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"Viaggiando" nella Bibbia..cosa si "Scopre"?..cosa dicono gli Esegeti?

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2013 17:09
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[SM=g6198] [SM=g6198] CAP. IX (prima parte) [SM=g6198] [SM=g6198]



un prologo al libro di Giobbe:
il dramma di tutti noi



Sta per cominciare il dramma.
Nel teatro si fa silenzio.
Il telone però non si apre.
Esce fuori un presentatore e, a tela chiusa, legge il prologo.
Presenta all'uditorio, nel nostro caso al lettore, il problema che sarà svolto e approfondito nel dramma imminente, il problema concreto della vita di un uomo e del suo destino.







1. Che dice il prologo


Il presentatore esordisce raccontando una storia:
«C'era una volta, nella lontana regione di Uz, un uomo chiamato Giobbe, integro, onesto, che temeva Iddio e fuggiva il male» (Giob. 1, 1).

Era un uomo pio, ricco, celebre, stimato da tutti, felice (Giob.
1, 2-5).

Il prologo continua e gli spettatori si sentono trasportati dietro le quinte del destino degli uomini, là dove si decide il perché delle cose che succedono nella vita e che ci sono sconosciute, perché superano le possibilità della nostra indagine.

Immagina una riunione nell'alto dei cieli.

Racconta che Dio convocò la corte celeste per discutere e decidere il destino degli uomini.
Satana era uno dei membri della riunione (Giob. 1, 6).

La parte di Satana, in questo caso, sarebbe quella dell' «avvocato del diavolo» nel processo dell'umanità, o meglio del Pubblico Ministero, che accusa gli uomini davanti a Dio.

Quando Satana prese la parola, Dio aveva richiamato la sua attenzione sulla vita esemplare di Giobbe:
«integro, onesto, che temeva Iddio e fuggiva il male» (Giob. 1, 7-8).

Ma Satana non ci aveva creduto.
Contestava.
Diceva che tutto ciò dipendeva solo dal fatto che Giobbe viveva nel benessere ed era ricco:

«Giobbe teme Dio perché non gli costa niente.
Non hai tu forse difeso come con una muraglia la sua casa, la sua persona e tutti i suoi beni?
Hai sempre benedetto ogni sua opera» (Giob. 1, 9-10).

La tanto decantata pietà di Giobbe era solo una facciata apparente.
«Stendi la tua mano e prova a levargli tutto quello che possiede.
Vedrai che ti getterà in faccia insulti e maledizioni» (Giob. 1, 11).

Dio accettò la sfida:
«sta bene; ti do potere su tutto quello che possiede» (Giob. 1, 12).

Col permesso di Dio Satana mise alla prova la rettitudine e l'onestà di Giobbe.
Poteva fare tutto quello che voleva, purché non toccasse la persona di lui.

Fu così che, d'improvviso, senza sapere perché, Giobbe vide cadere sopra i suoi beni una catena di disastri.

Finì col perdere tutto, da un'ora all'altra.
Dal disastro si salvarono solo Giobbe e sua moglie.
Anche i figli morirono tutti, in una tempesta (Giob. 1, 13-19).

Era troppo! Disperato, Giobbe si strappa di dosso i vestiti e grida «nudo sono uscito dal ventre di mia madre; nudo tornerò alla terra!» (Giob. 1, 21).

Ma, nonostante tutto, Giobbe non si ribellò, «né bestemmiò il nome di Dio» (Giob. 1, 22).

Al contrario, la sua reazione fu questa:
«il Signore mi ha dato, il Signore mi ha tolto.
Benedetto il nome del Signore» (Giob. 1,21).

Perciò, nella riunione seguente, Dio mostrò a Satana che si era sbagliato a rispetto di Giobbe (Giob. 2, 1-3).
Non era solo apparenza.
Era proprio virtù.

Ma Satana non si dette per vinto:
«pelle per pelle! L'uomo è capace di dare tutti 1 suoi beni, pur di salvare la sua vita.

