Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!





Benvenuti nel forum

Lo scopo di questo forum
è di dare a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione
su ogni argomento dello scibile umano
rimanendo nel rispetto di OGNI
membro che lo compone.
L'apologia della propria religione è consentita.
Ci aspettiamo da ogni utente che si iscriverà qui,
la propria presentazione nell'apposita sezione
e l'estensione del proprio cordiale saluto a tutti gli iscritti
i quali sono invitati ad accoglierlo altrettanto cordialmente





Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Conosciamo le Tre "Figure" DIVINE?...

Ultimo Aggiornamento: 25/12/2010 18:55
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 3.408
Post: 2.407
Registrato il: 31/05/2007
Registrato il: 03/08/2007
Sesso: Maschile
Utente Master
Amministratore
10/03/2010 16:07
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota



Dalla summa teologica di San Tommaso:

posterò parte dei suoi scritti, riguardante le
tre Personalità Divine "LA TRINITA'"



-------------------------------------------------------------




Parte 11:




L'UGUAGLIANZA E LA SOMIGLIANZA DELLE PERSONE DIVINE

Infine rimangono da confrontare le persone divine tra loro [cf. q. 39, Prol.].
Primo, parleremo della loro uguaglianza e somiglianza; secondo, delle loro missioni [q. 43]. Riguardo alla prima questione si pongono sei quesiti:
1. Se tra le persone divine abbia luogo l'uguaglianza;
2. Se la persona che procede sia uguale in eternità a quella da cui procede;
3. Se tra le persone divine vi sia un ordine;
4. Se le persone divine siano uguali in grandezza;
5. Se siano una nell'altra;
6. Se siano uguali in potenza.

Articolo 1
Se tra le persone divine vi sia uguaglianza
Sembra che tra le persone divine non vi sia uguaglianza. Infatti:
1. Come dice il Filosofo [Met. 5, 15], l'uguaglianza deriva dal concordare nella quantità. Ora, nelle persone divine non c'è né la quantità continua intrinseca, chiamata estensione, né la quantità continua estrinseca, cioè il luogo e il tempo. E neppure c'è tra di esse l'uguaglianza della quantità discreta, essendo due persone più di una.
Quindi alle Persone divine non conviene l'uguaglianza.
2. Le persone divine, come si è detto [q. 39, a. 2], sono tutte di una stessa e identica essenza. Ma l'essenza viene significata come una forma. Ora, il concordare nella stessa forma non produce uguaglianza, ma solo somiglianza. Quindi tra le persone divine c'è somiglianza, non uguaglianza.
3. Le cose tra cui c'è uguaglianza sono uguali tra loro: infatti l'uguale si dice uguale all'uguale. Ma le persone divine non possono dirsi uguali l'una all'altra. Poiché, come dice S. Agostino [De Trin. 6, 10], "se l'immagine riproduce esattamente e perfettamente l'oggetto di cui è immagine, essa si adegua all'oggetto, ma non questo ad essa". Ora, il Figlio è immagine del Padre: perciò questi non è uguale al Figlio. Quindi tra le persone divine non c'è uguaglianza.
4. L'uguaglianza è una relazione. Ma nessuna relazione è comune alle persone divine: poiché esse si distinguono tra loro appunto per le relazioni. Quindi alle persone divine non può convenire l'uguaglianza.

In contrario: È detto nel Simbolo atanasiano che "le tre persone sono coeterne e uguali tra loro".

Rispondo: È necessario affermare che tra le persone divine c'è uguaglianza.
Infatti, secondo il Filosofo [Met. 10, 5], si ha il concetto di uguale escludendo il più e il meno. Ora, non possiamo ammettere che tra le persone divine ci sia il più e il meno: poiché, come dice Boezio [De Trin. 1], "sono costretti a riconoscere delle discrepanze" nella divinità "coloro che ammettono in Dio il più e il meno, come gli Ariani, i quali con lo stabilire dei gradi distruggono la Trinità e la riducono a una pluralità".
E il motivo è questo, che le cose disuguali non possono avere un'unica quantità. Ma la quantità in Dio non è altro che la sua essenza. Da cui segue che se nelle persone divine ci fosse qualche disuguaglianza, queste non potrebbero avere un'unica essenza: e così le tre persone non sarebbero un Dio solo, il che è inammissibile. Quindi bisogna ammettere l'uguaglianza tra le diverse persone.

