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"Viaggiando" nella Bibbia..cosa si "Scopre"?..cosa dicono gli Esegeti?

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2013 17:09
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[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. VI (prima parte) [SM=g6198] [SM=g6198]





dal re Ezechia al re Giosia: storia di una riforma


«Ho trovato il libro della legge nel tempio di Jahvé» (II Re 22, 8).
Il grido cadde come una pietra in un lago tranquillo:
in pochi momenti tutta la superficie è in movimento.

Come il colpo di cannone nel silenzio della valle:
in pochi secondi l'eco riempie la valle come il tuono di mille cannoni.

Nel corso della storia si verificano situazioni del genere, in cui tutto converge verso uno stesso punto ma nessuno può sapere quale sia, perché sta al di là dell'orizzonte.

L'aria è pregna.
Qualcosa sta per succedere.

Nessuno sa che cosa, ma tutti ne hanno il presentimento;
qualcosa succederà inevitabilmente.

E quando succede è come l'energia elettrica che finalmente arriva e nel buio della notte illumina d'improvviso tutti i lampioni della città perché l'impianto era già pronto e si aspettava solo l'arrivo della corrente.
Tutto cambia.

Successe così quando il sacerdote Kilkia scoperse il libro della legge nel tempio di Jahvé e lanciò quel grido fatidico.
Era l'anno XVIII del regno del re Giosia (II Re 22, 3) l'anno 622 a.C.

Non si conoscono con esattezza le circostanze storiche della scoperta della legge e neppure si sa perché andò a finire proprio nel tempio. Sappiamo però la ripercussione che ebbe il fatto.
È questo che ci interessa.

I movimenti storici sono come i grandi alberi dalle radici umili e nascoste nei secoli anteriori.
Per questo sono irreversibili. Nessuno riesce a sbarrarne il passo.

Sono più forti degli uomini, i quali però possono influirvi sia in bene che in male. Possono far sì che il voltaggio della corrente che arriva dalla centrale elettrica superi quello dell'impianto, che scoppia e va in aria.

Allora accadde proprio così. Tutto andò in malora.



1. Le radici da cui nacque l'albero

Esattamente cento anni prima, nel 721 a.C., accadde la grande catastrofe del regno di Israele situato a Nord della Palestina.
Salmaneser, re della Siria, la grande potenza mondiale dell'epoca, invase il territorio (II Re 17, 3-5), distrusse la capitale Samaria (II Re 17, 6), rase al suolo l'interno del paese, deportò il popolo (II Re 17,6.20.23; 18, 11) e trapiantò al suo posto altre popolazioni (II Re 17, 24). Mise fine definitivamente a qualunque focolare di rivolta e di sovversione.

Si chiuse la storia del regno del Nord.
Ma la guerra continuò.
Gli eserciti dell’Assiria continuarono a marciare verso il Sud circondando le montagne del regno di Giuda e andarono a combattere contro gli Egiziani nel territorio di Gaza.

La distruzione di Samaria fu un avviso molto serio per il piccolo regno di Giuda, che nella guerra tra le due grandi potenze (Assiria ed Egitto) si trovò completamente isolato, imbottigliato in alta montagna.

Il popolo del Nord si disintegrò e cessò di esistere, perché aveva abbandonato il centro che unificava la vita nazionale.

Aveva smesso di essere fedele all' Alleanza e aveva lasciato da parte la costituzione del popolo che era la legge di Dio (II Re 17, 7-18; 18, 12).

Però in Giuda non era differente l'infedeltà e il cancro della decomposizione era identico (II Re 17, 19). Il territorio non fu invaso, ma più per un caso che per essersi meritato di scampare.
Si salvò perché poco prima il re Acaz si era fatto amico dei potenti.

Non volle entrare nell'alleanza di Israele contro l'Assiria (II Re 16, 5-6) e andò lui stesso a cercare il re Salmaneser pagando un pesante tributo affinché questi venisse ad aiutarlo contro la minaccia di Israele (II Re 16, 7-18).

