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"Viaggiando" nella Bibbia..cosa si "Scopre"?..cosa dicono gli Esegeti?

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2013 17:09
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[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. VII (seconda parte) [SM=g6198] [SM=g6198]


Geremia: la fuga non è mai soluzione



3. Prassi del profeta Geremia


In mezzo all'angustia generale.
Geremia ragionava a mente fredda.

Denunciava con chiarezza la falsità della politica ufficiale, non si preoccupava delle dicerie dei profeti opportunisti (28, 117; 23,9-40), ma seguiva la sua strada, smascherando uno per uno i punti essenziali di quella falsa sicurezza, generata dalla paura del popolo e dalla presunzione dei condottieri.

Il culto:
non piace a Dio, anche se profuma di incenso comprato All’estero (6, 20); è un culto falso e disonesto (7, 2126); non offre nessuna protezione.

Il tempio:
è un inganno tragico volersi appoggiare all'esistenza del tempio.

Dio non abita più là dentro, ma è diventato straniero nella sua propria terra (14, 8), e il tempio sarà distrutto come una casa qualunque (7, 12-14).

Dio non ne vuol più sapere degli Israeliti (7,15).
La circoncisione (9,24), i sacrifici (14, 12), il digiuno (14, 12), la preghiera (11, 14), in cui riponevano la loro fiducia, non servono più a niente;
neppure i grandi uomini del passato, Mosè e Samuele, potranno far sì che Dio abbia pietà del popolo (15, 1).

La legge non li protegge più, perché hanno fatto della legge uno strumento di oppressione e di inganno (8, 8-9).

Il re, che era la pupilla degli occhi di Dio, è diventato inefficiente: «Anche se il re fosse un anello della mia mano destra, me lo strapperei, dice il Signore» (22, 24).

Non avrà discendenza (22, 30).

Conclusione logica: «Dio non abita più a Gerusalemme (8,19 )>>.

È inutile gridare: «Va tutto bene! Perché tutto va di male in peggio» (8, 11).
È inutile pensare che l'Egitto si interessi di soccorrerti (37, 7).

«Sarai ingannata dall'Egitto come lo fosti dall'Assiria.
Anche di là uscirai con la testa fra le mani» (2, 36, 37), (cioè, prigioniero).

Qualunque soluzione tu prenda, sarà solo una fuga, e la fuga non è mai soluzione! Sarebbe come invocare il pericolo, invece di allontanarlo.

Ma insomma, Geremia, tu che critichi tutto, quale soluzione suggerisci?

Non c'è soluzione!
Tutto è marcio; questa istituzione qui deve sparire:
«Sono così abituati a fare il male che non riescono più a fare il bene>~ (13, 23).

La conversione del popolo è impossibile, come è impossibile che un negro diventi bianco (13,23).
Il peccato ha pervaso ogni cosa (17,1-2).

Neppure se volessimo, potremmo cambiare stile di vita (18, 11-12).
La fedeltà è sparita in mezzo a loro (7, 27-28); perciò:
«Spezzerò questo popolo e questa città come si frantuma un vaso di argilla, che non si può più mettere insieme» (19, Il).

«Allora, dove andremo?».

«Alla peste, quelli che sono destinati a morire di peste!
Alla spada, quelli che sono destinati a morire di spada!
Alla fame, quelli che sono destinati a morire di fame!
Alla schiavitù, quelli che sono destinati alla schiavitù» (15, 2).

Resta una sola possibilità di uscire vivo dalla terribile minaccia:
consegnarsi al nemico che avanza (27, 12; 58, 17-18).

Era i1 consiglio di Geremia a chi volesse ascoltarlo.

Gli altri consigli, che spronavano alla pratica del bene e della giustizia, sembravano cadere nel vuoto.
Un uomo che parlava così era pericoloso e sovversivo.

I suoi discorsi provocavano rivolta, demoralizzavano il popolo e toglievano il coraggio ai soldati, che non avevano più animo per combattere contro Babilonia (38, 4).