Soluzione delle difficoltà: 1. Ci sono due specie di quantità.
La prima è quella di mole, o di estensione, che essendo propria delle realtà corporee non può trovarsi in Dio.
L'altra è la quantità di intensità, che si desume dal grado di perfezione della natura o della forma: si parla p. es. di questa quantità quando un corpo è detto più o meno caldo per indicare che partecipa più o meno perfettamente del calore.
Ora, la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta, in primo luogo, dalla sua radice, cioè dalla perfezione della natura o forma: e in questo senso si può parlare di grandezza spirituale, come si parla di un grande calore a motivo della sua intensità e perfezione. E in questo senso S. Agostino [De Trin. 6, 8] dice che "tra le cose che sono grandi senza essere estese, è più grande quella che è migliore": infatti diciamo che è migliore ciò che è più perfetto.
In secondo luogo la grandezza di questa quantità intensiva viene desunta dagli effetti della forma.
Ora, il primo effetto della forma è l'essere: infatti ogni cosa ha l'essere dalla propria forma. L'altro effetto è invece l'operazione: infatti ogni agente agisce in forza della propria forma.
Quindi la misura quantitativa dell'intensità viene desunta sia dall'essere che dall'operazione: dall'essere in quanto le realtà di natura più perfetta sono anche più durature; dall'operazione in quanto le realtà di natura più perfetta sono anche più capaci di agire. Quindi, come dice S. Agostino [De fide ad Petrum 1], l'uguaglianza tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo "sta in questo, che nessuno di loro precede l'altro nell'eternità, o lo sorpassa nella grandezza, o lo supera nella potenza".
2. Dove si desume l'uguaglianza dalla quantità di intensità, questa include la somiglianza e vi aggiunge in più l'esclusione di una preminenza.
Infatti le realtà che hanno la stessa forma possono essere dette simili anche se la partecipano in grado differente: l'aria, p. es., può essere detta simile al fuoco nel calore; però non possono essere dette uguali se una partecipa la forma più perfettamente dell'altra.
Ora, il Padre e il Figlio non solo hanno la stessa natura, ma l'hanno anche in modo ugualmente perfetto: perciò il Figlio non solo è detto simile al Padre, per escludere l'errore di Eunomio, ma è detto anche uguale, per escludere quello di Ario.
3. L'uguaglianza e la somiglianza in Dio possono venire espresse in due modi, cioè coi nomi e coi verbi.
Se vengono espresse coi nomi, allora tanto l'una quanto l'altra ammettono la reciprocità, poiché il Figlio è simile e uguale al Padre, e il Padre è simile e uguale al Figlio. E questo perché l'essenza divina non è più nel Padre che nel Figlio: perciò, come il Figlio ha la grandezza del Padre, e quindi è uguale al Padre, così il Padre ha la grandezza del Figlio ed è uguale al Figlio.
Nelle creature invece, come dice Dionigi [De div. nom. 9, 6], "non c'è questa reciprocità di uguaglianza e di somiglianza ". Si dice infatti che gli effetti sono simili alle loro cause, avendone in sé la forma, ma non viceversa, in quanto la forma si trova principalmente nelle cause e solo secondariamente negli effetti.
I verbi invece esprimono l'uguaglianza unita all'idea di movimento.
E sebbene in Dio non esista il moto, tuttavia c'è in lui [il dare e] il ricevere. Quindi, poiché il Figlio riceve dal Padre, diciamo che il Figlio uguaglia il Padre, ma non viceversa.
4. Nelle persone divine non c'è altro che l'essenza in cui comunicano, e le relazioni per le quali si distinguono.
Ora, l'uguaglianza comporta queste due cose: la distinzione delle persone, poiché nessuna cosa può dirsi uguale a se stessa, e l'unità dell'essenza, poiché le persone si dicono uguali tra loro precisamente perché sono di un'unica essenza e grandezza.
È poi chiaro che nessuna cosa si riferisce a se medesima con una relazione reale. Così pure è evidente che una relazione non si riferisce a un'altra mediante una terza relazione: quando infatti diciamo che la paternità si oppone alla filiazione, l'opposizione non è una terza relazione interposta tra la paternità e la filiazione, perché altrimenti in tutti e due i casi si andrebbe all'infinito. Quindi l'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine non è un'altra relazione reale distinta dalle relazioni personali [paternità, filiazione, spirazione], ma nel suo concetto include sia le relazioni che distinguono le persone, sia l'unità dell'essenza.
E per questo il Maestro delle Sentenze [1,
31] dice che nelle persone divine "soltanto le denominazioni sono relative".