E adesso che fare?
Quale posizione prendere?
Farsi amico della Siria?

No di certo! Sarebbe come sconfessare tutto un passato di fede e di lotta.
Anzi la stessa Assiria, anche quando aiutava gli altri, aveva di mira solo il suo interesse, il suo potere e la sua sicurezza.

Al di fuori la minaccia dell' Assiria cresceva, e al di dentro, senza incontrare alcuna resistenza, si formava un vuoto dilagante.
Acaz era un condottiero impotente.
Non sapeva come affrontare la situazione divenuta drammatica.

Il profeta Isaia aveva già tentato di rianimarlo con la fede nel futuro che Dio riservava al suo popolo (Is. 7, 1-25), ma non aveva trovato eco in quest'uomo mediocre che in un momento di disperazione era arrivato al punto di sacrificare il suo stesso figlio per propiziarsi altre divinità (II Re 16, 3).

Non c'era più spirito combattivo; la speranza veniva meno insieme alla capacità di resistere.
Avevano perduto il senso dell'esistenza.

Il vuoto interiore cresceva a dismisura. Aveva ragione Isaia:
«Se non avete fede non potete resistere» (Is. 7, 9).
Come risvegliare la fede?

Acaz morì. Il governo fu assunto dal giovane Ezechia, abile politico che aveva 25 anni di età.
Regnò quasi 30 anni (II Re 18,2).

Era un uomo di fede che «collocava in Dio la sua speranza» (II Re 18, 5). Aveva fede nel futuro di Dio e seppe comunicarla agli altri.
Suscitò un desiderio generale di riforme di cui lui stesso si fece portavoce e strumento.

Un soffio di vita nuova pervase l'intera nazione e tutti si sentirono rianimare.
L'apatia era vinta, il vuoto colmato.
Cominciò a nascere una nuova mentalità:
idee nuove su Dio, sul culto, sul passato, sul destino della nazione.

Erano solo idee, ma idee forti e ardenti che misero subito le ali e cominciarono a circolare nella testa del popolo.

Proprio qui, in questo movimento di rinnovazione provocato da Ezechia, in queste idee nuove, nasce la radice di quella legge che fu scoperta nel tempio quasi cento anni dopo dal sacerdote Kilkia.



2. I primi passi della riforma

La riforma prese corpo e entrò in tutti i settori della vita nazionale. La fede ne uscì purificata e i fuochi di magia e superstizione furono estinti (II Re 18, 3-4; II Cron. 29, 3-11);
le ingiustizie furono eliminate e la legge di Dio adottata come costituzione del popolo nella solenne celebrazione della Pasqua (II Cron. 30, 1-27);

si ricercarono e si raccolsero le tradizioni antiche (Prov. 25-1); Gerusalemme fu restaurata e le sue mura furono fortificate per qualunque eventualità (II Cron. 32, 1-5);

Ezechia si incaricò del rifornimento di acqua in caso di assedio o di assalto alla città e scavò un acquedotto nella roccia viva che tutt'oggi desta meraviglia (II Re 20, 20); combatté e sconfisse i Filistei nemici tradizionali dei Giudei (II Re 18,8);
purificò il tempio, (II Cron. 29, 12-17) riformò il culto e il sacerdozio (II Cron. 31.1-21).

Dalle ceneri rinasceva un popolo nuovo.
Ezechia scoprì il punto nevralgico attraverso cui far breccia per dare nuova speranza a un popolo avvilito e disperso.

Il perno della riforma consisteva nella rinnovazione spirituale e religiosa del popolo.

Una vera conversione del popolo al fulcro da cui partiva la rigenerazione della vita nazionale;
una conversione cioè alla sua vita con Dio" perché il ricordo del passato era ancora vivo in lui (cf. II Cron. 30, 5-9.13-20).

Tornarono a fiorire la speranza e la volontà. di lottare e di vivere in forza di questa nuova fede.