Un uomo di questo tipo doveva essere eliminato (28, 4).
Sapeva solo parlare di terrore (20, lO).

Combinarono d'imprigionarlo e, in un pomeriggio relativamente çalmo, dopo un prolungato assedio di Gerusalemme da parte dei Babilonesi, Geremia fu catturato, mentre usciva dalla città (37, 1116).

«Tu stai passando dalla parte dei Caldei cioè dei Babilonesi».
«Bugiardi! lo non sto passando dalla parte dei Caldei» (37, 14).

Le sue proteste non valsero a niente.
Fu preso, malmenato, e gettato in prigione (37, 15).
Un sotterraneo, che lo soffocava e gli faceva sentire la paura della morte (37, 20).

Ma la prigione non valse a nulla.
Un uomo come Geremia è sempre scomodo, sia in carcere, sia a piede libero.

Invece di migliorare, la situazione peggiorò sempre di più, perché la prigione causò divisioni fra gli stessi capi del popolo (leggere i capp. 37, 38).

Tanto chi era a favore come chi era contro, tutti avevano paura di lui, come risultò dall'intervista segreta del re con Geremia.
Il re non voleva che si sapesse che era stato lui a chiamarlo per parlare (38, 24-26).

Geremia era un uomo per il quale «fede in Dio» non era alienazione; consisteva nel vivere bene la sua vita umana.

Scopriva gli appelli di Dio negli avvenimenti, sia nazionali che internazionali.
Lui faceva parlare i fatti, «interpretava la vita».

Visto che tutti dicevano di aver fede in Dio, Geremia esigeva l'adempimento dell'impegno e metteva in evidenza le incongruenze della fede con la vita.
Proprio per questo la sua parola feriva.

Non si voleva vedere la luce della verità, che Geremia metteva in evidenza con le parole e i gesti chiari, scultorei.
Tentarono con ogni mezzo di soffocare la sua voce.





4. Conseguenze di un impegno: sofferenza e persecuzione

A guardarla da lontano, la figura di Geremia è ammirevole.
Vista da vicino, impressiona e fa paura per la violenza del dolore e per la imperturbabile fedeltà a una missione che non aveva mai desiderato, ma che nacque e crebbe in lui come appello di Dio (cf. 20, 7-9).

Bisogna aver sofferto tanto per arrivare a dire:
«Maledetto il giorno in cui sono nato, non può essere benedetto il giorno in cui sono nato, non può essere benedetto il giorno in cui fui dato alla luce... Perché non sono morto ancora prima di nascere?

Che bellezza se il ventre di mia madre fosse stato la mia tomba!
Perché sono uscito vivo dal seno materno?» (20, 14-17).

Fu vittima di cospirazioni e attentati (15, 10).
Lottò e lavorò per 30 anni continui senza ottenere il minimo risultato (25, 3).

Il suo lamento è tragico: «Ho lasciato la famiglia, ho abbandonato l'eredità e ho consegnato alle mani dei nemici ciò che di più caro aveva il mio cuore (sua madre).
Il mio popolo mi è venuto contro come un leone che rugge nella foresta» (12, 7-8).

Restò solo col suo dolore.
Li aveva tutti contro:
il fratello e i suoi stessi familiari lo tradirono (12, 6), gli abitanti di Anatot, suoi conterranei, cercarono di ucciderlo (11, 18-21), i sacerdoti e gli altri profeti e il popolo intero si lanciarono contro di lui gridando: «a morte!» (26, 8).

Alla fine, fu gettato in un pozzo in rovina e fetido, da cui fu tolto per intercessione di alcuni amici, tra i pochi che gli restavano (38, 1-13).

E tutto ciò gli sembrò una sofferenza assurda e inutile.
Infatti, 23 anni di lavoro senza alcun risultato, farebbero perdere il coraggio a chiunque!

E, tuttavia, in mezzo a tante sofferenze, lo sosteneva una forza che nessuno avrebbe potuto vincere, e faceva di lui «una città fortificata, una colonna di ferro, un muro di bronzo» (1, 18).