Articolo 2
Se la persona che procede, il Figlio per esempio, sia coeterna al suo principio
Sembra che la persona che procede, il Figlio p. es., non sia coeterna al suo principio. Infatti:
1. Ario enumera dodici modi di derivazione.
Il primo è quello della linea che nasce dal punto: e qui manca l'uguaglianza della semplicità.
Il secondo è quello dell'emissione dei raggi dal sole: dove manca l'uguaglianza di natura.
Il terzo modo è quello del bollo o dell'impronta lasciata dal sigillo: ove però manca la consostanzialità e l'efficienza della potenza.
Il quarto è quello dell'infusione della buona volontà da parte di Dio: dove ancora manca la consostanzialità.
Il quinto è quello della derivazione dell'accidente dalla sostanza: ma all'accidente manca la sussistenza.
Il sesto modo è quello dell'astrazione delle specie conoscitive dalla materia, come i sensi ricevono la specie dalle realtà sensibili: e qui manca l'uguaglianza [di immaterialità o] di semplicità spirituale.
Il settimo è quello dell'eccitazione della volontà prodotta dal pensiero: ma questa eccitazione richiede il tempo.
L'ottavo modo è quello della mutazione di figura, come quando col bronzo si forma una statua: ma questa è sempre materiale.
Il nono è quello del moto prodotto dal movente: e anche qui si ha causa ed effetto.
Il decimo è quello desunto dalle specie che vengono tratte fuori dal genere [nel quale erano contenute]: ma questo modo non può convenire a Dio, poiché il Padre non si predica del Figlio come il genere della specie.
L'undicesimo è quello della ideazione, secondo cui l'arca esteriore deriva da quella ideale esistente nella mente [dell'artigiano].
Il dodicesimo è quello della nascita, cioè quello del figlio che nasce dal padre: ma qui abbiamo un prima e un poi in ordine di tempo.
È chiaro dunque che in qualunque modo una cosa derivi da un'altra, manca o l'uguaglianza di natura o quella di durata. Se dunque il Figlio deriva dal Padre, si deve dire o che egli è minore del Padre, o che è posteriore, o l'una e l'altra cosa insieme.
2. Tutto ciò che deriva da altro ha un principio. Ma nulla di eterno ha principio. Quindi né il Figlio né lo Spirito Santo sono eterni.
3. Tutto ciò che si corrompe cessa di essere. Quindi tutto ciò che viene generato incomincia a essere: infatti viene generato affinché sia. Ma il Figlio è generato dal Padre. Quindi incomincia a essere, e non è coeterno al Padre.
4. Se il Figlio è generato dal Padre, o è continuamente generato, o si può assegnare un istante della sua generazione.
Se è continuamente generato, siccome ciò che si sta generando è imperfetto, e lo vediamo nelle cose in divenire, cioè nel tempo e nel moto, ne segue che il Figlio è sempre imperfetto, il che è inammissibile. Quindi deve esserci un istante della generazione del Figlio. Quindi prima di quell'istante il Figlio non esisteva.