Ezechia riuscì a sfondare la porta del futuro che minacciava di chiudersi per sempre. Ci riuscì soprattutto perché la riforma liturgica, espressione autentica della vita del popolo, aprì uno sbocco alle forze vive che in esso esistevano, aiutandolo così a riscoprire la sua identità di «popolo di Dio».

Fu il grande merito di Ezechia che resterà immortale:
«Tra tutti i re di Giuda nessuno fu come lui né prima né dopo» (II Re 18, 5).

L'opera sua però non si restrinse alle frontiere della sua nazione.
Da buon politico illuminò l'orizzonte della situazione internazionale, tanto più che sarebbe stato impossibile che una nazione piccola come la sua, in una situazione come quella, si rinchiudesse in un nazionalismo ostinato e cieco.

In Egitto il Faraone Sabaka si rifaceva dalla sconfitta subita.
Aveva riunito tutte le forze della nazione ristabilendo così l'equilibrio internazionale rotto prima di lui dall'invasione degli Assiri.

Subito da tutte le parti sorse il tentativo di un fronte internazionale anti Assiria appoggiato all'Egitto, che anzi lo fomentava.
In seno al governo di Ezechia crebbe la corrente a favore dell'Egitto che tentava di avere anche il re dalla sua parte.

Il profeta Isaia, consigliere del re in materia religiosa e politica, che aveva già in precedenza sconsigliato Acaz di appoggiarsi all'Egitto, conservava ancora la stessa linea politica.

L'Egitto non dava affidamento (v. Is. 30, 1-7; 31, 1-3).
Ma Ezechia non ascoltò il] consiglio.
Entrò in campo e partecipò attivamente al gioco (II Re 18, 21).

L'Assiria non si fece aspettare.
Piombò sulla resistenza e la sconfisse.
Giuda fu invasa, le città capitolarono una ad una (II Re 18, 13).
Restò solo Gerusalemme che Ezechia aveva attentamente preparato alla difesa lavorando in silenzio per anni ed anni.

Non si sa perché, ma il fatto è che Gerusalemme non fu presa.
Non fu neppure assalita.
Ezechia ne usciva vittorioso.

Come succede sempre in battaglia, le due parti in campo danno due differenti versioni dei fatti e ciascuna li interpreta a modo suo.

La Bibbia dice che le cose andarono così:
Sennacherib, generale assiro, arrivò con quattrocento mila uomini;
il popolo ne fu atterrito, ma intervenne l'angelo del Signore e decimò l'esercito nemico; il generale fu costretto alla ritirata. (II Re 18, 13-19.37; II Cron. 32,9-23).

L'altra versione dei fatti scoperta dagli archeologi nella città di Ninive dice una cosa del tutto differente.
Comunque siano andate le vicende, la ritirata di Sennacherib fu motivo di grande euforia che contaminò lo stesso re Ezechia:
si ingolfò nel gioco politico della cospirazione internazionale contro l'Assiria (II Re 20, 12-19).

Il popolo sentì crescere la fiducia in sé e nei suoi sforzi e non stava in sé dalla gratitudine (II Cron. 32,23). Il fatto contribuì alla rinnovazione interna del paese.



3. Sorgono forze contrarie e paralizzano il movimento

Ma il vento della sorte può cambiare direzione, ed infatti le cambiò.
Il successore di Ezechia, suo figlio Manasse, fu una delusione per il popolo e una nullità per il governo.
Era un inetto e perciò non dette nessun impulso alla riforma iniziata con tanta buona volontà e speranza.

Era un politicante e non si interessò né della religione né della giustizia (II Re 21,1-16).
Si ritornò al punto di partenza.

E tutto questo durò la bellezza di 50 anni e più.

Manasse cominciò a governare a 12 anni di età e morì al governo già vecchio di 60 anni (II Re 21, 1).

Nonostante tutto però, nel popolo rimase una certa nostalgia e la certezza che quando tutti lo vogliono davvero qualcosa si può e si deve fare, come attestano i fatti che seguono.