Era la certezza:
«Il Signore mi accompagna, come un guerriero invincibile» (20, 11).
Per quanto dura fosse la sua sorte e per quanto tentasse di rivoltarsi contro di essa, in fondo voleva essere così e ne era contento.

Sapeva che questo era il suo cammino.
E anche se la sua missione lo faceva soffrire tanto, ricordava con gioia il momento della sua vocazione, quando dice:
«Tu mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre.

Mi hai vinto e hai trionfato su di me» (20, 7).
Per lasciarsi sedurre bisogna pur trovare qualcosa che piaccia davvero!

Sempre disprezzato in vita, quest'uomo, dopo la morte, diventa l'immagine del futuro Messia «Uomo dei dolori che portò su di sé le nostre colpe» (Mt. 8, 17; Is. 53, 3-4).
Succede sempre così;
chi in vita sembrava soffocare la speranza di tutti, dopo la morte diventa simbolo di speranza universale.





5. Geremia contribuì alla realizzazione del progetto di Dio

Geremia non aveva nessuno con cui sfogarsi, si sfogava con Dio.
Contribuì così ad interiorizzare la religione e ne fece la religione «del cuore» cioè, qualcosa di molto personale che entra nell'intimo dell'uomo e non si limita ad alcuni gesti esteriori.

Geremia riuscì a farlo, non solo col suo insegnamento, molto più con la sua vita.
Per riuscire nella vita, per superare e combattere le difficoltà della sua missione, dovette soffrire: vinse, perché nella sofferenza riuscì ad incarnare, nella sua vita personale, tutti i valori collettivi della fede del popolo.

La sofferenza lo portò ad interiorizzare la religione e fece crescere in lui l'uomo.

Quando pregava, ed è frequente nel suo libro, non era artificiale, ma diceva tutto quello che gli veniva dalla mente e dal cuore:
vendetta, disperazione.

Vivendo il suo dramma personale, la sua solitudine (non si sposò per essere fedele alla sua vocazione) maturò in lui l'esperienza della fede.


Riuscì ad assimilare tutti i valori del passato, personalizzandoli nella sua vita.
Sarebbe utile leggere. i passi più significativi delle così dette «Confessioni di Geremia»:, (cap. 11, 18-12,6; 15, 10-21; 17, 14-18; 18, 18-23; 20,7-18; 12, 7-13) Dalla sofferenza emerge la coscienza personale dell'uomo di fronte alla coscienza collettiva.

L'uomo si incontra con se stesso;
perché si è incontrato coll'Io assoluto di Dio.
In Geremia, la religione diventa più matura, più adulta.

Incomincia con lui il movimento di rinnovazione dei così detti «Hassidim» e dei «poveri di Jahvé», dei quali facevano parte la Madonna e Elisabetta.

Un altro punto alto, negli scritti e nella vita di Geremia è l'aspetto concreto della religione, il coraggio che aveva questo uomo di indicare gli appelli di Dio nella vita.

La religione, per lui, non era un sistema, erano uomini che camminano animati dalla fede, in direzione del futuro.

È evidente che ci vuole coraggio per indicare gli appelli di Dio, perfino negli avvenimenti internazionali;
segno della fede che Dio ha in mano il mondo e il suo destino.

Si intravede anche la convinzione che il mondo sarà quello che gli uomini lo faranno con la loro libertà:
è inutile riferirsi a Dio, come pretesto per giustificare il malessere.

Da questo aspetto concreto della sua missione, si capisce che Geremia non intendeva davvero rinchiudersi nella 'sacrestia', come oggi si finisce col fare.

Insomma, come abbiamo visto, la figura di Geremia, così discussa in vita, diventò simbolo di speranza. Quando, più tardi, Isaia descrive la figura del futuro Messia (Is. 53), ha davanti agli occhi l'immagine di Geremia.





SEGUE..


Una stretta di [SM=g1902224]


Pierino



contatto skype: missoltino 1
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