In contrario: Nel Simbolo atanasiano si legge che "tutte e tre le persone sono coeterne".

Rispondo: È necessario affermare che il Figlio è coeterno al Padre.
Per mettere in chiaro la cosa si osservi che due possono essere i motivi per cui quanto deriva da un principio è ad esso posteriore: primo, dalla parte dell'agente; secondo, dalla parte dell'azione.
Se dalla parte dell'agente, ciò avviene in modi diversi secondo che si tratti di agenti volontari o di cause naturali.
Negli agenti volontari [la posteriorità di quanto ne deriva] è dovuta alla scelta del tempo: poiché come è in loro facoltà la scelta della forma da dare all'effetto, secondo quanto si è già spiegato [q. 41, a. 2], così è in loro potere la scelta del tempo in cui produrlo.
Trattandosi invece di cause naturali, la posteriorità dell'effetto è dovuta al fatto che un agente inizialmente non ha quella perfezione di energia necessaria per agire, ma la acquista dopo qualche tempo: come l'uomo da principio non è atto alla generazione. - Dalla parte dell'azione invece può essere impedito che il principio e quanto ne deriva siano simultanei se l'azione ha un certo svolgimento.
Quindi, pur ammettendo che un agente cominci a compiere un'azione di questo genere dal primo istante in cui esiste, tuttavia il suo effetto non si produrrà nello stesso istante, ma solo in quello che è il termine della sua azione.
Ora, stando a quanto si è detto sopra [ib.], è chiaro che il Padre non genera il Figlio per volontà, ma per natura. Inoltre la natura del Padre è perfettissima da tutta l'eternità. Di più l'azione con cui il Padre produce il Figlio non è un'azione che abbia uno svolgimento: perché altrimenti il Figlio di Dio sarebbe generato con uno sviluppo progressivo, e la sua generazione sarebbe di carattere materiale e soggetta a mutamento, il che è inammissibile.
Rimane dunque stabilito che il Figlio esiste da quando esiste il Padre. Quindi il Figlio è coeterno al Padre; e così pure lo Spirito Santo è coeterno a entrambi.

Soluzione delle difficoltà: 1. Nessuno dei modi di derivazione delle creature può rappresentare perfettamente la generazione divina, come dice S. Agostino [Serm. 38, cc. 6, 8].
Quindi bisogna farsene un'idea ricavandola da questi vari modi per similitudine, affinché ciò che manca in uno possa in certo qual modo essere supplito da un altro.
Per questo il Concilio di Efeso [3, 10] insegna: "Il termine splendore ti manifesti che il Figlio coesiste sempre coeterno al Padre; il termine verbo ti mostri l'impassibilità della sua nascita; il nome Figlio ti insinui la sua consostanzialità".
Ma fra tutte le similitudini la più espressiva è quella del verbo che procede dall'intelletto: poiché il verbo non è posteriore a chi lo esprime, a meno che non sia un intelletto che, [come l'umano], passa dalla potenza all'atto: cosa che di Dio non si può dire.
2. L'eternità esclude l'inizio o il principio temporale, ma non il principio di origine.
3. Ogni corruzione è una mutazione: quindi ciò che si corrompe cessa di essere e incomincia a non essere. Ma la generazione divina non è una trasmutazione, come si è detto [q. 27, a. 2]. Per cui il Figlio viene sempre generato, e il Padre sempre lo genera.
4. Nella categoria del tempo ciò che è indivisibile, cioè l'istante, è diverso da ciò che perdura, cioè dal tempo. Nell'eternità invece l'istante indivisibile dura sempre, come si è detto [q. 10, a. 2, ad 1; a. 4, ad 2]. Ora, la generazione del Figlio non avviene né in un istante del tempo, e meno ancora nel tempo, ma nell'eternità. Quindi, per esprimere meglio la presenzialità e la permanenza eterna [dell'atto della divina generazione], si può dire con Origene [In Hierem. hom. 6] che il Figlio "perpetuamente nasce".
Però è meglio dire, con S. Gregorio [Mor. 29, 1] e con S. Agostino [Lib. LXXXIII quaest. 37], che il Figlio è sempre nato, per indicare con l'avverbio sempre la sua permanenza eterna, e col participio nato la perfezione del generato. Così dunque il Figlio né è imperfetto, né "ci fu un tempo in cui non esisteva", come disse Ario.