I politicanti s'impadronirono del governo.
Non si curavano affatto né della legge di Dio né del popolo (II Re 21, 16). Accadde quello che si temeva.

Amon, successore di Manasse, fu assassinato (II Re 31, 33).
Bisognava togliere di mezzo il re e mettere al governo chi difendesse meglio gli interessi di un gruppo di militari, ufficiali dello stesso Amon (II Re 21, 23).

Ma l'assassinio fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Il popolo si ribellò, perché nonostante le disgrazie e le delusioni sofferte a causa del re, si identificava ancora con la monarchia della famiglia di David.

Se qualcuno avesse osato toccarla avrebbe offeso il popolo e poteva aspettarsi immediata vendetta.

Il popolo fece giustizia:
prese e condannò i militari che avevano cospirato contro il re impossessandosi ingiustamente del governo (II Re 21, 24).
Il regime fu salvo.

Andò al governo il legittimo discendente di David ancora bambino di otto anni, Giosia (II Re 22, 1).
A quanto sembra il sacerdote Elkia assunse la reggenza fino a che il ragazzo avesse raggiunto un'età sufficiente per prendere in mano le redini del governo.
Era l'anno 640 a.C.



4. L'ansia di riforme si raddoppia

La violenza degli avvenimenti scosse il popolo e gli dette una nuova coscienza del suo potere.
Fu come ricominciare tutto da capo. Ricuperarono il ritardo sofferto per colpa di Manasse.

La voglia di fare riforme, e riforme di base, tornò raddoppiata.
Tutto contribuiva a questo clima dentro e fuori della nazione.

Fuori: l'Assiria era governata da Assurbanipal da oltre 28 anni.
Il tiranno aveva dato pace al mondo ma la pace del cimitero.

Fece azzittire i popoli davanti alla sua violenza assassina:
un'infinità di massacri, di deportazioni, di torture, di sangue.
Perciò a metà del suo governo poté diminuire la censura e la repressione e dedicarsi tranquillamente allo studio e alla caccia.

Lasciò ai posteri una biblioteca colossale ritrovata recentemente, ed altorilievi rappresentanti scene di caccia di rara bellezza. Il suo apogeo fu anche il principio della sconfitta finale.

A poco a poco l'Assiria languiva per eccesso di potere.
L'Egitto a sua volta, pur minacciando un'altra ribellione, non costituiva ancora un vero pericolo.
Babilonia, la terza potenza mondiale di allora, non era ancora cresciuta abbastanza per significare una minaccia, ed era vista con simpatia dai popoli oppressi.

Ezechia al tempo suo aveva già scambiato idee segretamente con un emissario della Babilonia (II Re 20, 12-15).

Nacque così all'interno del paese un movimento nazionalista.
Con la violenta eliminazione dei cospiratori e degli assassini del re Amon tutti passarono in blocco dalla parte del nuovo re ancora bambino, creatura del popolo.

In questo frattempo apparvero due grandi profeti, Geremia e Sofonia, che predicavano al popolo la riforma e il cambiamento.

Il movimento rinnovatore s'impose e dilagò. Invase tutto il paese.
Era appoggiato da tutti e anche in campo internazionale sembrava realizzabile.

Cominciò l'avanzata:
il re in testa e tutti dietro a lui.
Ma cominciò senza sapere bene da che parte orientarsi.
Tutto era pronto e tuttavia mancava ancora qualche cosa.

Secondo il libro dei Re passarono altri 18 anni prima che fosse dato il passo definitivo (II Re 22, 3).

Il libro delle Cronache ricorda alcuni tentativi anteriori (II Cron. 34, 37).

L'impianto elettrico era pronto ma dalla centrale non arrivava ancora l'energia.
C'era un intoppo.
Come quando si aspetta che l'acqua raggiunga i cento gradi per bollire.

Ma se sotto la pentola c'è il fuoco, non c'è pericolo:
l'acqua bollirà.E il fuoco c'era.

L'attesa durò fino al momento in cui echeggiò il grido:
«Ho trovato il libro della Legge nel tempio di Jahvé!»• (II Re 22, 8).

