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Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
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Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"


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Parte 9:




LE PERSONE IN RAPPORTO ALLE RELAZIONI O PROPRIETÀ

Passiamo ora a trattare delle persone in rapporto alle relazioni o proprietà [cf. q. 39, Prol.].
Si pongono quattro quesiti:
1. Se le relazioni e le persone siano la stessa cosa;
2. Se le relazioni distinguano e costituiscano le persone;
3. Se, eliminate mentalmente le relazioni dalle persone, le ipostasi restino distinte;
4. Se le relazioni presuppongano concettualmente gli atti delle persone, o viceversa.

Articolo 1
Se in Dio le relazioni e le persone siano la stessa cosa
Sembra che in Dio le relazioni e le persone non siano la stessa cosa. Infatti:
1. Quando due cose sono identiche, moltiplicata l'una viene moltiplicata anche l'altra. Ora invece capita che nella stessa persona divina vi siano più relazioni: nella persona del Padre, p. es., c'è la paternità e la spirazione; oppure avviene che un'unica relazione si trovi in due diverse persone, come la comune spirazione si trova nel Padre e nel Figlio. Quindi la relazione non può identificarsi con la persona.
2. Al dire del Filosofo [Phys. 4, 3] nessuna cosa può essere in se stessa. Ma le relazioni sono nelle persone. E non si può dire che ciò avvenga in forza dell'identità: perché allora sarebbero anche nell'essenza. Quindi le relazioni o proprietà in Dio non si identificano con le persone.
3. Trattandosi di cose identiche, ciò che si predica di una si può predicare anche dell'altra. Ma non tutto ciò che si dice delle persone può dirsi delle proprietà. Diciamo infatti che il Padre genera, ma non diciamo che la paternità è generante. Perciò in Dio le proprietà non si identificano con le persone.

In contrario: Come fa osservare Boezio [De hebdom. 7], in Dio non differiscono il quod est [il soggetto] e il quo est [la forma]. Ora, il Padre è Padre in forza della [forma] della paternità. Quindi il Padre si identifica con la paternità. E per lo stesso motivo anche le altre relazioni si identificano con le persone corrispondenti.

Rispondo: Su questo argomento vi furono diverse opinioni.
Alcuni dissero che le proprietà non sono le persone e neppure si trovano nelle persone. E furono a ciò indotti dal modo di significare proprio delle relazioni, le quali esprimono il loro significato non come qualcosa di inerente a un soggetto, ma come qualcosa che si riferisce a un termine. Per cui, come si è visto [q. 28, a. 2], le dissero assistenti [o contigue].
Ora invece le relazioni si identificano necessariamente con le persone: poiché le relazioni reali sono la stessa essenza divina, la quale a sua volta si identifica con le persone, come si è già spiegato [q. 39, a. 1].
Altri dunque, badando a questa identità, dissero che le proprietà corrispondono indubbiamente alle persone, però non sarebbero nelle persone: poiché, come si è visto [q. 32, a. 2], essi non ammettevano le proprietà in Dio se non come nostri modi di dire. - Ora invece è necessario ammettere le proprietà in Dio, come si è già detto [ib.]. Proprietà che in astratto si indicano come certe forme delle persone. Ma le forme si trovano nel soggetto di cui sono forme: quindi si deve dire che le proprietà sono nelle persone, e ciò nondimeno sono le persone: allo stesso modo in cui diciamo che l'essenza divina è in Dio, eppure è Dio medesimo.