Articolo 3
Se nelle persone divine ci sia un ordine di natura
Sembra che nelle persone divine non ci sia un ordine di natura. Infatti:
1. Tutto ciò che è in Dio è o essenza o persona o nozione. Ma l'ordine di natura non significa né l'essenza, né una persona, e neppure una nozione. Quindi tale ordine non esiste in Dio.
2. In tutte le cose in cui vi è un ordine di natura una è prima dell'altra, almeno naturalmente o concettualmente. Ma nelle persone divine, come dice S. Atanasio [Symb.], "non c'è né un prima né un poi". Quindi nelle persone divine non c'è un ordine di natura.
3. L'ordine suppone la distinzione tra le cose. Ma in Dio la natura non ammette distinzioni. Quindi essa non è ordinata. Quindi in Dio non c'è un ordine di natura.
4. La natura divina è l'essenza di Dio; ma in Dio non c'è un ordine di essenza: quindi non c'è neppure un ordine di natura.

In contrario: Ovunque c'è una pluralità senza ordine, lì c'è confusione. Ma come è detto nel Simbolo atanasiano, nelle Persone divine non c'è confusione. Quindi c'è ordine.

Rispondo: L'ordine viene concepito sempre in rapporto a un principio.
Ora, abbiamo princìpi di vario genere, cioè geometrici, come il punto, razionali, come i princìpi della dimostrazione, e i vari generi di cause: quindi abbiamo vari generi di ordini.
Ma tra le persone divine si parla di principio soltanto rispetto alle origini, senza priorità alcuna, come si è spiegato [q. 33, a. 1, ad 3]. Quindi ci deve essere in Dio un ordine rispetto alle origini, ma senza priorità. E questo è chiamato ordine di natura, "in forza del quale", al dire di S. Agostino [Contra Maxim. 2, 14], "uno deriva dall'altro senza che uno sia prima dell'altro".

Soluzione delle difficoltà: 1. L'ordine di natura indica la nozione di origine, ma genericamente, senza alcuna specificazione.
2. Nelle creature, anche quando ciò che deriva da un principio è sincrono ad esso per la durata, se tuttavia si considera ciò che è principio, questo risulta anteriore sia per natura che concettualmente.
Se però si considerano [direttamente] le relazioni di causa e causato, e di principio e principiato, è chiaro che esse sono simultanee, sia naturalmente che concettualmente, essendo l'una cosa inclusa nella definizione dell'altra.
Ora, in Dio le stesse relazioni sono le persone sussistenti in un'unica natura. Quindi in Dio né dalla parte della natura né dalla parte delle relazioni una persona può essere prima dell'altra, neppure per una priorità di natura o concettuale.
3. Parlare di ordine di natura non vuol dire ordinare la natura stessa, ma vuol dire semplicemente che tra le persone divine c'è un ordine secondo la loro origine naturale.
4. Natura implica in qualche modo l'idea di principio o di causa, non invece essenza.
Perciò l'ordine di origine si dice ordine di natura piuttosto che ordine di essenza.