Tutta la città s'illuminò perché era arrivata la luce.
Il cannone tuonò nel silenzio della valle.
Si era trovato quello che mancava.
Echeggiò il grido e cominciò l'avanzata.

D'improvviso si aprì nitidamente una strada e tutti (re, profeti, sacerdoti, funzionari e popolo) vi entrarono dentro.
Avevano davanti a sé un futuro pieno di ottimismo.
Era l'anno 622 a.C., esattamente 100 anni dopo la caduta di Samaria.



5. La «Magna Charta» della riforma trovata nel tempio: la sua storia

La legge trovata nel tempio era l'antica legge di Dio, ma riveduta e corretta in una edizione nuova adatta ai tempi nuovi.

Le idee lanciate da Ezechia e soffocate durante il lungo governo di Manasse vi incontravano una formulazione concreta e operativa.
Quelle idee non erano scomparse, ma erano state ruminate da alcuni idealisti che le conservarono, le formularono e le misero per scritto (idealisti che pensavano al futuro e non si lasciarono vincere dal marasma politico e religioso provocato dall'incapacità di Manasse).

Non si sa come né perché il loro scritto andò a finire nel tempio.
Là fu trovato da Elkia in occasione delle riforme che si stavano facendo nella costruzione (II Re 22, 3-10).

Portato al re e letto alla presenza di lui, il libro provocò una reazione inaspettata di paura e di confusione:
«Grande deve essere la collera del Signore contro di noi, perché i nostri padri non hanno obbedito alle parole di questo libro e non hanno messo in pratica tutto ciò che vi è scritto» (Il Re 22, 13).

Ebbero l'impressione che all'improvviso la nebbia si dileguasse e lo orizzonte si delineasse limpido ai loro occhi.

Il libro era lì ad indicare il cammino da tutti desiderato ma che nessuno riusciva a definire.

La legge trovata nel tempio diceva come fare.
Veniva a formulare con esattezza ciò che era confuso nelle aspirazioni di tutti.
Offriva loro una strategia dell'azione.

Tutti presero coscienza della crisi che stavano vivendo (cf. II Re 22, 14-17). All'istante il popolo fu convocato, la legge fu letta in assemblea plenaria e tutti s'impegnarono a metterla in pratica (II Re 23, 1-3).
La riforma aveva adesso la sua «Magna Charta».

Si poteva mettere mano all'opera.
Il popolo aderiva in pieno (II Re 23, 3).
Lo scopo consisteva nell'applicare integralmente le esigenze di Dio nella situazione nuova in cui si trovavano.

A dire il vero, una riforma drastica della vita nazionale era più che necessaria. Tutti se ne rendevano conto.
La religione, così come era praticata, era piena di superstizioni.

Una delle cause era l'infiltrazione e la mescolanza di elementi pagani nel culto di Jahvé e l'abbondanza di piccoli santuari sparsi per tutto il territorio, dove si praticava un culto affatto differente dal culto magico dei Cananei.

I profeti non si stancavano di denunciarlo.
Ma non serviva quasi a niente.

Bastò per esempio che morisse Ezechia perché Manasse ripristinasse tutto l'apparato pagano del culto (II Re 21, 3-7).
Segno che nella vita del popolo c'era tutta una ricerca e un vuoto nascosto, che trovavano risposta concreta solo in questi elementi magici.

C'era il pericolo di una perversione lenta e progressiva dell'idea di Dio, seguita dalla perversione del senso della vita della nazione.

Proprio così 100 anni prima era incominciata la caduta della Samaria.
Se lo ricordavano tutti e avevano paura che la cosa si ripetesse.
Il popolo del Nord si disintegrò e cessò di esistere per non sapere più chi era né perché esisteva.

Era meglio prevenire che rimediare.

Ma non c'era re né profeta capace di strappare il male con la radice e tutto.
La coscienza del popolo non era chiara.
Il problema si presentava assai complesso.