Soluzione delle difficoltà: 1. Le persone e le proprietà sono in realtà la stessa cosa, ma differiscono concettualmente: quindi non ne segue che moltiplicando le une si moltiplichino anche le altre.
Si deve però badare che, data la semplicità divina, c'è in Dio una doppia identità reale rispetto a quelle cose che nelle creature differiscono realmente.
Dato infatti che la semplicità divina esclude la composizione di forma e materia, ne segue che in Dio l'astratto è identico al concreto: p. es. la divinità è Dio
. In quanto poi la semplicità divina esclude la composizione di soggetto e di accidenti, ne segue che qualsiasi attributo di Dio è la sua essenza: quindi la sapienza e la potenza, in Dio, sono la stessa cosa, essendo tutte e due nell'essenza divina. E secondo queste due specie di identificazione le proprietà in Dio si identificano con le persone.
Infatti le proprietà personali si identificano con le persone per lo stesso motivo per cui l'astratto si identifica con il concreto. Sono infatti le stesse persone sussistenti: la paternità è il Padre, la filiazione il Figlio, la spirazione lo Spirito Santo.
Invece le proprietà non personali si identificano con le persone secondo l'altro modo di identificazione, in forza della quale tutto ciò che viene attribuito a Dio è la sua stessa essenza. E in tal modo la spirazione comune è tutt'uno con la persona del Padre e con la persona del Figlio: non perché sia una persona per sé sussistente ma perché, secondo quanto si è detto [q. 30, a. 2], come unica è l'essenza delle due persone, così unica è la proprietà.
2. Si dice che le proprietà sono nell'essenza perché si identificano con essa.
Si dice invece che sono nelle persone non soltanto perché si identificano realmente con esse, ma anche per il loro significato particolare di forme esistenti in un soggetto. E così le proprietà determinano e distinguono le persone, ma non l'essenza.
3. I participi e i verbi nozionali significano gli atti nozionali. Ma gli atti appartengono ai suppositi, mentre le proprietà non hanno il significato di suppositi, ma di forme dei suppositi. Quindi il loro significato particolare impedisce che i participi e i verbi nozionali vengano attribuiti alle proprietà.

Articolo 2
Se le persone si distinguano per le relazioni
Sembra che le persone non si distinguano per le relazioni. Infatti:
1. Le cose semplici si distinguono per se stesse.
Ma le persone divine sono massimamente semplici. Quindi si distinguono per se stesse, e non per le relazioni.
2. Le forme si distinguono tra loro soltanto secondo il loro genere: come il bianco non si può distinguere dal nero se non secondo la qualità. Ma l'ipostasi significa un individuo nel genere della sostanza. Quindi le ipostasi divine non possono distinguersi per le relazioni.
3. L'assoluto è prima del relativo. Ma la distinzione delle divine persone è prima di ogni altra distinzione. Quindi esse non possono distinguersi per le relazioni.
4. Ciò che suppone una distinzione non può essere il primo principio di distinzione.
Ma la relazione suppone una distinzione, essendo questa inclusa nella sua definizione: infatti l'essenza di ciò che è relativo consiste "nell'essere riferito a un'altra cosa". Quindi il primo principio di distinzione in Dio non può essere la relazione.

In contrario: Boezio [De Trin. 6] afferma che "la sola relazione determina la Trinità" delle Persone divine.

Rispondo: Quando più cose formano un'unità, è necessario che vi sia un elemento che le distingua. Ma le tre persone formano un'unità di essenza, quindi bisogna trovare qualcosa per cui esse possano distinguersi numericamente fra di loro.
Ora, si possono rilevare nelle persone divine due princìpi di distinzione, cioè le origini e le relazioni.
Queste poi non differiscono realmente tra loro, ma differiscono per il loro modo particolare di significare: infatti l'origine sta a indicare un atto, p. es. la generazione, mentre la relazione sta a indicare una forma, p. es. la paternità.
Per questo alcuni, considerando che le relazioni dipendono dagli atti, sostennero che in Dio le ipostasi si distinguono per le origini, sicché dovremmo dire che il Padre si distingue dal Figlio perché quegli genera e questi è generato. Quindi le relazioni o proprietà indicherebbero soltanto indirettamente la distinzione delle ipostasi o persone: come nelle creature le proprietà manifestano la distinzione delle singole cose, che invece dipende dalla loro causa materiale.
Ma ciò non può essere ammesso per due motivi.
Primo, perché a far sì che due cose possano apparire distinte è necessario scorgere la loro distinzione in dipendenza da qualcosa di intrinseco: p. es. dalla materia o dalla forma, trattandosi di realtà create. Ora, l'origine non significa qualcosa di intrinseco, ma un passaggio da una cosa a un'altra: così la generazione si presenta come una via che parte dal generante e termina nel generato.
Quindi non è possibile che il generato e il generante si distinguano soltanto per la generazione, ma bisogna scorgere tanto nell'uno quanto nell'altro qualcosa di anteriore per cui essi si distinguono tra loro. Ora, nelle persone divine non troviamo altro che l'essenza e le relazioni, o proprietà.
Ma siccome l'essenza è identica, le persone non possono distinguersi altro che per le relazioni.
Secondo, perché la distinzione tra le persone divine non va intesa come una divisione di qualcosa ad esse comune, dato che l'essenza, che è loro comune, resta indivisa, ma è necessario che gli stessi princìpi che le distinguono le costituiscano anche come entità distinte. E in questo modo appunto le relazioni o proprietà distinguono e costituiscono le Persone o ipostasi, in quanto sono le stesse persone sussistenti: così la paternità è il Padre e la filiazione è il Figlio, non essendoci in Dio differenza fra astratto e concreto.
Invece ripugna al concetto stesso di origine costituire l'ipostasi o la persona. Poiché l'origine, all'attivo, ha il significato di atto che procede da una persona sussistente, e quindi presuppone la persona; l'origine al passivo invece, p. es. la nascita, sta a indicare una persona sussistente in divenire, e quindi non la costituisce.
Perciò è più giusto dire che le persone o ipostasi, anziché dalle origini, sono distinte dalle relazioni.
Sebbene infatti si distinguano in tutti e due i modi, tuttavia secondo la nostra maniera di intendere si distinguono prima di tutto e principalmente per le relazioni.
Quindi il nome Padre non significa soltanto la proprietà, ma anche l'ipostasi: invece il termine Genitore o Generante esprime soltanto la proprietà. Padre infatti significa la relazione che distingue e costituisce l'ipostasi, mentre Generante o Generato significa l'origine, che non distingue e non costituisce l'ipostasi.