Articolo 4
Se il Figlio sia uguale al Padre in grandezza
Sembra che il Figlio non sia uguale al Padre in grandezza. Infatti:
1. Il Figlio medesimo afferma [Gv 14, 28]: "Il Padre è più grande di me". E l'Apostolo dice di lui [1 Cor 15, 28]: "Il Figlio sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa".
2. La paternità conferisce dignità al Padre. Ma essa non conviene al Figlio. Quindi il Figlio non ha tutto ciò che appartiene alla dignità del Padre, e di conseguenza non gli è uguale in grandezza.
3. Dove troviamo un tutto e delle parti, più parti sono qualcosa di più di una sola o di un numero minore di esse: tre uomini, p. es., sono più che uno o due. Ma anche in Dio si può trovare il tutto universale e le parti, poiché sotto il termine di relazione o di nozione sono contenute più nozioni. Essendoci dunque nel Padre tre nozioni e nel Figlio due soltanto, ne segue che il Figlio non può essere uguale al Padre.

In contrario: S. Paolo [Fil 2, 6] così parla [del Figlio]: "Non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio".

Rispondo: È necessario affermare che il Figlio è uguale al Padre in grandezza.
Infatti la grandezza di Dio non è altro che la perfezione della sua natura.
Ora, rientra nell'idea di paternità e di filiazione che il figlio mediante la generazione giunga ad avere la stessa perfezione di natura che è nel padre, come la ha anche il padre.
Però negli uomini la generazione consiste nella lenta trasmutazione di un soggetto che passa dalla potenza all'atto: perciò il figlio di un uomo non è uguale al padre fin dal principio, ma lo diviene in seguito con la crescita normale, a meno che non avvenga diversamente per un difetto del principio generativo.
Ora, da quanto fu detto [q. 27, a. 2; q. 33, a. 2, ad 3, 4; a. 3], è chiaro che in Dio c'è in senso vero e proprio tanto la paternità quanto la filiazione. Né si può dire che la potenza del Padre sia stata difettosa nel generare; o che il Figlio raggiunga la sua perfezione poco alla volta e per una lenta trasmutazione.
Quindi si deve dire che il Figlio, già da tutta l'eternità, è uguale al Padre in grandezza. Per questo S. Ilario [De Synod. 73] insegna: "Tolta la debolezza dei corpi, tolto l'inizio del concepimento, tolti i dolori del parto e tutte le umane necessità, ogni figlio per la sua nascita è uguale al padre, essendone l'immagine naturale".

Soluzione delle difficoltà: 1. Quelle parole vanno riferite alla natura umana di Cristo, nella quale egli è minore del Padre, e a lui sottoposto. Ma secondo la natura divina è uguale al Padre.
E ciò corrisponde a quanto asserisce S. Atanasio [Symb.]: "Egli è uguale al Padre per la divinità, minore del Padre per l'umanità".
Oppure, secondo S. Ilario [De Trin. 9, 54]: "Il Padre è maggiore per la dignità di donatore, però non è minore colui a cui viene dato l'identico essere". E altrove [De Synod. 79] lo stesso S. Ilario insegna che "la soggezione del Figlio è pietà naturale", cioè riconoscimento dell'autorità paterna, "mentre la soggezione delle altre cose è debolezza creaturale".
2. L'uguaglianza è desunta dalla grandezza. Ma in Dio la grandezza indica la perfezione della natura, come si è detto sopra [nel corpo; cf. a. 1, ad 1], e appartiene così all'essenza.
Quindi in Dio l'uguaglianza e la somiglianza sono desunte da ciò che è essenziale: e non vi può essere in lui disuguaglianza e dissomiglianza per la distinzione delle relazioni.
Quindi S. Agostino [Contra Maxim. 2, 18] dice: "Si ha il problema dell'origine col domandare da chi deriva; si ha invece quello dell'uguaglianza domandando come è, o quanto è grande ". La paternità dunque costituisce la dignità del Padre come la costituisce la sua essenza, poiché la dignità è qualcosa di assoluto che appartiene all'essenza.
Ora, come la stessa essenza che nel Padre è paternità nel Figlio è filiazione, così la stessa dignità che nel Padre è paternità nel Figlio è filiazione. Quindi è vero che il Figlio ha tanta dignità quanta ne ha il Padre. Però non ne segue che si possa concludere: il Padre ha la paternità, dunque anche il Figlio ha la paternità. Perché [in tale illazione] si passa dall'essenza alle relazioni: infatti identica è l'essenza e la dignità del Padre e del Figlio, ma nel Padre ha la relazione di donatore, nel Figlio invece ha la relazione di ricevente.
3. La relazione in Dio non è un tutto universale, quantunque si predichi delle singole relazioni: poiché tutte le relazioni si identificano nell'essenza e nell'essere, il che ripugna al concetto di universale, le cui parti si distinguono per il loro diverso essere.
E in precedenza [q. 30, a. 4, ad 3] abbiamo spiegato che anche persona in Dio non è un universale. Quindi né tutte le relazioni né tutte le persone prese assieme sono qualcosa di più che una sola: perché in ogni persona c'è tutta la perfezione della natura divina.