Fin dal 722, quando la Samaria fu distrutta, i teorici del governo avevano incominciato ad analizzare il problema più da vicino, arrivando a conclusioni pratiche radicali di grande importanza per la vita del popolo. Redarono un documento o manifesto in cui si diceva come applicare la legge di Dio.

Stesero anche un piano d'azione. Elkia lo trovò molto tempo dopo nel tempio.



6. La «Magna Charta» della riforma trovata nel tempio:
il suo contenuto


Esaminiamo i punti principali del manifesto o legge contenuti nel Deuteronomio.

Il documento presenta Mosè che parla al popolo poco prima di prendere possesso) della terra.
A dire il vero il popolo cui Mosè parlava non era quello che visse al suo tempo verso l'anno 1200 a.C. ma era il popolo che camminava per le strade di Gerusalemme' e nell'interno della Palestina, un popolo dedito alla superstizione al tempo di Manasse e Giosia.

Mosè espone la legge in modo molto diretto e personale sotto forma di un discorso.
Si propone di arrivare alla coscienza del popolo e fargli sentire la sua responsabilità in quel particolare momento storico della sua vita.

Attraverso la lettura del manifesto il popolo avrebbe dovuto riscoprire la sua identità di «popolo di Dio», il suo impegno urgente con questo Dio e le esigenze di vita' che ne derivavano.
Col re il manifesto raggiunse'il suo scopo.

Basta vedere la reazione appena finì di ascoltarne la lettura (II Re 22, 13).
Il Deuteronomio ragiona così:
il popolo non può avere altra divinità all'infuori di Jahvé, unico Dio e Signore del popolo (cf.Dt. 6, 4-25).

Tutto il resto che porta il nome di Dio non ha alcun valore.
Deve essere sradicato (Dt. 6, 14-15; 7, 25-26).
L'impegno del popolo con Jahvé non deriva da quello che il popolo ha fatto per Jahvé, ma da quello che Jahvé ha fatto per il popolo (Dt. 6, 20-7, 6): è un dovere di riconoscenza e di amore (Dt.
7, 7-11).

Per il fatto di essere stati scelti da Jahvé, hanno il dovere di osservare i suoi comandamenti per potere un giorno godere delle sue promesse.
È l'idea fondamentale e occupa tutta la prima parte del libro del Deuteronomio (capp. I-II).
Segue l'applicazione pratica della nuova maniera di concepire la vita nazionale.

L'unico santuario sarà espressione della fede nell'unico Dio.
Tutti gli altri luoghi di culto saranno distrutti.
Jahvé, il Dio del popolo, può essere adorato solo nel luogo da lui scelto per il culto (Dt. 12, 5).

Si capisce che questo unico luogo sarà Gerusalemme.
Solo li andranno a fare offerte ed olocausti (Dt. 12;
6-7). Ogni pratica di culto è prescritta fino nei più insignificanti particolari.

Tutto è centralizzato. Niente resta al caso o all'iniziativa personale. Bisogna farla finita con la situazione in cui «ciascuno si regola come meglio crede» (Dt. 12, 3). La grande preoccupazione consiste nel circuire la liturgia in modo da escludere una volta per tutte la pratica della magia (cf. Dt. capp. 12, 18).

Una delle più importanti. norme concrete era l'obbligo di fare tre pellegrinaggi all' anno al tempio di Gerusalemme in occasione delle tre grandi feste nazionali (Dt. 16, 16).

Sarebbe bastato a promuovere la coscienza di unità nazionale e sarebbe stata un’occasione propizia per istruire e aggiornare il popolo su Dio e sulle esigenze della Legge.

Conviene leggere il libro del Deuteronomio per farsi un'idea dell'appello vibrante rivolto alla coscienza del popolo, in quello stile diretto e suggestivo che gli è proprio, e per capire la rigidità della riforma liturgica che non lasciava niente di indefinito.




SEGUE..


una stretta di [SM=g1902224]


Pierino








[Modificato da mlp-plp 09/10/2009 23:09]
contatto skype: missoltino 1
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