da esse.
4. Il termine idea sta a indicare principalmente un rapporto alle creature, per cui quando si parla di Dio è usato al plurale, e non è un nome personale.
Il termine Verbo [o Parola] invece sta principalmente a significare il rapporto con colui che [lo] dice, e di conseguenza il rapporto con le creature: in quanto Dio, intendendo se stesso, intende tutte le creature.
E così in Dio il Verbo è uno solo, ed è un nome personale.
5. Anche il Verbo di Dio, come la scienza di Dio, abbraccia le realtà non esistenti: poiché, come insegna S. Agostino [De Trin. 15, 14], nel Verbo di Dio non manca nulla di quanto si trova nella scienza di Dio. Tuttavia delle realtà esistenti il Verbo è espressivo e fattivo; di quelle non esistenti invece è espressivo e manifestativo.


L'IMMAGINE

Parliamo ora dell'Immagine.
Riguardo ad essa si pongono due quesiti:
1. Se l'Immagine applicata a Dio sia un nome personale;
2. Se tale nome sia proprio del Figlio.

Articolo 1
Se l'Immagine in Dio sia un nome personale
Sembra che l'Immagine in Dio non sia un nome personale. Infatti:
1. S. Agostino [De fide ad Petrum 1] dice: "È unica la divinità e l'immagine della SS. Trinità a somiglianza della quale fu fatto l'uomo". Quindi immagine è un nome essenziale e non personale.
2. S. Ilario [De synod., can. 1] afferma che "l'immagine è una specie somigliantissima della cosa riprodotta". Ma specie, o forma, in Dio è un termine essenziale. Quindi lo è anche immagine.
3. Immagine viene da imitare, che indica un prima e un poi. Ma fra le Persone divine non c'è un prima e un poi. Quindi immagine in Dio non può essere un nome personale.

In contrario: Scrive S. Agostino [De Trin. 7, 1]: "Ci può essere qualcosa di più assurdo che prendere immagine come termine assoluto?". Quindi in Dio immagine è un nome relativo. E di conseguenza è un termine che si riferisce alla persona.

Rispondo: Per avere l'immagine è richiesta la somiglianza.
Però non basta una somiglianza qualsiasi, ma si richiede o la somiglianza nella specie, o almeno in un segno caratteristico della specie.
Ora, il segno caratteristico della specie nelle realtà corporali è principalmente la figura: infatti vediamo che le diverse specie di animali hanno figure differenti, ma non [necessariamente] colori diversi. Per cui se su di una parete si stende il colore di una certa cosa, non si dirà che questa rappresentazione ne è l'immagine, se non ne rappresenta la figura. - Tuttavia per avere l'immagine non basta neppure la somiglianza nella specie o nella figura, ma si richiede anche l'origine: poiché, come dice S. Agostino [Lib. LXXXIII quaest. 74], un uovo non è l'immagine di un altro uovo, poiché non è ricavato da esso.
Quindi, affinché una cosa sia veramente l'immagine [di un'altra], è necessario che ne derivi rassomigliando ad essa nella specie, o almeno nel segno della specie.
Ora, in Dio tutto ciò che indica processione od origine è personale. Quindi Immagine è un nome personale.

Soluzione delle difficoltà: 1. Si dice immagine in senso proprio quella cosa che deriva da un'altra rassomigliando ad essa. La cosa invece da cui fu presa la somiglianza viene detta propriamente esemplare, e solo impropriamente immagine.
Tuttavia S. Agostino, nel dire che la divinità della Trinità Santissima è l'immagine riprodotta nell'uomo, volle usare immagine in questo senso [improprio].
2. Il termine specie, posto da S. Ilario nella definizione dell'immagine, sta per forma derivata in un soggetto da un altro soggetto. In questo modo infatti l'immagine può essere detta specie di qualcosa, come si dice forma di qualcosa la realtà stessa che gli è simile, in quanto ha una forma che gli assomiglia.
3. Imitazione, quando si parla delle Persone divine, non significa posteriorità, ma soltanto rassomiglianza.