Articolo 5
Se il Figlio sia nel Padre e il Padre nel Figlio
Sembra che il Figlio non sia nel Padre, e viceversa [che il Padre non sia nel Figlio]. Infatti:
1. Il Filosofo [Phys. 4, 3] enumera otto modi secondo cui una cosa può essere in un'altra; e secondo nessuno di essi il Figlio è nel Padre o viceversa, come si può vedere percorrendoli a uno a uno.
Quindi il Figlio non è nel Padre, né il Padre nel Figlio.
2. Nessuna cosa si trova in quella da cui è uscita. Ma il Figlio da tutta l'eternità è uscito dal Padre, come dice la Scrittura [Mi 5, 1]: "La sua uscita è dall'antichità, dai giorni più remoti". Quindi il Figlio non è nel Padre.
3. Due opposti non si trovano l'uno nell'altro. Ma il Padre e il Figlio sono opposti relativamente. Quindi uno non può essere nell'altro.

In contrario: È detto nel Vangelo [Gv 14, 10]: "Io sono nel Padre, e il Padre è in me".

Rispondo: Nel Padre e nel Figlio si devono considerare tre cose, cioè l'essenza, la relazione e l'origine; e secondo ognuna di esse il Figlio è nel Padre e viceversa.
Il Padre è nel Figlio secondo l'essenza, perché il Padre è la sua essenza, e senza trasmutarsi comunica questa sua essenza al Figlio; essendo dunque l'essenza del Padre nel Figlio, ne segue che anche il Padre è nel Figlio. E così pure il Figlio è nel Padre, dato che il Figlio è la sua propria essenza che è nel Padre.
E ciò corrisponde a quanto insegna S. Ilario [De Trin. 5, 37 s.]: "L'immutabile Iddio segue, per così dire, la sua natura, generando un altro Dio immutabile.
Quindi possiamo riconoscere come sussistente in quest'ultimo la natura divina, trovandosi Dio in Dio".
- Anche secondo le relazioni è chiaro che uno degli opposti relativi è concettualmente nell'altro.
Così pure secondo l'origine è evidente che la processione del verbo intelligibile non passa all'esterno, ma [il verbo] resta nell'intelletto che lo esprime. E anche ciò che è espresso mediante il verbo è contenuto nel verbo. - E le stesse ragioni valgono per lo Spirito Santo.

Soluzione delle difficoltà: 1. Ciò che si trova nelle creature non basta a dare un'idea esatta delle realtà divine.
Quindi secondo nessuno dei modi che il Filosofo enumera il Figlio è nel Padre, o viceversa. Il modo che più si avvicina, tuttavia, è quello secondo cui si dice che una cosa è nel principio originante: però nelle creature manca sempre l'unità di essenza tra il principio e ciò che deriva da tale principio.
2. L'uscita del Figlio dal Padre avviene secondo una processione immanente, come quella del verbo interiore che sgorga dal cuore e rimane in esso. Quindi in Dio questa uscita ha luogo soltanto secondo la distinzione delle relazioni, non secondo una qualche distanza essenziale.
3. Il Padre e il Figlio si oppongono per le loro relazioni, non per la loro essenza. Tuttavia, come si è detto [nel corpo], anche gli opposti relativi si trovano l'uno nell'altro.