Stendi la tua mano e tocca le sue ossa e la sua carne; giuro che ti rinnegherà sul viso» (Giob. 2, 4-5).

Dio gli dette il permesso: «sta bene. Te lo consegno».

Gli chiese solo di non ucciderlo.

Per il resto, poteva fare di lui quello che voleva.
Satana mise in opera il suo piano.

D'improvviso, senza sapere perché, Giobbe diventò lebbroso, orribile (Giob. 2, 7).
Con un coccio si grattava le ferite.
Andò a stare su un letamaio (Giob. 1, 8).

Sua moglie non volle più aver niente a che fare con lui, non sopportava neppure l'alito fetido di Giobbe nel suo letto. (Giob. 19, 17).

Arrivò a istigarlo a maledire Iddio.

«Perché restare fedele a un Dio che non ti protegge e ti castiga così?
E tu ancora persisti nella tua onestà?
Scemo! Manda una maledizione a Dio, e falla finita con la vita!» (Giob. 2, 9).

Giobbe le rispose:
«scema sei tu, che parli così! Se abbiamo accettato da Dio la felicità, come non accetteremo da lui anche l'infelicità?» (Giob. 2, 10).

E Giobbe, nonostante tutta la sofferenza, non si ribellò contro Dio (Giob. 2, 10).

E il peggio era che non sapeva il perché di tanta sofferenza.

Non aveva partecipato alle riunioni, in cui si decise del destino degli uomini, anzi, non sapeva neppure che si facessero.
Esperimentava solo, nella sua carne, l'effetto doloroso delle decisioni prese.

Secondo la mentalità del popolo di quel tempo, un dolore e una sofferenza tanto grandi potevano solo spiegarsi così:
castigo di Dio.

Giobbe doveva essere un grande peccatore.

Tre amici di Giobbe vennero a sapere delle disgrazie che lo avevano colpito e si mossero da lontano per partecipare al suo dolore, per portargli un po' di conforto e manifestargli simpatia e solidarietà. (Giob. 2, 11).

Ma Giobbe era così sfigurato, che quasi non lo riconobbero (Giob. 2, 12). Furono schiacciati dalla pena.

Si sedettero presso di lui, piansero, e non furono capaci di dire una parola. Un silenzio di «sette giorni e sette notti, tanto era grande il dolore da cui lo vedevano oppresso» (Giob. 2, 13).

La sofferenza del giusto chi la può spiegare?
La sofferenza del giusto!
È questo il problema che sarà discusso nel dramma.

Il prologo ha presentato un caso ben concreto, uno tra mille, simili a questo.
Ha compiuto la sua missione, e si ritira.
L'attesa è generale.





2. Tema del dramma:
la sofferenza del giusto, chi la può spiegare?



Il silenzio di 7 giorni e di 7 notti arriva fino al pubblico, che sta nel teatro, fino al lettore.
La tela, che è rimasta chiusa fino a questo momento, si apre lentamente.

Sulla scena, Giobbe sopra un letamaio.
Vicino a lui, i tre amici.

Nessuno dei 4 parla... Il silenzio del dolore si prolunga, invade i secoli, invade il mondo e arriva fino a noi, oggi, che leggiamo il libro di Giobbe.

Questo silenzio esprime la nostra incapacità a spiegare la sofferenza; avvolge tutti, e tutti ci unisce in uno stesso tentativo di ricerca:

Giobbe, i tre amici, il pubblico della sala, il lettore, noi, oggi, qui, tutti gli uomini. Nessuno parla...

D'improvviso, un urlo squarcia il silenzio.
Un lamento di dolore.

Il pubblico sussulta e, allo stesso tempo si rallegra, perché Giobbe, finalmente, ha trovato il coraggio di esprimere con parole e di gridare ai quattro venti ciò che prova il giusto che soffre, senza sapere perché.