Soluzione delle difficoltà: 1. Le persone sono le stesse relazioni sussistenti. Quindi non ripugna alla semplicità delle persone divine l'essere distinte dalle relazioni.
2. Le persone divine non si distinguono tra loro nell'essere sostanziale, né in qualche altro attributo assoluto, ma solo per il rapporto reciproco. Quindi per distinguerle basta la relazione.
3. Quanto più una distinzione è primordiale, tanto più è vicina all'unità.
Quindi deve essere la minima. E così la distinzione delle Persone divine non può essere se non per ciò che distingue in grado minimo, cioè per la relazione.
4. La relazione, quando è un accidente, presuppone certamente la distinzione dei soggetti; quando però è sussistente non presuppone, ma implica essa stessa tale distinzione. Quando infatti si dice che l'essenza del relativo consiste nel riferirsi ad altro, altro designa il correlativo, che non è anteriore, ma simultaneo per natura.

Articolo 3
Se facendo astrazione dalle relazioni le persone possano ancora essere concepite come ipostasi
Sembra che facendo astrazione dalle relazioni le persone possano ancora essere concepite come ipostasi. Infatti:
1. L'idea inclusa in un'altra idea che le aggiunge [una differenza specifica] può essere concepita anche eliminando questa aggiunta: come uomo aggiunge una differenza ad animale, e si può concepire l'animale anche se si elimina l'aggiunta razionale.
Ora, la persona è un'aggiunta fatta al concetto di ipostasi: essa infatti è "un'ipostasi distinta da una proprietà che esprime dignità". Togliendo quindi dalla persona questa proprietà personale, resta ancora l'ipostasi.
2. Ciò che dà al Padre di essere Padre è diverso da ciò che gli dà di essere qualcuno.
Infatti egli è Padre in forza della paternità: se dunque questa gli desse anche di essere qualcuno, il Figlio che non ha la paternità non sarebbe qualcuno. Tolta quindi mentalmente dal Padre la paternità, egli rimane ancora qualcuno: cioè rimane l'ipostasi. Quindi, pur eliminando le proprietà dalle persone, rimangono tuttavia le ipostasi.
3. S. Agostino [De Trin. 5, 6] insegna: "Dire ingenito non è lo stesso che dire Padre: perché anche se egli non avesse generato il Figlio, nulla vieterebbe di dirlo ancora ingenito". Ma se non avesse generato il Figlio non avrebbe la paternità.
Quindi, anche se togliamo questa, rimane tuttavia l'ipostasi del Padre come non generata.

In contrario: S. Ilario [De Trin. 4, 10] afferma: "Il Figlio non ha in proprio altra cosa che l'essere nato". Ma egli è Figlio in forza della nascita. Tolta quindi la filiazione, non rimane l'ipostasi del Figlio. E lo stesso si dica delle altre persone.