Articolo 6
Se il Figlio sia uguale al Padre nella potenza
Sembra che il Figlio non sia uguale al Padre nella potenza. Infatti:
1. Dice il Vangelo [Gv 5, 19]: "Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre". Il Padre invece può fare da sé. Quindi il Padre è più potente del Figlio.
2. Il potere di chi comanda e insegna è maggiore del potere di chi ubbidisce e ascolta. Ora, il Padre comanda al Figlio, il quale disse [Gv 14, 31]: "Faccio quello che il Padre mi ha comandato". Inoltre il Padre insegna anche al Figlio, poiché sta scritto [Gv 5, 30]: "Il Padre ama il Figlio, e gli manifesta tutto quello che fa". Così pure il Figlio ascolta [Gv 5, 30]: "Giudico secondo quello che ascolto". Quindi il Padre è più potente del Figlio.
3. Appartiene alla potenza del Padre il poter generare un Figlio uguale a sé. Dice infatti S. Agostino [Contra Maxim. 2, 7]: "Se non potesse generare un Figlio uguale a sé, dove sarebbe l'onnipotenza di Dio Padre?". Ma come si è dimostrato [q. 41, a. 6, ad 1, 2], il Figlio non può generare un Figlio. Quindi il Figlio non può tutto ciò che può il Padre nella sua onnipotenza. E così non è uguale a lui nel potere.

In contrario: Nel Vangelo [Gv 5, 19] leggiamo: "Quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa".

Rispondo: È necessario affermare che il Figlio è uguale al Padre anche nella potenza.
Infatti il potere di agire è una conseguenza della perfezione della natura: vediamo infatti nelle creature che quanto più perfetta è la natura di un agente, tanto più perfettamente esso agisce.
Ora, si è dimostrato [a. 4] che la stessa ragione di paternità e di filiazione richiede che il Figlio sia uguale al Padre nella grandezza, cioè nella perfezione della natura. Conseguentemente si deve anche dire che il Figlio è uguale al Padre nella p
otenza. - E lo stesso si dica dello Spirito Santo rispetto al Padre e al Figlio.

Soluzione delle difficoltà: 1. Le parole evangeliche: "Il Figlio da sé non può fare nulla" non tolgono nulla al Figlio del potere che ha il Padre, poiché subito si aggiunge: "quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa".
Esse invece ci mostrano che il Figlio riceve il potere dal Padre, da cui riceve la natura.
Quindi S. Ilario [De Trin. 9, 48] può affermare: "L'unità della natura divina è tale che il Figlio, pur agendo di per sé, non agisce da sé".
2. Il manifestare del Padre e l'ascoltare del Figlio non indicano se non che il Padre comunica al Figlio la scienza, come gli comunica anche l'essenza. E a ciò stesso può riferirsi il comandare del Padre, avendo egli dato al Figlio da tutta l'eternità, con la generazione, la conoscenza e il volere di ciò che egli doveva fare.- Oppure, e meglio, tutto ciò è da riferirsi a Cristo in quanto uomo.
3. Come la medesima essenza che nel Padre è paternità nel Figlio è filiazione, così è la medesima potenza quella con cui il Padre genera e il Figlio è generato.
Quindi è chiaro che tutto ciò che può il Padre, lo può anche il Figlio.
Non ne segue però che il Figlio possa generare: poiché [in tale illazione] si passa dall'essenza alle relazioni, dato che in Dio la generazione significa una relazione.
Quindi il Figlio ha la stessa onnipotenza del Padre, ma con una diversa relazione.
Il Padre la possiede come donatore, e ciò è indicato col dire che può generare; il Figlio invece la possiede come ricevente, e ciò è indicato col dire che può essere generato.




SEGUE......




Una stretta di [SM=g1902224]



Pierino









contatto skype: missoltino 1
I nostri amici





Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:05. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com
Horloge pour site Orologio per sito