Quel grido diventa portavoce di molti che lo ascoltano:
«Maledetto il giorno in cui sono nato e la notte in cui fu detto:
un figlio maschio è venuto al mondo!
Che quel giorno si cambi in tenebre!
Che Dio, dall'alto, ignori quel giorno! ... Perché non sono morto nel seno di mia madre, perché non sono rimasto soffocato uscendo dalle sue viscere?

Perché ebbi un grembo che mi accolse e due seni che mi allattarono? Riposerei in pace e dormirei... Perché far conoscere la luce agli infelici e la vita a chi ha il cuore sepolto nell'angoscia?

Non ho pace né riposo, né conforto, ho soltanto un infinito tormento» (Giob. 3, 4.11-13.20.26).

Giobbe aprì il dibattito.
Mise le carte in tavola.

Ebbe inizio la dura marcia dell'uomo in cerca di un senso per le cose che succedono durante la vita, in cerca di un senso per il dolore e la pena che lo avvolgono.

Sul palco, in tutta la sua nuda crudezza, c'è il problema degli uomini, di noi tutti, identificati nella persona di Giobbe, personaggio centrale del dramma che si rappresenta:
quando nascemmo, non chiedemmo di nascere e, ciò nonostante, già c'era chi si preparava ad accoglierci;
siamo nati, e adesso dobbiamo soffrire e morire, stupidamente, senza sapere il perché né della vita né del dolore.

Sulla scena sono rappresentati anche i tentativi che cercano di spiegare il perché della sofferenza, identificati nella persona dei 3 amici di Giobbe e nel quarto, un giovane amico che entra in scena più tardi (capp.
32-37).

Ignorano tutti, Giobbe e gli amici, la decisione presa da Dio e dalla corte celeste, e non sanno perché succedono tutte quelle cose.

Sono come il pubblico, che ha portato con sé, nel teatro, il suo dolore e, adesso, lo vede incarnato nella persona di Giobbe;
ogni giorno cerca nuove spiegazioni al suo dolore, e ricorre a razionalizzazioni di ogni specie, per rendere la vita più sopportabile.

I 3 amici di Giobbe sono anche gli amici del pubblico, perché incarnano le spiegazioni che comunemente si danno ai dolori della vita.

Ma in Giobbe, il pubblico è costretto ad ammirare il coraggio di uno che contesta quello che tutti considerano santo e consacrato;
il coraggio di chi, partendo da una esperienza di vita, affronta ed abbatte tutta una tradizione secolare, perché, essa, mentre dice di difendere Dio, inventa menzogne sulla vita umana (Giob. 13, 7-8).

Man mano che il dramma si svolge, il pubblico si rende conto quanto valgano i suoi argomenti, le sue consolazioni e la sua simpatia.

Si accorge fino a che punto le sue idee riescono a spiegare il dolore, se è capace di resistere agli attacchi violenti che sgorgano dalla coscienza tormentata e realista di un uomo come Giobbe.

I 3 amici, che rimasero in silenzio 7 giorni e 7 notti, rappresentano la difesa degli argomenti che il popolo era abituato ad usare:
cercano di difendere il popolo e la tradizione contro gli attacchi di Giobbe.

Non permetteranno che un uomo, disperato e addolorato, attacchi la solida pietà tradizionale e infranga la stessa sicurezza della sua vita.

Chi vincerà?
La tradizione o la coscienza?

Il dialogo tra Giobbe e i suoi tre amici è anche il dialogo interiore che ogni uomo fa dentro di sé, quando si trova di fronte al dolore e alla sofferenza.

Lo stesso dialogo che oggi si verifica fra la generazione antica e quella nuova:

la generazione antica, che si aggrappa a quanto ha ricevuto dagli antepassati;

la generazione nuova, che vuol partire decisamente dall'esperienza della vita, perché nella tradizione degli antichi non trova nessuna spiegazione ai suoi problemi, nessuna risposta alle sue domande.




SEGUE..




Una stretta di [SM=g1902224]


Pierino




contatto skype: missoltino 1
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