Articolo 2
Se Immagine sia un nome proprio del Figlio
Sembra che immagine non sia un nome proprio del Figlio. Infatti:
1. Il Damasceno [De fide orth. 1, 13] dice che lo Spirito Santo è "immagine del Figlio". Quindi [immagine] non è un nome proprio del Figlio.
2. Secondo S. Agostino [Lib. LXXXIII quaest. 74] rientrano nel concetto di immagine la somiglianza e l'espressione. Ma ciò conviene anche allo Spirito Santo: poiché anch'egli procede da altri secondo somiglianza. Quindi anche lo Spirito Santo è immagine. Quindi essere Immagine non è proprio del Figlio.
3. Anche l'uomo, al dire di S. Paolo [1 Cor 11, 7], è immagine di Dio: "L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio". Quindi ciò non è proprio del Figlio.

In contrario: Dice S. Agostino [De Trin. 6, 2]: "Solo il Figlio è Immagine del Padre".

Rispondo: I Padri greci usano dire che lo Spirito Santo è immagine del Padre e del Figlio.
I latini invece il nome di Immagine non lo attribuiscono che al Figlio: poiché nella Scrittura non si trova riferito che al Figlio.
Infatti S. Paolo [Col 1, 15] afferma: "Egli è l'immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura"; e altrove [Eb 1, 3]: "è irradiazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza".
La ragione poi di questa [riserva dei Padri latini], secondo alcuni, starebbe nel fatto che il Figlio è simile al Padre non solo nella natura, ma anche nella nozione di principio; lo Spirito Santo invece non conviene in alcuna nozione né col Padre né col Figlio.
Ciò però non pare sufficiente.
Poiché dalle relazioni in Dio non può provenire né uguaglianza né disuguaglianza, come spiega S. Agostino [Contra Maxim. 2, 14; De Trin. 5, 6]; e così neppure quella somiglianza che sarebbe richiesta per l'immagine.
Perciò altri dicono che lo Spirito Santo non può essere detto immagine del Figlio per il fatto che non si può parlare dell'immagine di un'immagine.
E neppure lo si può dire immagine del Padre inquantoché l'immagine si riferisce senza intermediari al soggetto di cui è immagine, mentre lo Spirito Santo si riferisce al Padre mediante il Figlio.
E neppure può essere simultaneamente immagine del Padre e del Figlio: poiché sarebbe l'immagine unica di due [Persone distinte], il che è impossibile.
Quindi ne concludono che lo Spirito Santo in nessun modo può essere immagine. - Ma tutto ciò non ha valore.
Come infatti si dirà in seguito [q. 36, a. 4], il Padre e il Figlio sono un unico principio dello Spirito Santo: e così nulla impedisce che del Padre e del Figlio, in quanto sono un unico principio, ci sia un'unica immagine: dal momento che anche l'uomo è una sola immagine di tutta la Trinità.
Perciò si deve procedere diversamente, e dire che come lo Spirito Santo, sebbene nella sua processione riceva, non meno del Figlio, la stessa natura del Padre, tuttavia non è detto nato, così, quantunque riceva una forma simile a quella del Padre, tuttavia non è detto immagine. Poiché il Figlio procede come Verbo, e il concetto di verbo [mentale] implica somiglianza di specie con il soggetto da cui procede; invece [tale somiglianza] non è implicata nel concetto di amore, sebbene convenga a quell'Amore che è lo Spirito Santo, in quanto amore divino.

Soluzione delle difficoltà: 1. Il Damasceno e gli altri Dottori greci usano comunemente il nome di immagine per indicare una somiglianza perfetta.
2. Sebbene lo Spirito Santo sia simile al Padre e al Figlio tuttavia, per i motivi addotti [nel corpo], non è chiamato immagine.
3. L'immagine di una data cosa può trovarsi nei vari soggetti in due differenti modi.
Primo, [può trovarsi] in un soggetto della stessa natura specifica: come l'immagine del re si trova nel suo figlio.
Secondo, [può trovarsi] in un soggetto di natura diversa: come l'immagine del re si trova nella moneta.
Ora, il Figlio (di Dio) è immagine del Padre nella prima maniera; l'uomo invece è detto immagine di Dio nella seconda. Per indicare quindi che nell'uomo l'immagine è imperfetta non si dice semplicemente che l'uomo è immagine, ma a immagine, per designare cioè la tendenza alla perfezione. Del Figlio di Dio invece non si può dire che è a immagine del Padre, poiché ne è l'immagine perfettissima.




SEGUE.....



Una stretta di [SM=g1902224]



Pierino



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