Rispondo: Esiste una duplice astrazione [o separazione] mentale.
Una è quella con cui si astrae l'universale dal particolare, p. es. animale da uomo. L'altra invece è quella con cui si astrae la forma dalla materia: come p. es. si astrae la figura del cerchio dalla materia sensibile.
Tra queste due astrazioni c'è però questa differenza, che nella prima, in cui si astrae l'universale dal particolare, non rimane [nella mente] ciò da cui fu astratto l'universale: tolta infatti dall'uomo la razionalità non resta più nella mente il concetto di uomo, ma soltanto quello di animale.
Invece nell'astrazione [formale], che separa la forma dalla materia, l'una e l'altra rimangono [separatamente] nell'intelletto: astraendo infatti la forma del cerchio dal bronzo, restano nel nostro intelletto separatamente il concetto di cerchio e quello di bronzo.
Ora, in Dio non c'è realmente né l'universale né il particolare, né la forma né il soggetto; tuttavia, se si bada al nostro modo di esprimere la realtà divina, vi si trova qualcosa di simile: e in questo senso il Damasceno [De fide orth. 3, 6] afferma che "la sostanza è universale, l'ipostasi invece particolare".
Se dunque parliamo dell'astrazione [totale], con cui si astrae l'universale dal particolare, tolte le proprietà [o relazioni] resta l'essenza comune [alle tre persone divine], non però l'ipostasi del Padre, che figura come particolare.
Se invece parliamo dell'astrazione [formale], che astrae la forma dalla materia, allora togliendo le proprietà non personali rimane il concetto delle ipostasi e delle persone: togliendo p. es. dal Padre l'idea di non generato e di spiratore, rimane il concetto di ipostasi o di persona del Padre.
Se però eliminiamo mentalmente le proprietà personali non si salva il concetto di ipostasi.
Infatti le proprietà personali non sono da concepirsi come qualcosa di sopraggiunto alle ipostasi, alla maniera di una forma che si aggiunge a un soggetto preesistente, ma implicano esse stesse il proprio soggetto [o ipostasi], in quanto sono tutt'uno con le persone sussistenti: come la paternità è lo stesso Padre.
Le ipostasi infatti stanno a indicare qualcosa di distinto in Dio, poiché l'ipostasi è una sostanza individuale. Ora, siccome proprio la relazione costituisce e distingue le ipostasi, come si è detto [a. prec.], ne segue che tolte mentalmente le proprietà personali non rimangono più le ipostasi.
Però, come si è visto [ib.], alcuni pensano che le ipotesi in Dio non vengano distinte dalle relazioni, ma solo dalle origini: così il Padre sarebbe un'ipostasi per il fatto che non è da altri, e il Figlio perché è da altri per generazione.
Le relazioni poi, che verrebbero ad aggiungersi come proprietà apportatrici di dignità, costituirebbero la ragione di persona, e appunto per questo sarebbero chiamate personalità.
Tolte quindi mentalmente queste relazioni resterebbero le ipostasi, ma non le persone.
Ma ciò non può essere, per due motivi.
Primo perché, come si è spiegato [ib.], sono le relazioni che distinguono e costituiscono le ipostasi.
Secondo, perché ogni ipostasi di natura razionale è persona, come si vede dalla definizione che Boezio [De duab. nat. 3] dà della persona: "una sostanza individuale di natura razionale".
Perché quindi si possa dare un'ipostasi che non sia persona bisognerebbe togliere la razionalità dalla natura, non già la proprietà dalla persona.

Soluzione delle difficoltà: 1. La persona non aggiunge all'ipostasi una proprietà che distingue assolutamente, ma che "distingue esprimendo dignità": poiché tutta l'espressione non indica che un'unica differenza.
Ora, la proprietà che distingue riveste dignità in quanto sta a designare un sussistente di natura razionale. Togliendo quindi dalla persona la proprietà atta a distinguere non rimane neppure l'ipostasi; questa invece rimane se si toglie la razionalità dalla natura.
Infatti tanto la persona quanto l'ipostasi sono la sostanza individuale: per cui in Dio la relazione distintiva rientra nel concetto dell'una e dell'altra.
2. Il Padre in forza della paternità non solo è Padre, ma è anche persona ed è qualcuno, ossia ipostasi. Non ne segue tuttavia che il Figlio non sia qualcuno, ossia un'ipostasi, come non segue che non sia una persona.
3. S. Agostino non intende dire che tolta la paternità rimanga l'ipostasi del Padre come non generata, quasi che l'innascibilità costituisca e distingua l'ipostasi del Padre: infatti ciò non può essere poiché, come egli stesso fa osservare [l. cit.], ingenito non afferma nulla, ma nega soltanto.
La sua è invece un'espressione generica, poiché non ogni ingenito è necessariamente Padre.
Eliminata dunque la paternità non rimane in Dio l'ipostasi del Padre come distinta dalle altre persone, ma solo come distinta dalle creature nel senso inteso dai Giudei.

Articolo 4
Se gli atti nozionali siano presupposti alle proprietà
Sembra che gli atti nozionali siano presupposti alle proprietà [personali]. Infatti:
1. Il Maestro delle Sentenze [1, 27] dice che il "Padre è sempre Padre, perché sempre genera il Figlio". Quindi sembra che la paternità concettualmente presupponga la generazione.
2. Ogni relazione presuppone ciò su cui si fonda: come l'uguaglianza presuppone la quantità. Ma la paternità è una relazione fondata sopra l'atto della generazione. Quindi la paternità presuppone la generazione.
3. La nascita sta alla filiazione come la generazione attiva sta alla paternità. Ma la filiazione presuppone la nascita: poiché il Figlio è Figlio in quanto è nato. Quindi anche la paternità presuppone la generazione.

In contrario: La generazione è un'operazione della persona del Padre. Ma la paternità costituisce la persona del Padre. Quindi la paternità concettualmente precede la generazione.

Rispondo: Secondo l'opinione di coloro i quali sostengono che le proprietà non distinguono e non costituiscono le ipostasi, ma servono soltanto a manifestarle già distinte e costituite, si dovrebbe senz'altro dire che le relazioni, stando al nostro modo di intendere, presuppongono gli atti nozionali, per cui sarebbe giustificata questa espressione: è Padre perché genera.
Partendo invece dal presupposto che in Dio le relazioni differenziano e costituiscono le ipostasi, allora bisogna distinguere.
Poiché nella Trinità l'origine può essere indicata all'attivo o al passivo: all'attivo, p. es., è indicata la generazione attribuita al Padre e la spirazione che, presa come atto nozionale, viene attribuita al Padre e al Figlio; al passivo invece [viene indicata] la nascita attribuita al Figlio e la processione dello Spirito Santo.
Ciò posto, senza dubbio le origini indicate al passivo precedono concettualmente le proprietà anche personali delle Persone procedenti: poiché l'origine al passivo sta a indicare il processo per giungere alla persona costituita dalla proprietà.
E similmente anche l'origine all'attivo è concettualmente anteriore alla relazione non personale della persona originante: l'atto nozionale di spirazione, p. es., è concettualmente anteriore alla corrispondente proprietà relativa, senza nome, comune al Padre e al Figlio.
La proprietà personale del Padre può essere invece considerata in due modi.
Primo, come relazione: e presa così presuppone ancora una volta l'atto nozionale, poiché la relazione, in quanto relazione, si fonda sull'atto.
Secondo, come costitutiva della persona: e allora è necessario che l'atto nozionale presupponga la relazione, come l'azione presuppone la persona che la compie.

Soluzione delle difficoltà: 1. Nell'espressione del Maestro delle Sentenze: "è Padre perché genera" il termine Padre è usato soltanto in quanto dice relazione, non in quanto significa la persona sussistente. In questo caso infatti bisognerebbe dire il contrario, che cioè genera perché è Padre.
2. L'obiezione ha valore se la paternità è considerata solo come relazione, e non come costitutiva della persona.
3. La nascita sta a indicare il processo per giungere alla persona del Figlio, per cui concettualmente essa precede la filiazione, anche se prendiamo quest'ultima come costitutiva della persona del Figlio.
Invece la generazione attiva sta a indicare il processo che deriva dalla persona del Padre, e quindi presuppone la proprietà personale del Padre.




SEGUE......




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